Tutti gli articoli di Luigi Borghi

La NASA è di nuovo in contatto con la sonda Voyager 2.

Dov’è la notizia? Voyager 1 è anche più lontano! Cosa c’è di tanto eclatante?

La notizia sta nel fatto che riuscire a dialogare via radio con un oggetto che si trova a 18,8 miliardi di chilometri, cioè circa 20 ore luce da noi, rappresenta una impresa. Non tanto per il tempo che ci vuole per capire se il “comando” radio è arrivato bene oppure no, che consiste in quasi due giorni (34 ore complessive) di ansia e di attesa dall’invio del comando alla ricezione della risposta, ma per la quasi nulla potenza del segnale ricevuto che si trova al limite del suo rapporto con il disturbo di fondo.

Vediamo di capire meglio. Le comunicazioni sono fornite dalla sonda tramite l’antenna a parabola di oltre 3,66 metri ad alto guadagno e con un’antenna a basso guadagno per il backup. L’antenna ad alto guadagno supporta la telemetria downlink sia in banda X (da 7 a 12,5 GHz) che in banda S (2 – 4 GHz). Voyager è stata la prima navicella spaziale a utilizzare la banda X come frequenza di collegamento telemetrica primaria. I dati possono essere archiviati per la successiva trasmissione alla Terra tramite l’uso di un registratore digitale a bordo. L’energia a bordo del Voyager non manca. La sonda è partita dalla Terra nel 1977 con 470 watt di energia elettrica a 30 Volt in corrente continua, fornita da tre generatori nucleari a radioisotopi (RTG). Col trascorrere del tempo questi generatori perdono gradualmente efficacia, dovuto appunto al decadimento del plutonio, tanto che si calcola che entro il 2025 entrambe le sonde Voyager non saranno più in grado di funzionare per insufficienza energetica.

Qui sotto lo schema di un Voyager.

Nel 1997, dopo 20 anni di utilizzo, gli RTG fornivano ancora 335 W. Questa energia residua, che potrebbe essere oggi, 2020, ancora di poco inferiore ai 200 W elettrici (poi vi sono in più anche i Watt termici che servono a mantenere a temperatura adeguata di funzionamento le apparecchiature), non sono dedicati solo alla comunicazione. I trasmettitori a microonde delle due Voyager hanno una potenza di circa 25 watt e li trasmettono dall’antenna parabolica di circa tre metri di diametro con un guadagno molto elevato (circa 45 db).

L’antenna di circa 3,66 metri quando era ancora a terra in assemblaggio.

A terra le antenne Deep Space Network o DSN sono molto più grandi (paraboliche da 70 metri di diametro) e il guadagno ancora più elevato. Di conseguenza si riesce a “sentire” i deboli segnali della sonda nonostante i miliardi di km che ci separano.

I segnali ricevuti, comunque, sono estremamente deboli, parliamo dell’ordine degli attowatt, ovvero miliardesimi di miliardesimi di watt!

Nel DSN sono presenti degli amplificatori a basso rumore molto costosi che consentono di portare questi segnali a livelli utilizzabili.

Per darvi una idea, molto più ottimistica, di quanto possa essere l’attenuazione vi propongo questo esercizio mentale: supponiamo che in una notte serena andate in mezzo ad un campo buio ed accendete verso il cielo un faretto di luce da 25W. Una torcia professionale è in grado di fare questo. La visione ottimistica sta nel fatto che la torcia riesce a focalizzare molto meglio la luce piuttosto che una parabola con un fascio portante da 10 GHz che ha un “cono” di emissione con un angolo più aperto.

Ma trascuriamo questo! Ora pensate a cosa può vedere di quella luce un aereo di linea a 10 km: molto poco, ma facendo attenzione si può vedere, forse, anche ad occhio nudo,

Ora spostatevi sulla Luna: la vedreste ancora da 400.000 km? Ad occhio nudo no, ma con un buon telescopio ottico, sapendo dove si trova la torcia, sì la potreste anche vedere!

Bene, ora dovete solo allontanarvi di 19 miliardi di km e di quella luce rimarrebbe quasi ZERO!

Questa è la notizia!

IDSN di Canberra.  Gli ingegneri conducono aggiornamenti e riparazioni critiche all’antenna radio Deep Space Network Station 43, larga 70 metri (230 piedi) a Canberra, in Australia. In questa clip, uno dei coni di alimentazione bianchi dell’antenna (che ospitano parti dei ricevitori dell’antenna) viene spostato da una gru. Crediti: CSIRO.

l Deep Space Network è costituito da strutture di antenne radio distribuite equamente in tutto il mondo a Canberra; Goldstone, California; e Madrid, Spagna. Il posizionamento delle tre strutture assicura che quasi tutti i veicoli spaziali con una linea di vista verso la Terra possano comunicare con almeno una delle strutture in qualsiasi momento. Voyager 2 però è la rara eccezione. Per fare un sorvolo ravvicinato della luna di Nettuno Tritone nel 1989, la sonda ha sorvolato il polo nord del pianeta. 

Quella traiettoria l’ha deviata verso sud rispetto al piano dei pianeti, e da allora si è diretta in quella direzione. Ora a più 18,8 miliardi di chilometri dalla Terra, ma è così lontano a sud che non ha una linea di vista con tutte le antenne radio nell’emisfero settentrionale.

E questa è un’altra notizia!

Ne approfitto per ricordare a coloro che non erano, come me, davanti al televisore durante quelle eccezionali avventure dei due Voyager, che su entrambi, su uno dei lati del telaio (BUS) è stato montato un disco di rame placcato in oro da 12 pollici. Il disco ha registrato su di esso suoni e immagini della Terra progettati per rappresentare la diversità della vita e della cultura del pianeta. Ogni disco è racchiuso in una custodia protettiva in alluminio insieme a una cartuccia e ad un ago. Le istruzioni che spiegano da dove proviene la navicella spaziale e come riprodurre il disco sono incise sul contenitore (giacca). Sono istruzione simboliche.

Elettroliticamente, su un’area di 2 cm sul coperchio c’è anche una fonte ultra-pura di uranio-238 (con una radioattività di circa 0,26 nanocuries e un’emivita di 4,51 miliardi di anni), consentendo agli eventuali alieni che lo troveranno la determinazione del tempo trascorso dal lancio misurando la quantità di elementi radioattivi U238 restanti. Le 115 immagini sul disco sono state codificate in forma analogica. Le selezioni dei suoni (inclusi i saluti in 55 lingue, 35 suoni, naturali e artificiali, e porzioni di 27 brani musicali) sono progettate per la riproduzione a 1000 giri / min.

Vi propongo un articolo che illustra bene questo evento.

Commentato da Luigi borghi

Ecco l’articolo.

Ulteriori link utili:

https://solarsystem.nasa.gov/missions/voyager-2/in-depth/

Alla ricerca del pianeta 9.

Il pianeta nove di cui si parla qui è un ipotetico grosso pianeta che si troverebbe una ventina di volte più lontano dal Sole di Plutone, ma che avrebbe una massa di una decina di volte la nostra Terra. Ovviamente non lo ha mai visto nessuno! La luce del Sole è talmente fioca che, a quella distanza, il pianeta non la riflette a sufficienza per essere visto.

Qui sotto una immagine artistica del pianeta 9.

Vi sono però alcuni corpi della Fascia di Kuiper che hanno orbite tali da essere giustificabili solo con la presenza di una grossa massa che orbita da quelle parti.

Questo fantomatico pianeta nove mi ha sempre intrigato parecchio, al punto che ci ho pure scritto un libro “Civiltà scomparsa” che uscirà ai primi del 2021.

Nella mia avventura è solo un pianeta errante di passaggio perché è stato scaraventato nello spazio profondo a folle velocità dall’esplosione della sua stella e che attraversa la nostra nube di Oort senza fermarsi. Tutta la storia del libro ruota attorno alla corsa dell’umanità e della protagonista, la planetologa Joy, per arrivare a “toccare” e ad indagare un pianeta extrasolare, che poteva potenzialmente ospitare una civiltà evoluta e che la natura lo offre a “portata di mano”.

Qui, nell’articolo che vi propongo oggi invece si fa sul serio.

Gli astronomi di Yale, Malena Rice e Gregory Laughlin, stanno tentando con un metodo chiamato “spostamento e impilamento” (shifting and stacking), una tecnica che raccoglie la luce diffusa da migliaia di immagini del telescopio spaziale Transiting Exoplanet Survey Satellite (TESS) e identifica i percorsi orbitali per oggetti precedentemente non rilevati.

In poche parole, i due astronomi prendono le migliaia di foto ad altissima risoluzione ricevute da TESS, che fa il suo lavoro di routine, poi le sovrappongono una sull’altra (le impilano), ma spostandole una ad una come se seguissero una ipotetica traiettoria plausibile del pianeta calcolata secondo ipotesi derivate da comportamento di altri corpi trans nettuniani.  Come se seguissero con TESS un potenziale percorso orbitale. In questo modo la eventuale debole luce del pianeta nove verrebbe amplificata mentre i disturbi, le luci delle stelle vicine ed altre luci indesiderate, non sovrapponendosi vengono drasticamente attenuate.

Qui un esempio di questa tecnica con solo 12 immagini.

In questo modo, ogni tanto, la luce rivela il percorso di oggetti assolutamente invisibili altrimenti.

La Rice ha detto che lo spostamento e l’accatastamento sono stati utilizzati in passato per scoprire nuove lune del sistema solare. 

Il Transiting Exoplanet Survey Satellite (TESS), è un telescopio spaziale normalmente utilizzato per cercare pianeti extrasolari di cui abbiamo già parlato su questa homepage e sulla nostra rivista “Il C.O.S.Mo. News”.

Illustrazione artistica di TESS. Credit NASA.

Commento e traduzione di Luigi Borghi.

Eccovi la traduzione tratta da:

https://www.spacedaily.com/reports/Lighting_a_Path_to_Find_Planet_Nine_999.html

Ulteriori link utili:

https://scienceblog.com/519286/lighting-a-path-to-planet-nine/#:~:text=To%20detect%20objects%20that%20are,sets%20of%20potential%20orbital%20paths.

Illuminare un percorso per trovare il pianeta nove.

di Staff Writers. New Haven CT (SPX) 28 ottobre 2020.

La ricerca del Pianeta Nove – un ipotetico nono pianeta nel nostro sistema solare – potrebbe arrivare a individuare le scie orbitali più deboli in un angolo incredibilmente buio dello spazio.

Questo è esattamente ciò che gli astronomi di Yale Malena Rice e Gregory Laughlin stanno tentando con una tecnica che raccoglie la luce diffusa da migliaia di immagini del telescopio spaziale e identifica i percorsi orbitali per oggetti precedentemente non rilevati.

“Non puoi davvero vederli senza usare questo tipo di metodo. Se Planet Nine è là fuori, sarà incredibilmente debole”, ha detto Rice, autore principale di un nuovo studio che è stato accettato dal Planetary Science Journal [https : //psj.aas.org].

Rice, un dottorato di ricerca. studente di astronomia e Graduate Research Fellow della National Science Foundation, ha presentato i risultati il ​​27 ottobre all’incontro annuale della Divisione per le scienze planetarie dell’American Astronomical Society.

La possibilità di un nono pianeta nel sistema solare terrestre, situato oltre l’orbita di Nettuno, ha guadagnato slancio tra gli astronomi negli ultimi anni mentre hanno esaminato le curiose orbite di un ammasso di piccoli oggetti ghiacciati nella fascia di Kuiper. Molti astronomi ritengono che l’allineamento di questi oggetti – e le loro traiettorie – indichino l’influenza di un oggetto invisibile.

Sebbene la stragrande maggioranza della luce osservata dai pianeti nel sistema solare sia luce riflessa, la quantità di luce solare riflessa diminuisce drasticamente per un pianeta distante come il Pianeta Nove, probabilmente da 12 a 23 volte più distante dal Sole di Plutone.

Se esistesse, il pianeta nove sarebbe una cosiddetta super-Terra. Avrebbe da 5 a 10 volte la massa della Terra e sarebbe situato centinaia di volte più lontano dal Sole di quanto lo sia la Terra e da 14 a 27 volte più distante dal Sole di Nettuno, ha detto il professore di astronomia di Yale Gregory Laughlin, autore senior del nuovo studio.

“Questa è una regione dello spazio che è quasi del tutto inesplorata”, ha detto Laughlin.

Per rilevare oggetti altrimenti non rilevabili, Rice e Laughlin utilizzano un metodo chiamato “spostamento e impilamento”. Loro “spostano” le immagini da un telescopio spaziale – come muovere una fotocamera mentre scatta foto – lungo serie predefinite di potenziali percorsi orbitali. Quindi “impilano” centinaia di queste immagini insieme in un modo che combina la loro debole luce.

Ogni tanto, la luce rivela il percorso di un oggetto in movimento, come un asteroide o un pianeta.

Rice ha detto che lo spostamento e l’accatastamento sono stati utilizzati in passato per scoprire nuove lune del sistema solare. Questa è la prima volta che viene utilizzato su larga scala per cercare una vasta area di spazio. Le immagini che lei e Laughlin hanno utilizzato provenivano dal Transiting Exoplanet Survey Satellite, un telescopio spaziale normalmente utilizzato per cercare pianeti al di fuori del nostro sistema solare.

I ricercatori hanno testato il loro metodo cercando con successo i segnali luminosi di tre oggetti transnettuniani (TNO) noti

Successivamente, hanno condotto una ricerca alla cieca di due settori nel sistema solare esterno che potrebbero rivelare il Pianeta Nove o qualsiasi oggetto della fascia di Kuiper precedentemente non rilevato e rilevato 17 potenziali oggetti.

“Se anche uno solo di questi oggetti candidati fosse reale, ci aiuterebbe a comprendere le dinamiche del sistema solare esterno e le probabili proprietà del Pianeta Nove”, ha detto Rice. “Sono nuove informazioni convincenti.”

Attualmente sta lavorando con l’ex postdoc di Yale Songhu Wang, un membro della facoltà dell’Università dell’Indiana, per controllare i 17 candidati che utilizzano telescopi a terra.

Laughlin ha detto che l’uso riuscito dello spostamento e dell’accatastamento su scala limitata aprirà la strada a un’indagine su scala più ampia del sistema solare esterno, che è particolarmente convincente data la possibilità di trovare un nuovo pianeta.

“Dovremmo seguire ogni indizio per trovare maggiori informazioni”, ha detto Laughlin.

La Rice ha detto che rimane “agnostica” sull’esistenza del Pianeta Nove e vuole concentrarsi sui dati. “Ma sarebbe bello se fosse là fuori”.

Confronto tra iniziativa pubblica e privata nell’accesso allo spazio.

Ci troviamo ancora una volta di fronte, purtroppo, agli effetti negativi della politica sulle decisioni che riguardano la cooperazione internazionale sulla ricerca scientifica.

Mi auguro siano solo schermaglie politiche che poi verranno appianate dal buon senso su pressione della comunità scientifica, anche perché il tempo a disposizione non è tantissimo.

Mi riferisco al Gateway. La stazione orbitante intorno alla Luna.

Una iniziativa che dovrebbe dare seguito allo stesso gruppo di paesi che ha dimostrato una perfetta sintonia di collaborazione per realizzare a Stazione Spaziale Internazionale. La ISS.

Una squadra collaudata quindi! Ma ecco che nascono i problemi ancora prima di partire. Come vedete nell’articolo apparso su astronautinews.it sul link che allego, l’agenzia spaziale russa Roskosmos e quella americana NASA, non riescono a concludere un accordo. Il rischio è che la Russia rimanga fuori dai giochi per la realizzazione della stazione spaziale orbitante intorno alla Luna, il che mi sembrerebbe anacronistico. Fuori dalla logica, in perfetto stile guerra fredda, che speravo dimenticato e sepolto. Il progetto Artemis di ritorno sulla luna entro il 2024 andrebbe avanti comunque ma partiremmo sicuramente con il piede sbagliato. Ma solo per giustificare il titolo di questa flash, mentre le agenzie governative stanno a distinguere ed a guardare il pelo nell’uovo, ed a contare chi ha più metri quadrati di superficie dentro al Gateway, si rischia di vedere nel 2024 Elon Musk che con la su astronave Starship non andrà sulla Luna ma addirittura su Marte. Vedi il link space.com.

Il che dimostrerebbe ancora una volta che il know-how per lo sviluppo tecnologico c’è, ma che lasciarlo gestire alla politica è un errore.

Spero sia solo una mia preoccupazione. Fosse per me, oltre alla Russia, dentro al club attuale formato da Europa, USA, Giappone e Canada, vorrei anche Cina e India, ma questo sarebbe pretendere troppo. L’umanità è ancora lontana dal riuscire ad orchestrare una simile sinergia. La decisione politica è ancora troppo influenzata ed annebbiata dai vecchi interessi territoriali, di bandiera o di egemonia che impedisce di vedere i vantaggi per il futuro dell’umanità.

Ecco l’articolo.

Commentato da Lugi Borghi.

Il telescopio spaziale James Webb della NASA completa i test ambientali.

Come siamo messi con il JWST?

Un telescopio spaziale che ha, per ora, collezionato record di ritardi e slittamenti ma che, se andrà tutto come previsto, sarà una nuova potentissima finestra di osservazione dell’universo. La sua capacità di analizzare nello spettro dell’infrarosso, ne fa un candidato ideale per scrutare pianeti extrasolari.

La sfida è ambiziosa per diversi motivi:

  1. È un complicatissimo telescopio che dovrà essere “aperto” automaticamente in viaggio. Si dovranno dispiegare gli schermi di protezione e l’enorme specchio riflettente diviso in 3 parti formati da riflettori esagonali.
  2. La sua complessità ed il suo peso impongono test severissimi al fine di verificare la sua tolleranza alle enormi sollecitazioni che riceverà durante il lancio.
  3. Si dovrà collocare in un punto di Lagrange che si trova a 1,5 milioni di km dalla Terra.
  4. Proprio perché si troverà così distante non potrà di certo essere soccorso con interventi di manutenzione come fatto con il suo famoso predecessore Hubble. O va al primo colpo o si sono buttati miliardi di dollari dalla finestra.

Queste sono sostanzialmente le ragioni dei continui slittamenti, oltre naturalmente al COVID19.

Si va con i piedi di piombo perché a nessuno piace l’idea di un fallimento. Come diceva Kranz ai suoi collaboratori a Cape Canaveral con Apollo 13: il fallimento non è una opzione.

Se supererà indenne l’enorme sforzo durante il lancio con un Ariane 5 dalla Guyana francese il rischio fallimento diminuirà di parecchio.

Commentato e tradotto da Luigi Borghi.

Eccovi l’articolo tradotto.

https://www.nasa.gov/feature/goddard/2020/nasa-s-james-webb-space-telescope-completes-environmental-testing

https://youtu.be/QbyKJlmOQbY

Per la prima volta in assoluto, i team di test di Northrop Grumman a Redondo Beach, in California, hanno sollevato con cura il telescopio spaziale James Webb completamente assemblato per prepararlo per il trasporto alle vicine strutture di prova acustica e di vibrazione sinusoidale.

Credito immagine NASA / Chris Gunn

Con il completamento della sua ultima serie di test fondamentali, il James Webb Space Telescope della NASA è ora sopravvissuto a tutte le dure condizioni associate al lancio di un razzo nello spazio. 

I recenti test di Webb hanno convalidato che l’osservatorio completamente assemblato resisterà al rumore assordante e ai tremori e alle vibrazioni che l’osservatorio subirà durante il decollo. 

Conosciuti come test “acustici” e “sinusoidali”, la NASA ha lavorato con attenzione con i suoi partner internazionali per abbinare l’ambiente di test di Webb precisamente a ciò che Webb sperimenterà sia il giorno del lancio, sia quando opera in orbita.

Sebbene ogni componente del telescopio sia stato rigorosamente testato durante lo sviluppo, dimostrare che l’hardware di volo assemblato è in grado di passare in sicurezza attraverso un ambiente di lancio simulato è un risultato significativo per la missione. 

Completati in due strutture separate all’interno dello Space Park di Northrop Grumman a Redondo Beach, in California, questi test rappresentano gli ultimi due di Webb, in una lunga serie di test ambientali prima che Webb venga spedito nella Guyana francese per il lancio.

Il prossimo ambiente che Webb sperimenterà è lo spazio. 

“Il completamento con successo dei test ambientali del nostro osservatorio rappresenta una pietra miliare nella marcia verso il lancio. I test ambientali dimostrano la capacità di Webb di sopravvivere al viaggio del razzo nello spazio, che è la parte più violenta del suo viaggio in orbita a circa un milione di miglia dalla Terra. Il gruppo multinazionale di persone responsabili dell’esecuzione del test acustico e di vibrazione è composto da un team eccezionale e dedicato di persone tipiche dell’intero team Webb “, ha affermato Bill Ochs, project manager Webb per il NASA Goddard Space Flight Center di Greenbelt , Maryland.

I test sono iniziati incapsulando dapprima l’intero telescopio in una camera bianca mobile costruita per proteggerlo dal mondo esterno. I tecnici lo hanno quindi guidato con attenzione verso una vicina camera di prova acustica dove è stato intenzionalmente fatto saltare da livelli di pressione sonora superiori a 140 decibel, con uno spettro sintonizzato sulla firma specifica del razzo Ariane 5 che viaggerà nello spazio. Durante i test sono stati attentamente osservati e registrati quasi 600 singoli canali di dati di movimento. I tipici test acustici e di vibrazione misurano circa 100 canali di dati, ma le dimensioni e la forma complesse dell’osservatorio richiedono misurazioni notevolmente maggiori per garantire il successo. I dati sono stati quindi analizzati a fondo e contrassegnati come un completo successo.    

Dopo aver completato con successo i suoi test acustici finali, Webb è stato nuovamente imballato e trasportato in una struttura separata per simulare le vibrazioni a bassa frequenza che si verificano durante il decollo. Mentre all’interno Webb è stato posizionato su un tavolo shaker specializzato in grado di accelerazioni verticali e orizzontali precise. Laddove il test acustico simula le dinamiche ad alta frequenza del lancio, il test delle vibrazioni copre le frequenze più basse sperimentate. Con la combinazione dei due viene considerato l’intero ambiente meccanico che Webb sperimenterà durante il lancio.

Per spostare in sicurezza il James Webb Space Telescope tra le strutture di test, gli ingegneri lo racchiudono in una speciale camera bianca mobile spesso denominata a conchiglia. La scansione tra gli edifici può richiedere ore e richiede l’innalzamento delle linee telefoniche per consentire a Webb di passare sotto. I recenti test di Webb hanno convalidato che l’osservatorio completamente assemblato resisterà al rumore assordante e alle scosse, ai sonagli e alle vibrazioni stridenti che l’osservatorio subirà durante il decollo. Conosciuti come test “acustici” e “sinusoidali”, la NASA ha lavorato con attenzione con i suoi partner internazionali per abbinare l’ambiente di test di Webb precisamente a ciò che Webb sperimenterà sia il giorno del lancio, sia quando opera in orbita.

Crediti: Goddard Space Flight Center della NASA

“Il team di test è un consorzio internazionale di esperti di dinamiche strutturali che sono gli ingegneri principali per ogni pezzo di hardware dell’osservatorio. I membri del team si trovano negli Stati Uniti e in Europa, in 9 fusi orari! Sono estremamente impegnati a supportare i test a tutte le ore e tutti i giorni per fornire la loro esperienza “, ha affermato Sandra Irish, Webb Mechanical Systems Structures Engineer Lead per il Goddard Space Flight Center della NASA a Greenbelt, nel Maryland. “Grazie alla dedizione del team, al duro lavoro e alla pura eccitazione di far parte di questo complesso test, è stato un completo successo! Conosco queste persone da molti anni ed è stato un onore lavorare con ognuna di loro “. 

Webb è ora programmato per passare all’ultima estensione completa del suo iconico specchio primario e tettuccio parasole, seguita da una valutazione completa del sistema prima di essere incapsulato in un container di spedizione specializzato per il trasporto in Sud America. 

La distribuzione dell’osservatorio dopo aver sperimentato un ambiente di lancio simulato è il modo migliore per replicare la vera serie di eventi che l’osservatorio sperimenterà durante il lancio e durante l’esecuzione della sua complessa sequenza di distribuzione nello spazio. L’analisi iniziale suggerisce che l’osservatorio ha superato con successo i test acustici e di vibrazione a livello di osservatorio, ma la verifica completa dell’idoneità al volo avverrà dopo che Webb avrà completato con successo i test finali di dispiegamento.

Ingegneri e tecnici continuano a seguire procedure di sicurezza personale aumentate a causa della situazione COVID-19, che sta causando un impatto significativo e interruzioni a livello globale. Il team ha ripreso le operazioni quasi complete e si sta ora preparando per la fase finale dei test prima della spedizione al sito di lancio.

Il James Webb Space Telescope è il telescopio per le scienze spaziali più grande, potente e complesso mai costruito al mondo. Oltre alla scienza rivoluzionaria che ci si aspetta dopo il lancio, Webb ha richiesto un miglioramento dell’infrastruttura di test e dei processi coinvolti nella convalida di veicoli spaziali complessi di grandi dimensioni per una vita nello spazio. Varie strutture in tutto il paese hanno dovuto essere ampliate e aggiornate per testare e preparare con sicurezza una macchina grande quanto Webb per il decollo. Le lezioni apprese dal precedente sviluppo di telescopi spaziali sono state investite in Webb, e i futuri telescopi spaziali saranno costruiti sulla stessa conoscenza collettiva. Migliaia di scienziati, ingegneri e tecnici hanno contribuito a creare, testare e integrare Webb. 

Hanno partecipato in totale, 258 aziende, agenzie e università, anche italiane: 142 dagli Stati Uniti, 104 da 12 nazioni europee e 12 dal Canada.

Webb è il prossimo grande osservatorio di scienze spaziali della NASA, che aiuterà a risolvere i misteri del nostro sistema solare, guardando oltre a mondi lontani attorno ad altre stelle e sondando le strutture e le origini mistificanti del nostro universo. Webb è un programma internazionale guidato dalla NASA, insieme ai suoi partner ESA (European Space Agency) e Canadian Space Agency.

Per ulteriori informazioni su Webb, visitare: https://www.nasa.gov/webb

Ulteriori risorse video sono disponibili qui: https://svs.gsfc.nasa.gov/Gallery/JWST.html

A cura del Goddard Space Flight Center della NASA di  Thaddeus Cesari.

Altri link utili: www.nasa.gov/artemis

La NASA pubblica il piano Artemis. La Luna è ancora più vicina!

Jim Bridenstine, amministratore della NASA è contento perché per questo progetto di ritorno sulla Luna ha il sostegno bipartisan del Congresso. Comunque vadano le elezioni USA il progetto andrà perseguito! La Fase 1 del programma Artemis prevede di far atterrare la prima donna e il prossimo uomo sulla superficie della Luna nel 2024.

Il nuovo potente razzo dell’agenzia, lo Space Launch System (SLS) e la navicella spaziale Orion sono quasi pronti al loro primo lancio integrato perché ora il veicolo spaziale è completo!

Lo stadio principale e i quattro motori collegati sono sottoposti a una serie finale di test che culmineranno in un test critico di accensione già questo autunno.

La prima missione, Artemis I, è in programma per il 2021. Volerà attorno alla Luna senza astronauti a bordo e sarà un test del lanciatore SLS e del rientro della Orion

Bisognerà attendere Artemis II che volerà con l’equipaggio nel 2023. In quel volo intorno alla Luna gli astronauti piloteranno manualmente Orion mentre si avvicinano e si allontanano dallo stadio criogenico. Questa dimostrazione valuterà le qualità di manovrabilità di Orion.

Finalmente nel 2024, Artemis III rappresenterà il ritorno dell’umanità sulla superficie della Luna, facendo atterrare i primi astronauti al Polo Sud lunare.

Nella illustrazione artistica (credit NASA) i due astronauti vicini al nuovo modulo lunare.

Non è ancora chiaro se la NASA vorrà utilizzare il Gateway (la stazione spaziale internazionale che orbiterà intorno alla Luna) come supporto vitale e temporaneo per Artemis III.

Il Gateway potrebbe non essere ancora operativo.

Un rendering del Gateway (Credit NASA)

Artemis IV e oltre invece invieranno l’equipaggio a bordo di Orion per attraccare al Gateway, dove due membri dell’equipaggio possono rimanere a bordo dell’astronave in orbita mentre due vanno in superficie. Nel tempo, l’avamposto si evolverà, con nuovi moduli aggiunti da partner internazionali, consentendo ai membri dell’equipaggio di condurre missioni lunari sempre più lunghe.

Si ricomincia, ma stavolta da colonizzatori e non da esploratori!

La colonia lunare è vicina e qui sotto vediamo una illustrazione molto realistica di ciò che potrà essere la colonia entro il 2030 (Credit NASA).

Un rapporto completo e dettagliato del progetto Artemis si trova qui:

https://www.nasa.gov/sites/default/files/atoms/files/artemis_plan-20200921.pdf

Commentato da Luigi Borghi.

Eccovi l’articolo che vi propongo: https://www.nasa.gov/press-release/nasa-publishes-artemis-plan-to-land-first-woman-next-man-on-moon-in-2024/

Altri link utili: www.nasa.gov/artemis

Il futuro delle missioni su Venere.

Battiamo il ferro finché è caldo, quindi penso che dopo la scoperta della fosfina sarà essenziale predisporre osservazioni ripetute delle nubi di Venere, per capire come le concentrazioni di fosfina mutino nel tempo.

Però nessuna delle possibili missioni ipotizzate finora sembra attrezzata per questo. Tutte le missioni che la NASA aveva ipotizzato a questo scopo sono state sorpassate in priorità da missioni robotiche verso asteroidi, satelliti e Marte, ma l’agenzia spaziale americana sta comunque investendo su due veicoli spaziali, DAVINCI+ e VERITAS

La prima missione dovrebbe esplorare l’atmosfera venusiana per comprenderne l’evoluzione, la seconda ha l’obiettivo di mappare con precisione la superficie e di studiare la geodinamica interna che ha modellato il pianeta.

Se anche dovesse essere finanziata, VERITAS rimarrebbe nell’orbita di Venere; DAVINCI+ entrerebbe in atmosfera, ma troppo rapidamente per analizzare la composizione della fascia di nubi in cui è presente la fosfina, a circa 50 km di quota. Nessuna delle due proposte di missione è comunque al momento stata confermata. Noi però dobbiamo andare tra le nuvole e restarci per un po’ di tempo. Per esplorare l’alta atmosfera di Venere occorrerebbe rispolverare i concept di aerostati in grado di resistere per un po’ tra le nubi del pianeta, come quelli della missione con equipaggio HAVOC (High Altitude Venus Operational Concept), un progetto visionario (nell’immagine) e improbabile che la NASA ha in archivio e che definisce “non più attivo”.

Qui possiamo vedere una animazione di tutta la missione:

NASA: https://youtu.be/0az7DEwG68A

Un pallone sonda capace di analizzare le biomolecole dell’atmosfera di Venere è anche una delle componenti della Venus Flagship mission, una proposta di studio a lungo termine di Venere, del suo clima, della sua attività geologica e della sua atmosfera, che si avvarrebbe di più elementi (orbiter, lander, aerostati) e che anche se approvata non si concretizzerebbe prima del decennio 2030.

https://vfm.jpl.nasa.gov/Gallery2/

Vedremo cosa intende fare la comunità scientifica e soprattutto quante risorse verranno dedicate per avere una risposta a questa domanda: c’è vita elementare nell’atmosfera di Venere?

Commentato da Luigi Borghi.

Eccovi l’articolo che vi propongo:

Elicotteri e sottomarini nello spazio!

L’uomo, si sa, è un esploratore di terra, di mare e dell’aria, e questa nostra passione e predisposizione l’abbiamo applicata abbondantemente qui sul nostro pianeta.

Ma mezzo secolo fa abbiamo cominciato ad espandere le nostre virtù anche sulla Luna con un’auto elettrica per consentire ai nostri astronauti della missione Apollo di ampliare il loro orizzonte di esplorazione sul nostro satellite.

Ora che ci abbiamo preso gusto ad esplorare il suolo pensiamo all’aria: abbiamo in viaggio verso Marte un elicottero, Ingenuity, appeso alla pancia di un Rover di una tonnellata: Perseverance.

Ma non ci fermiamo, perché adesso stiamo pensando ai mari.

Purtroppo, i mari disponibili fuori dalla Terra, a parte quelli della Luna che non hanno nulla a che fare con i fluidi, sono tutti ghiacciati in superfice. Con spessori di ghiaccio anche di qualche km.

Quindi inviare una nave, o forse meglio una piccola barca, è fuori discussione.

Ma c’è un posto, molto lontano, dove i mari liquidi ci sono, insieme ai fiumi alla pioggia e tutto il resto: è Titano, il satellite gigante di Saturno. Moti ondosi ed increspature fanno luccicare (Sun glitter) il Kraken Mare su Titano. Ne è stato testimone lo spettrometro Visual and Infrared Mapping Spectrometer (VIMS) a bordo della gloriosa sonda della NASA Cassini, che ha navigato nel sistema di Saturno dal 2004 al 2017. 

Fonte e credit aliveuniverse.today

I liquidi dei mari in questione non sono a base di acqua ma di idrocarburi! Ci sono comunque bacini di centinaia di km quadrati di mare profondo un centinaio di metri.

Quindi ci inviamo una barca?

No! Ci mandiamo direttamente un sottomarino, così andiamo a vedere direttamente cosa c’è sotto. Un piccolo sottomarino, ma ad energia nucleare. Già, perché i pannelli solari ad un centinaio di metri sotto, anche se è metano liquido, non funzionano e la sotto abbiamo bisogno di energia per mesi.

Gli RTG al Plutonio, già usati sulla Cassini, su Curiosity e sull’attuale Perseverance vanno benissimo. Ci sono anche altre caratteristiche favorevoli per un sub su Titano.

  1. La forza di gravità, quindi anche la pressione sullo scafo, vale il 14% di quella terrestre a parità di profondità.
  2. Il liquido in cui navigherebbe il piccolo sottomarino è molto piu fluido e trasparente dell’acqua.
  3. Non è uno schermo per le onde radio.

Dobbiamo aspettare ancora qualche decennio ma il progetto comincia a prendere forma… e finanziamenti.

Commentato da Luigi Borghi.

Ecco la traduzione della fonte da Space.comhttps://www.space.com/saturn-moon-titan-submarine-concept-mission.html

Un sottomarino automatico potrebbe esplorare i mari di Titano, la grande luna di Saturno.

Il sottomarino potrebbe essere pronto per il lancio nel 2030.

I ricercatori hanno proposto l’invio di un sottomarino per esplorare l’enorme luna di Saturno ei suoi mari gelidi di metano ed etano.

I ricercatori hanno ideato una missione concettuale che prevede l’invio di un sottomarino su Titano, l’enorme luna di Saturno, che sfoggia laghi e mari di idrocarburi liquidi sulla sua gelida superficie.

Tale missione, se approvata e finanziata dalla NASA, potrebbe essere pronta per il lancio nel 2030, potenzialmente spianando la strada per un’esplorazione sottomarina ancora più ambiziosa lungo la strada, hanno detto gli sviluppatori del concetto.

Correlata di Foto incredibili: Titano, la luna più grande di Saturno

Il mese scorso, durante una presentazione con il gruppo di lavoro Future In-Space Operations dell’agenzia, Steven Oleson, del Glenn Research Center della NASA in Ohio, ha detto “Riteniamo che il sottomarino Titan sia una specie di primo passo prima di andare poi a fare una missione secondaria Europa o Encelado”.

Europa ed Encelado, rispettivamente lune di Giove e Saturno, ospitano enormi oceani di acqua liquida. Ma questi due corpi idrici sono sepolti sotto gusci di chilometri di ghiaccio e sarebbero quindi più difficili rispetto a far scendere un sottomarino nei mari superficiali di Titano.

Fotografia di Cassini della zona interessata (credit NASA)

Un mondo strano e potenzialmente abitabile

Con una larghezza di 5.150 chilometri, Titano è la seconda luna più grande del sistema solare. L’unico più grande è Ganimede di Giove, che batte Titano di soli 120 km.

Ma la dimensione non è tutto ciò che rende Titano speciale. Ad esempio, la luna gigante è l’unico mondo oltre la Terra conosciuto per ospitare corpi stabili di liquido sulla sua superficie – quei mari e laghi di metano liquido ed etano, alcuni dei quali sono più grandi dei Grandi Laghi del Nord America.

Inoltre, la spessa atmosfera di Titano ospita probabilmente una chimica complessa che coinvolge molecole organiche, gli elementi costitutivi della vita come la conosciamo che contengono carbonio. Di conseguenza, molti astrobiologi visualizzano Titano come una promettente dimora potenziale per la vita, suggerendo che gli organismi nativi potrebbero volare nell’aria della luna o nuotare nei suoi laghi e mari.

Quei nuotatori sarebbero molto diversi da tutto ciò che esiste qui sulla Terra, dato che si darebbero da vivere in metano liquido o etano piuttosto che in acqua. La superficie di Titano è troppo fredda perché l’acqua rimanga liquida, ma gli scienziati pensano che la luna ospiti un mare salato nel sottosuolo, come Encelado, Europa e un certo numero di altri corpi del sistema solare.

È quindi possibile che Titano ospiti due ecosistemi completamente diversi e separati- un mondo di superficie di “strana vita” che convive con un regno di organismi più familiari (per noi, comunque) dipendenti dall’acqua.

Esplorare i mari degli idrocarburi?

La maggior parte di ciò che sappiamo su Titano l’abbiamo imparato dalla missione Cassini-Huygens da 3,2 miliardi di dollari, che ha studiato Saturno e le sue numerose lune da vicino dal 2004 al 2017. La maggior parte di questo lavoro è stato fatto dall’orbiter Cassini Saturn della NASA, ma contributi significativi sono arrivati anche dal lander Huygens, una sonda dell’Agenzia Spaziale Europea-Agenzia Spaziale Italiana che ha toccato Titano nel gennaio 2005.

La NASA sta lavorando su un veicolo spaziale Titan proprio – un drone a otto rotori chiamato Dragonfly, che dovrebbe essere lanciato nel 2026. Se tutto va secondo i piani, Dragonfly atterrerà su Titano nel 2034, quindi studiare la chimica complessa della luna e la potenziale abitabilità in un certo numero di luoghi diversi.

Un sottomarino potrebbe essere il prossimo passo nell’esplorazione di Titan. L’agenzia non ha selezionato l’idea sub Titan come missione ufficiale, ma Oleson e il suo team hanno ottenuto due round di finanziamenti dal programma NASA Innovative Advanced Concepts (NIAC), che cerca di stimolare lo sviluppo di idee e tecnologie di esplorazione potenzialmente mutevoli. Queste due sovvenzioni NIAC, del valore di 100.000 e 500.000 dollari, sono state assegnate rispettivamente nel 2014 e nel 2015.

L’obiettivo principale del lavoro NIAC era quello di elaborare un progetto di ingegneria di base di un potenziale sottomarino Titan, Oleson ha detto.

“È possibile?”, Ha detto durante la presentazione FISO. “Quali tipi di tecnologie sono necessarie? Cosa c’è di unico in quell’ambiente?”

Le unicità sono a diversi livelli. Per esempio, anche se Titano è enorme per una luna, è molto più piccolo della Terra, con solo il 14% dell’attrazione gravitazionale del nostro pianeta. Ciò significa che un sottomarino su Titano non sperimenterebbe una pressione simile a quella di un sottomarino alla stessa profondità sulla Terra.

E il sottomarino Titano sarebbe in crociera attraverso un mezzo diverso da quelli qui sulla Terra. Ma questo non è necessariamente un aspetto negativo. Un sottomarino potrebbe spingere attraverso idrocarburi liquidi abbastanza facilmente, ha detto Oleson, e il liquido è trasparente ai segnali radio, consentendo la comunicazione con l’imbarcazione anche quando è sommersa.

Tali comunicazioni potrebbero raggiungere il sottomarino direttamente dalla Terra o essere trasmesse tramite un orbiter Titan, a seconda dell’architettura della missione.

Un sottomarino titano autonomo avrebbe bisogno di essere grande – circa 6 metri di lunghezza, con un peso (sulla Terra) di 1.500 kg – per ospitare le attrezzature di comunicazione necessarie. Un sottomarino con un compagno orbiter, al contrario, potrebbe inserire la stessa strumentazione scientifica in un corpo lungo appena 2 metri, con un peso di circa 500 kg.

Tale equipaggiamento scientifico dovrebbe includere, al minimo, un pacchetto di chimica che analizza i campioni di liquido, un imager di superficie, un sonar di profondità, una stazione meteorologica e uno strumento che misura le proprietà fisiche del mare circostante. Ulteriori strumenti potrebbero analizzare campioni di fondali marini e immagini del fondo dell’oceano.

I ricercatori hanno anche studiato la possibilità di rimanere in superficie con una barca, che avrebbe sondato le profondità del Titanic a intermittenza con piccoli dispositivi carichi di strumenti chiamati dropsondes. Questa sarebbe un’opzione meno rischiosa, ma Oleson ha detto che la ricompensa sarebbe anche inferiore.

“Stiamo perdendo la scienza, solo per il fatto che non possiamo immergere e fare un sacco di questi test,” ha detto dell’idea della barca.

Un sottomarino autonomo o un duo sub-orbiter sarebbero probabilmente missioni di punta, ha detto Oleson. Le ammiraglie sono le missioni più costose e ambiziose della NASA, con cartellini dei prezzi generalmente superiori a 2 miliardi di dollari in questi giorni. Ne sono un esempio Cassini-Huygens, il rover Curiosity di Marte e il rover Mars 2020 Perseverance, lanciato verso il Pianeta Rosso alla fine di luglio.

La NASA potrebbe essere in grado di portare a casa una missione in barca Titan tramite il suo programma New Frontiers. Le missioni New Frontiers, come Dragonfly e la sonda New Horizons Pluto, costano molto meno delle ammiraglie.

Le proposte per l’ultimo round di finanziamenti di New Frontiers, che ha portato alla selezione di Dragonfly nel giugno 2019, hanno dovuto rispettare un tetto di costo di 850 milioni di dollari (inclusi i costi di lancio o di missione).

Tutte le versioni di un esploratore marino Titano sarebbero a propulsione nucleare, proprio come Cassini e Dragonfly. Saturno si trova 10 volte più lontano dal sole della Terra, quindi la luce solare si diffonde piuttosto sottile su Titano. (E un sottomarino a energia solare sarebbe probabilmente una cattiva idea anche qui sulla Terra, dato che tali veicoli vivono nelle scure profondità)

Lancio nel 2030?

Le alte latitudini settentrionali di Titano ospitano quasi tutti i laghi e i mari della luna, compresi i due più intriganti obiettivi di esplorazione sottomarina, Kraken Mare e Ligeia Mare.

Entrambi questi mari sono enormi. Kraken Mare si estende per circa 400.000 km2 ed è profondo almeno 35 metri. Ligeia Mare ha un’area di 130.000 km2 e una profondità massima di 170 metri.

Come Saturno, Titano ha stagioni che durano circa sette anni terrestri a testa. Sarebbe meglio esplorare Kraken o Ligeia durante l’estate settentrionale di Titano, quando un veicolo spaziale potrebbe immagine delle coste in luce visibile e comunicare direttamente con i controllori di missione sulla Terra, ha detto Oleson.

Un arrivo 2045 a Titano sarebbe quindi una buona scelta, ha detto. Se la missione includeva un orbiter per le comunicazioni, arrivando durante la primavera settentrionale, intorno al 2040, è anche un’opzione, ha aggiunto Oleson.

Il viaggio verso Saturno dura circa sette anni, quindi una sub missione Titan di qualsiasi tipo avrebbe bisogno di lanciare nel 2030 (a meno che non vogliamo aspettare altri tre decenni per le stagioni di cambiare di nuovo).

Questa linea temporale “andrebbe bene con noi, essere in grado di prepararlo nel prossimo decennio a spingerci lì”, ha detto Oleson.

La stella più veloce della Via Lattea

Una stella che si sposta alla velocità di 24.000 chilometri al secondo e orbita vicinissimo al buco nero supermassiccio Sagittarius A*, presente al centro della galassia, ha battuto ogni record.

Commento di Luigi Borghi.

S4714

Chiamata S4714, è stata individuata da un gruppo di astrofisici dell’Università di Colonia, in Germania, che ne hanno descritto le caratteristiche in uno studio pubblicato sulle pagine della rivista di settore The Astrophysical Journal.

Pur procedendo a una velocità pari all’8% di quella della luce, la stella S4714 impiega 12 anni per completare il suo percorso attorno al buco nero. Durante il suo “viaggio” segue un’orbita piuttosto eccentrica, che ha la forma di un’ellisse molto allungata. Quando raggiunge il punto più vicino a Sagittarius A*, arriva a “sfiorarlo” da una distanza di 1,9 miliardi di chilometri. Durante questo avvicinamento, la stella incrementa la sua velocità fino a 24.000 chilometri al secondo, per poi rallentare quando si allontana.

Assieme a lei “corrono” anche altri quattro astri (S4711, S4712, S4713 e S4715), tra i più vicini mai osservati in prossimità del buco nero: battono persino la stella S2, che per anni ha detenuto il primato con una distanza minima di 18 miliardi di chilometri da Sagittarius A* e una velocità pari al 3% di quella della luce.

Una possibile conferma dell’esistenza delle “squeezar” (stelle “strizzate”, in inglese “squeezed”, dalla forza di gravità del buco nero supermassiccio).

La scoperta di queste stelle permette di suppore che il numero di astri presenti nelle vicinanze dei buchi neri sia maggiore di quanto ipotizzato finora. Nel 2003, alcuni scienziati avevano teorizzato l’esistenza delle “squeezar”, delle stelle così vicine a un buco nero da essere strizzate dalla sua forza di marea. Un’eventuale conferma di questa ipotesi potrebbe aiutare la comunità scientifica ad approfondire lo studio delle proprietà dei buchi neri e a testare vari aspetti della teoria della relatività.

Ad ogni  passaggio, le  forze di marea  convertono  una  frazione  dell’energia  orbitale   stretta della stella in  calore. Questo, in primo luogo, fa brillare la stella  più brillantemente di quanto farebbe normalmente e,  in secondo luogo,  contribuisce  al  decadimento orbitale della stella. In altre parole, le “squeezar” sono stelle morte  in orbita.

Commentato da Luigi Borghi

Eccovi le fonti:

https://www.sciencealert.com/the-fastest-star-in-the-galaxy-zooms-as-high-as-8-percent-of-the-speed-of-light

https://www.newscientist.com/article/2251894-the-fastest-star-in-our-galaxy-moves-at-8-per-cent-the-speed-of-light/?utm_source=NSDAY&utm_campaign=3760970948-NSDAY_170820&utm_medium=email&utm_term=0_1254aaab7a-3760970948-374105883

La sonda InSight della NASA è di nuovo protagonista!

InSight

Dopo altre attività di monitoraggio, la pala meccanica torna sulla sonda termica HP3 e finalmente la seppellisce con uno strato di materiale superficiale.

Seguo da tempo questo lander marziano a cui sono state delegate parecchie attività e che ha subito molte disavventure, in particolare proprio sulla sonda HP(“Heat Flow and Physical Properties Package”), destinata a misurare temperatura e flusso di calore nel suolo di Elysium planitia.

L’obiettivo della missione è quello di investigare sulla struttura interna di Marte allo scopo di ricavare degli indizi sulle fasi più remote della formazione dei pianeti terrestri nella più ampia formazione del sistema solare.

Il suo sensibilissimo sismometro SEIS sta già lavorando egregiamente.

Le disavventure e gli imprevisti sono stati tanti ma è impressionante quanto sia capace e flessibile l’operatività di questo robot, attraverso ovviamente le strategie inventate da Terra per superare le avversità. Un diligente instancabile operaio a disposizione (ma immobile) su Marte.

Oggi sembra che la pala robotica sia finalmente tornata ad occuparsi della sonda termica e speriamo che riesca a concludere l’operazione prima che cambi la stagione.

Ora è quasi interamente al di sotto del livello del terreno ed è ferma lì dal Sol 536 (30 Maggio).

Credit: NASA/JPL-Caltech.

Con l’arrivo a febbraio 2021 di Perseverance, collega di Curiosity e di Opportrunity, la comunità robotica NASA operativa su Marte comincia a diventare importante.

Si sta preparando l’arrivo dell’uomo.

Vi propongo l’articolo di Marco Di Lorenzo su AliveUniverse per approfondire i progressi fatti e ciò che ancora ci aspettiamo da InSight.

Commentato da Luigi Borghi.

Eccolo.

.https://aliveuniverse.today/speciale-missioni/marte/lander/insight/4692-la-sepoltura-della-talpa

Fotografato un sistema multiplanetario attorno ad una stella di tipo solare a 300 anni luce dalla Terra

TYC 8998-760

Ci stiamo muovendo velocemente verso la visione diretta dei pianeti extrasolari? Si. È vero! I moderni telescopi ottici di grandi dimensioni aiutano ed aiuteranno sempre di più in questa caccia. Anche i telescopi spaziali, con l’aiuto di sofisticati coronografi, sono e saranno in grado di regalarci informazioni ed immagini sempre più dettagliate.

Senza voler fare l’avvocato del diavolo però devo dire che non è da oggi che abbiamo questa capacità. Nell’immagine sottostante abbiamo la fotografia di un sistema planetario della stella HR 8799, distante 129 anni luce da noi, che dal 2009 a 2015 è stata oggetto di attente osservazioni che hanno poi portato alla individuazione di enormi pianeti orbitanti.

HR 8799 ospita quattro pianeti tipo “super-Giove” in orbita con periodi che vanno da decenni a secoli. L’interpolato di questa immagine è stato realizzato interpolando 7 immagini di HR 8799  nella costellazione di Pegaso, situata ad una distanza di 129 anni luce, prese dal telescopio Keck in 7 anni (2009-:-2015).

Maggiori informazioni su http://www.manyworlds.space/index.php/2017/01/24/a-four-planet-system-in-orbit-directly-imaged-and-remarkable/ Crediti: Creazione video e interpolazione di movimento: Jason Wang Analisi dei dati: Christian Marois Determinazione dell’orbita: Quinn Konopacky Acquisizione dei dati: Bruce Macintosh, Travis Barman, Ben Zuckerman

Anche i pianeti dell’articolo che vi propongo oggi che orbitano attorno alla TYC 8998-760-sono enormi.

TYC 8998-760-1b è circa 14 volte più massiccio di Giove e orbite a una distanza media di 160 unità astronomiche (AU), impiegando secoli. Possiamo dire una stella mancata perché la enorme forza di gravità di questa enorme massa produrrà sicuramente enormi temperature all’interno del pianeta, senza riuscire comunque ad innescare la fusione.

Insomma, per “vederli bene” dobbiamo aspettare la nuova generazione di telescopi a Terra (in vetta al Cerro Armazones, in Cile a 3000 metri, sta sorgendo l’European Extremely Large Telescope. Con uno specchio primario di 39 metri. Vedrà la prima luce nel 2025) e nello spazio (JWST della NASA. Verrà collocato in L2 Terra-Sole a circa 1,5 milioni di km dalla Terra, e sarà in grado di vedere nell’infrarosso. Operativo entro il 2022).

Ricordati sempre che vederli sarà presto possibile, andarci invece… scordiamocelo!

Commentato da Luigi Borghi.

Eccovi la traduzione dell’articolo.

Fotografato per la prima volta in assoluto un sistema multiplanetario attorno ad una stella di tipo solare a 300 anni luce dalla Terra.

I due pianeti appena ripresi sono enormi: 14 e 6 volte più massicci di Giove.

Il Very Large Telescope (VLT) dell’Osservatorio europeo meridionale in Cile, secondo un nuovo studio, ha fotografato due pianeti giganti che circondano TYC 8998-760-1, una stella molto giovane, analoga al nostro sole, che si trova a circa 300 anni luce dalla Terra,

“Questa scoperta è un’istantanea di un ambiente che è molto simile al nostro sistema solare , ma in una fase molto precedente della sua evoluzione”, ha detto in una nota l’ autore principale dello studio Alexander Bohn, uno studente di dottorato all’Università di Leida nei Paesi Bassi. 

I due pianeti giganti nel sistema TYC 8998-760-1 sono visibili come due punti luminosi al centro (TYC 8998-760-1b) e in basso a destra (TYC 8998-760-1c) dell’immagine, indicati dalle frecce. 

Sono visibili nell’immagine altri punti luminosi, che sono stelle di sfondo. 

Prendendo immagini diverse in momenti diversi, il team è stato in grado di distinguere i pianeti dalle stelle di sfondo. L’immagine è stata catturata bloccando la luce dalla giovane stella simile al sole (in alto a sinistra al centro) usando un coronagraph, che consente di rilevare i pianeti più deboli. Il luminoso e il buio visti sull’immagine della stella sono artefatti ottici.  (Credito immagine: ESO / Bohn et al.)

Prima di questo storico ritratto cosmico, solo due sistemi multiplanetari erano mai stati fotografati direttamente e nessuno dei due presentava una stella simile al sole, hanno detto i membri del team di studio. E scattare una foto anche di un solo esopianeta rimane un risultato raro.

“Anche se gli astronomi hanno rilevato indirettamente migliaia di pianeti nella nostra galassia, solo una piccola parte di questi esopianeti è stata fotografata direttamente”, ha affermato il co-autore Matthew Kenworthy, professore associato all’Università di Leida, nella stessa dichiarazione.

Bohn, Kenworthy e i loro colleghi hanno studiato la stella 17enne TYC 8998-760-1 di 17 milioni di anni con lo strumento di ricerca esopianeta ad alto contrasto Spectro-Polarimetrico del VLT, o SPHERE in breve. SPHERE utilizza un dispositivo chiamato coronagraph per bloccare la luce accecante di una stella, consentendo agli astronomi di vedere e studiare in orbita i pianeti che altrimenti andrebbero persi nel bagliore.

Le immagini SPHERE appena riportate hanno rivelato due pianeti nel sistema, TYC 8998-760-1b e TYC 8998-760-1c. Gli astronomi conoscevano già TYC 8998-760-1b – un team guidato da Bohn ha annunciato la sua scoperta alla fine dello scorso anno – ma TYC 8998-760-1c è un mondo ritrovato.

I due pianeti sono enormi e distanti. TYC 8998-760-1b è circa 14 volte più massiccio di Giove e orbite a una distanza media di 160 unità astronomiche (AU), e TYC 8998-760-1c è sei volte più pesante di Giove e si trova a circa 320 UA dalla stella ospite . (Una UA è la distanza media Terra-sole – circa 150 milioni di chilometri. Per fare un confronto: Giove e Saturno orbitano attorno al nostro sole a soli 5 UA e 10 UA, rispettivamente.)

Non è chiaro se i due mondi in TYC 8998-760-1 si siano formati nelle loro posizioni attuali o siano stati spinti fuori in qualche modo. I membri del team di studio hanno detto che ulteriori osservazioni, comprese quelle fatte da enormi osservatori futuri come l’Extremely Large Telescope (ELT) europeo, potrebbero aiutare a risolvere questo mistero.

Altre domande rimangono sul sistema TYC 8998-760-1. Ad esempio, i due giganti gassosi hanno compagnia? Diversi pianeti rocciosi potrebbero circolare relativamente vicino alla stella, come fanno nel nostro sistema solare? 

“La possibilità che strumenti futuri, come quelli disponibili sull’ELT, saranno in grado di rilevare anche pianeti di massa inferiore attorno a questa stella segna un’importante pietra miliare nella comprensione dei sistemi multiplanetario, con potenziali implicazioni per la storia del nostro sistema solare”, Disse Bohn.

Il nuovo studio è stato pubblicato online il 22 luglio 2020, in The Astrophysical Journal Letters.

Mike Wall è l’autore di “Out There” (Grand Central Publishing, 2018; illustrato da Karl Tate), un libro sulla ricerca della vita aliena. Seguilo su Twitter @michaeldwall. Seguici su Twitter @Spacedotcom o Facebook. 

Commentato da Luigi Borghi.

Ecco il link:

https://www.space.com/multiplanet-system-sun-like-star-first-photo.html