Gli scienziati hanno rilevato una quantità sorprendente, per la Terra, di Elio-3, una rara versione di Elio, che e’ famosa per la sua relativa abbondanza sulla superficie lunare e per la sua utilita’ per alimentare reattori a fusione nucleare con alto rendimento e con meno emissione di neutroni rispetto alla versione con Deuterio e Trizio (isotopi dell’Idrogeno). E’ stata trovata una abbondanza circa 67 volte maggiore del normale nelle rocce vulcaniche dell’isola canadese di Baffin, avvalorando la teoria secondo cui il gas nobile sta fuoriuscendo dal nucleo della Terra – e ciò avviene da millenni.
Il gruppo di ricerca ha rilevato anche l’Elio-4 all’interno delle rocce.
Ma mentre l’Elio-4 è comune sulla Terra, l’Elio-3 si trova più facilmente altrove nel cosmo, motivo per cui gli scienziati sono rimasti sorpresi nel rilevare una quantità maggiore dell’elemento rispetto a quanto precedentemente riportato nelle rocce dell’isola di Baffin. Uno studio che descrive la scoperta e’ stato pubblicato di recente sulla rivista Nature.
Questo non cambia molto nel forte interesse di Cina e Stati Uniti per l’Elio-3 lunare, siccome sulla Terra rimane comunque mooolto raro rispetto alla Luna. E quindi rimane tutto l’interesse per tornare sulla Luna, al di la’ ovviamente delle ovvie ragioni scientifiche e di esplorazione.
La scoperta scientifica e’ invece molto utile per caratterizzare meglio le profondita’ estreme del mantello terrestre, giu’ giu’ fino alla superficie del nucleo ferroso del nostro pianeta.
E’ stato osservato che la lava associata ai pennacchi del mantello hanno rapporti Elio-3/Elio-4 più elevati rispetto al mantello convettivo superiore, cosa che aiuta a raffinare i modelli geofisici, geodinamici e geochimici dell’interno profondo della Terra. Gli autori dell’articolo sostengono che la concentrazione estremamente elevata di Elio-3 rispetto all’Elio-4 potrebbe derivare direttamente dal nucleo della Terra.
Illustrazione schematica del trasferimento dal nucleo al pennacchio. Gli ossidi espulsi galleggianti dal nucleo esterno possono mescolarsi in una zona del mantello più bassa composto da mantello impoverito subdotto (cioè un cimitero di placche tettoniche affondate decine di milioni di anni fa). Il mantello arricchito da materiale derivato dal nucleo potrebbe quindi ereditare elevati livelli di Elio-3 dal nucleo. Nel corso di decine di milioni di anni, l’Elio derivato dal nucleo potrebbe poi diffondersi nel mantello impoverito circostante. Entrambi i domini – uno arricchito da ossidi derivati dal nucleo, l’altro dalla diffusione di Elio – potrebbero essere incorporati nei pennacchi del mantello, come il pennacchio (di tipo “islandese”) che ha prodotto le lave dell’isola di Baffin.
Distribuzione globale dell’abbondanza di Elio-3 (ppb – parts per billion) per la superficie lunare: (a) lato vicino, (b) lato lontano.
A circa tre settimane dal primo test di volo di Starship, costituita dalla Ship24 e dal Booster7 (Super Heavy) vediamo qual è la situazione e, soprattutto, quali aspettative ci sono per i tempi del prossimo volo, dopo le informazioni e le immagini che sono state pubblicate I problemi emersi ed i lavori che SpaceX deve svolgere sono molti, ma la buona notizia è che potremmo assistere ad un altro volo entro la fine di quest’anno.
Starship è esplosa in volo dopo 3 minuti e 59 secondi dal decollo, mediante l’attivazione di una procedura di autodistruzione quando il controllo volo ha verificato che il volo era ormai fuori controllo
La quota massima raggiunta è stata di 39 km, mentre l’esplosione è avvenuta a 29 km di altezza.
Poco prima del lancio, erano presenti delle anomalie su 3 dei 33 motori Raptor del Booster 7. Il team di SpaceX ha deciso di disabilitarli invece di interrompere il lancio.
Questa decisione, sebbene rischiosa, non è stata ciò che ha causato la perdita del veicolo.
Quello che l’ha determinata è stata una serie di problemi in volo, che hanno coinvolto il Thrust Vector Control (TVC), un sistema fondamentale per guidare il veicolo in volo.
Il Thrust Vectoring è la capacità di un aereo, razzo o altro veicolo di manipolare la direzione della spinta dai suoi motori per controllare l’assetto e/o la velocità angolare del veicolo. Il TVC, quindi, mantiene l’assetto corretto del veicolo per la durata della spinta ruotando (gimbaling) la camera di spinta oppure reindirizzando il flusso dei gas di scarico in modo che la spinta generi una coppia nel veicolo e, quindi, permetterne il re-direzionamento.
Funzionamento (molto) schematico del TVC: (1) Una perturbazione agisce su Starship – (2) La traiettoria viene alterata in modo indesiderato – (3) Entra in azione il TVC che modifica la direzione della spinta – (4) Starship riacquisisce il corretto assetto di volo
Dopo il lancio, i problemi hanno iniziato a palesarsi a T+27 secondi di volo, quando il Raptor 19 ha interrotto le comunicazioni con il controllo volo a causa di una esplosione che, a sua volta, ha danneggiato le schermature dei motori Raptor 17 e 20.
Nonostante avesse più motori spenti, il Booster 7 ha continuato comunque, e stoicamente, il suo volo.
A T+62, si sono verificati danni alla schermatura del motore 30; nonostante ciò, il volo è proseguito per altri 23 secondi prima che tutte le capacità TVC andassero compromesse e ciò è accaduto quando anche il Raptor 6 è andato perso.
SpaceX dovrà, quindi verificare attentamente le problematiche che hanno causato i malfunzionamenti dei Raptor, ma non sembra che sia una cosa ardua … dopotutto solo uno è … esploso.
A quel punto è stato attivato il Flight Termination System (FTS)
Il sistema FTS garantisce la capacità di terminare il volo del veicolo in modo controllato, ed è costituito da diversi tipi di componenti o procedure a bordo del veicolo come, ad esempio, un sistema di autodistruzione avviato a distanza; ma potrebbe anche essere costituito da sistemi di separazione e di rilascio di paracadute.
Questo tipo di sistemi deve essere completamente indipendente. Per questo motivo un FTS deve disporre di un proprio datalink di comunicazione dedicato, l’FTS sarà, così, in grado di terminare il volo anche in caso di malfunzionamenti nel sistema principale di comunicazione.
Tornando al lancio, come ha dichiarato Elon Musk, “ci è voluto troppo tempo per distruggere i serbatoi” di Starship. L’FTS è stato attivato non appena i dati e le telemetrie hanno fatto comprendere che il volo era ormai fuori controllo, ma ci sono voluti ben “40 secondi” per completare la distruzione dei serbatoi.
A questo punto occorrerà un’analisi e un ripensamento per la riqualificazione, e il ridisegno, dell’FTS. Forse questo è il requisito che richiederà più tempo per essere aggiornato e realizzato prima del prossimo lancio.
Per quanto riguarda i danni al Pad di lancio, pare che la loro entità sia, in realtà, abbastanza contenuta e che il ripristino della struttura non richieda più di 6-8 settimane.
Elon Musk afferma che Il “rock tornado” (NdR: perdoniamogli questo orrendo neologismo) generato al decollo sotto il Booster, non ha causato danni ai motori o al pad del Raptor.
La Torre di Lancio è integra e l’Orbital Launch Mount (OLM), ovvero la struttura su cui poggia Starship, ha danni, tutto sommato, non gravi.
Il cratere sottostante, invece, è stato più ampio del previsto ed ha piegato i supporti dell’OLM in quanto la potenza del getto ha compresso la sabbia sottostante e frantumato il calcestruzzo più di quanto era stato calcolato.
Dal punto di vista ambientale, tutto sommato, non si sono evidenziati danni significativi all’ambiente in quanto, seppure il lancio abbia sollevato una grande quantità di polvere, i propellenti e le sostanze utilizzate non hanno una tossicità elevata, trattandosi di ossigeno, metano ed azoto criogenici.
Al momento, come accade per qualsiasi anomalia di lancio, SpaceX e la Federal Aviation Administration (FAA) stanno conducendo un’indagine congiunta su quanto accaduto.
Ad ogni modo in SpaceX si stanno già indirizzando una serie di modifiche a Starship ed al Pad di lancio la cui realizzazione è pianificata per i prossimi mesi.
Sotto l’OLM verrà installata, e collegata ai suoi supporti per rinforzarne la struttura, una spessa piastra d’acciaio raffreddata ad acqua.
I serbatoi verticali del Ground Support Equipment (GSE) dell’Orbital Tank Farm saranno sostituiti con serbatoi orizzontali.
Il booster che dovrebbe eseguire il prossimo volo sarà Booster9, su cui verranno effettuati una moltitudine di aggiornamenti, tra cui il ridisegno del Thrust Vector Control (TVC)
Nelle prossime settimane verrà definita la Ship da posizionare su Booster9
Per quanto riguarda le procedure di lancio, i motori verranno accesi un po’ più avanti nel conto alla rovescia, dimezzando il tempo di attesa da 5 a 2,5 secondi
L’obiettivo per il Flight 2, che seguirà lo stesso piano di volo del Flight 1, è di arrivare al distacco dalla Ship dal primo stadio (Booster9) e, si spera, di raggiungere l’orbita.
Il primo test è stato, nel complesso un successo; ad esempio, l’integrità strutturale di tutta la Starship sembra addirittura migliore di quanto si aspettasse a questo stadio di sviluppo. Uno degli obbiettivi principali che SpaceX si era prefissata era di raggiungere e superare Max Q, ovvero il momento di massimo stress strutturale: e l’obiettivo è stato raggiunto a T+55 secondi. Addirittura, Starship ha retto alle enormi sollecitazioni strutturali che ha subito nelle fasi immediatamente precedenti all’esplosione delle cariche attivate dal Flight Termination System (FTS)
A detta di Elon Musk c’è una probabilità dell’80% che Starship raggiunga l’orbita quest’anno e una “probabilità del 100%” nei prossimi 12 mesi.
Sappiamo che Elon Musk è sempre ottimista, ma ci aspettiamo di vedere un nuovo test di lancio abbastanza presto. Dev’essere così se SpaceX dovrà onorare l’impegno preso con la NASA per partecipare alla missione Artemis III prevista per il 2025. Starship è stata, infatti, individuata come lander lunare di quella missione.
Starship è una concezione totalmente nuova di un sistema per l’accesso allo spazio, ed i problemi tecnici sono enormi. Ma i progressi ci sono … eccome.
E’ una grande sfida e parafrasando Kennedy possiamo affermare che la la scelta della strada prescelta è stata fatta così “not because it’s easy, but because it’s hard”.
Ricordiamoci che stiamo ritornando sulla Luna per … restarci, e per questo servono scelte radicali, che permettano di abbattere i costi e di trasportare tanto materiale e tante persone in sicurezza e con continuità.
Lo ha affermato alla conferenza internazionale IAC 2022 (International Astronautical Congress) presentando due studi:
1) Navette riutilizzabili.
Il primo progetto riguarda la navicella riutilizzabile SUSIE (Smart Upper Stage for Innovative Exploration).
Lo scopo è quello di fornire una navicella riutilizzabile per non dipendere più né dalla Russia (con Soyuz) né dagli USA (con Crew Dragon o Boeing Starliner).
ArianeGroup SUSIE: la navicella spaziale riutilizzabile europea
2) Booster riutilizzabili.
Il secondo (già noto da tempo) Ariane Group svilupperà i razzi spaziali riutilizzabili ed ecologici per ESA e l’Europa. Anche questo è un progetto che ha come obiettivo il 2026.
Il progetto di sviluppo si chiama SALTO (Reusable StrAtegic space Launcher Technologies & Operations) dedicato all’atterraggio dei nuovi vettori che eseguiranno i test dimostrativi da Kiruna in Svezia.
ENLIGHTEN (European iNitiative for Low cost, Innovative & Green High Thrust Engine) invece sarà dedicato ai motori riutilizzabili e sarà il successore di Prometheus. Questi propulsori dovrebbero impiegare metano o idrogeno (insieme all’ossigeno) come alimentazione.
Con l’arrivo di SpaceX sul mercato dei lanci spaziali molto è cambiato sul come affrontare (e a quali costi) l’immissione di un carico utile in orbita. La società di Elon Musk, grazie a un vettore ormai affidabile come Falcon 9, può contare su prezzi ridotti e su una cadenza di lancio impressionante (per esempio recentemente sono state effettuate tre missioni in due giorni).
Ora finalmente anche l’ESA vuole cercare di percorrere la stessa strada e lo farà grazie Un dettaglio del progetto lo trovate qui:
In questi giorni su molti media si parla della scoperta della vita su Marte. Credo utile divulgare un chiarimento in merito al fine di evitare false interpretazioni. Avevo pensato di preparare un articolo specifico poi ho trovato invece su Coelum una sintesi molto chiara che quindi vi ripropongo in questo link.
Sono troppi gli argomenti interessanti di questo periodo di fine anno quindi mi limiterò a parlarvi delle notizie che ritengo meritino attenzione per importanza strategica, peculiarità e proiezione nel 2022.
Davanti a tutti vi è sicuramente il lungo viaggio del JWST, che è decollato il giorno di Natale dalla base di lancio ESA del Centro spaziale guyanese, sito a Kourou nella Guyana francese con un Ariane 5. Un lancio perfetto!
Ma non mi voglio dilungare oltre anche perché per saperne di più abbiamo il nostro Roberto Castagnetti che ci tiene continuamente aggiornati sulla complicatissima missione da 10 miliardi di dollari, che culminerà con l’arrivo in L2 a oltre 1,5 milioni di km da Terra.
Trovate tutti gli aggiornamenti sul nostro canale Telegram “Il COSMo News” a cui vi rimando.
Poi vorrei anche aggiornarvi sugli eventi in fase di sviluppo che sono attesi nel 2022 e che determineranno una svolta nella esplorazione spaziale.
L’evento più attesa sarà sicuramente la “prima luce” del JWST, le prime immagini che promettono di farci vedere galassie mai viste prima createsi quando il nostro universo era appena nato e forse anche qualche primo piano di pianeti extrasolari o quantomeno la composizione della loro eventuale atmosfera.
Poi abbiamo spero finalmente a marzo la prima missione Artemis1, che vedrà il lancio dello SLS della NASA. Il mitico Space Launch System, che ha collezionato ritardi ed extracosti da record, porterà la navicella ORION, con un manichino a bordo, a fare qualche orbita intorno alla Luna. SLS Sarà il vettore statunitense che riporterà gli astronauti sulla Luna a metà decennio. Artemis 1 avrà il compito di validare i mezzi (SLS non ha mai volato mentre la ORION ha già fatto un volo a 5000 km di quota), le comunicazioni e le nuove strategie. Sarà il più grande razzo mai costruito, almeno fino a che non arriverà la Starship della SpaceX.
3) Infatti, l’altro evento sarà il primo volo orbitale della Starship di Elon Musk, che dovrebbe avvenire in primavera. La Starship verrà portata in orbita bassa dal possente razzo Super Heavy, sempre della SpaceX. Questo evento assumerà particolare importanza dato il fatto che la NASA avrebbe scelto questo mezzo, cioè la Starship, come sistema di allunaggio per il progetto Artemis. Se tutto andrà come previsto, questa “navetta” di una cinquantina di metri verrà caricata sopra ad un SLS (o su un Super Heavy) e spedita sulla Luna, con astronauti a bordo. Un altro grande passo per l’umanità, direbbe Neil Armstrong.
4) Prevista a settembre la partenza per l’orbita terrestre del nuovo razzo pesante New Glenn della Blue Origin (di Jeff Bezos) che conta di entrare nel ricco mondo dei lanciatori con questo nuovo razzo pesante di ultima generazione. Ne parleremo approfonditamente nel corso del 2022.
5)Avremo poi finalmente il debutto come contractor per la NASA dello Starliner, la navetta della Boeing, che insieme alla Crew Dragon della SpaceX fornirà il servizio taxi da e per la Stazione Spaziale Internazionale. Lo Starliner, chiamato anche CST-100, è già stato in orbita senza equipaggio ma per problemi di software non riuscì ad agganciarsi alla ISS, quindi, dovette tornare sulla Terra dove atterrò senza problemi come previsto. A maggio e poi a settembre 2022 la Starliner inizierà i voli per il trasporto di materiali e uomini alla ISS. Un programma che ha subito ritardi incredibili ma che sono convinto porterà una alternativa valida perché con questo mezzo, per la prima volta dopo gli Space Shuttle, gli astronauti torneranno sulla terra nel deserto e non in acqua come la Orion o la Crew Dragon. In realtà già lo fanno sia la Virgin Galactic che la Blue Origin, ma con equipaggi di voli suborbitali.
6) Andrà finalmente in orbita il mitico DREAM CHASER. I primi lanci sono previsti per marzo, giugno, agosto e novembre 2022. Costruito da Sierra Space con grandi ambizioni, Dream Chaser è un mini Space Shuttle: lungo nove metri (circa la metà degli Shuttle), è lanciato da un razzo e atterra su pista. Nel 2022 effettuerà una serie di voli di prova programmati verso l’ISS, per missioni di rifornimento e recupero di esperimenti scientifici per conto della NASA. Nessuna di queste missioni sarà pilotata, ma Dream Chaser può ospitare sette astronauti che, probabilmente, inizieranno a prendere posto sulla navetta tra il 2023 e il 2024.
7) La sonda Juno della NASA catturerà un primissimo piano di Europa, una delle lune di Giove, a febbraio e a settembre 2022. La sonda, in orbita attorno a Giove dal 2016, ha già avuto un incontro a distanza ravvicinata con Europa nell’ottobre 2021. Tuttavia nel 2022 la navicella, costata 1,1 miliardi di dollari, osserverà Europa da una distanza di 47.000 chilometri a febbraio, per poi arrivare a soli 355 chilometri dalla superficie a settembre.
8) Partirà verso Giove anche la sonda europea: JUICE. La partenza della sonda dell’ESA è fissata per maggio. Dopo il lancio, la JUpiter ICy moons Explorer (JUICE) dovrà sostenere un lungo viaggio verso il pianeta gigante del Sistema Solare: l’arrivo è previsto per il 2029. A quel punto, per almeno tre anni e mezzo JUICE ci permetterà di studiare le lune di Giove: Ganimede, Europa e Callisto.
9) Comincerà sul serio la ricerca mineraria sugli asteroidi. Con la missione Psyche, in partenza nell’agosto 2022, l’ente spaziale americano vuole un primo piano di uno degli oggetti più intriganti e forse tra i più preziosi che conosciamo, l’asteroide 16 Psyche. Il lanciatore della missione che sarà completamente robotica e a basso costo sarà uno SpaceX Falcon Heavy. Con questa missione la NASA ha l’obiettivo di scoprire se quell’oggetto è davvero composto di ferro e nichel (e se vale la pena aprire lì una miniera) e per capire come si è formato.
10) ExoMars: Europa e Russia su Marte. Dopo numerosi ritardi la partenza è fissata per il 20 settembre 2022. l’Agenzia spaziale europea e quella russa (Roscosmos) avviano infine la missione congiunta – ExoMars – verso il Pianeta Rosso. Una finestra di lancio di 12 giorni si aprirà il 20 settembre 2022 e si prevede che il rover, battezzato Rosalind Franklin, possa atterrare su Marte il 10 giugno 2023.
11) Il 2 ottobre 2022 il Double Asteroid Redirection Test (DART) della NASA e dell’Agenzia spaziale europea andrà a impattare contro Dimorphos, piccola luna dell’asteroide 65803 Didymos. Un esperimento importante per trovare il modo più corretto per deviare un asteroide nel caso fosse in rotta di collisione con la Terra.
12) Partirà il primo modulo del Gateway, in orbita tra la Terra e la Luna. Non solo: la Luna nel 2022 diventerà oggetto di una decina di missioni private. Alcune saranno composte solamente da sonde che rimarranno in orbita lunare, altre porteranno sul nostro satellite esperimenti di vario tipo. Se non si regolamenterà a livello internazionale che vincoli anche i provati la Luna diventerà un nuovo far west.
13) Poi abbiamo i cinesi con la loro Tiangong 3, la nuova stazione spaziale che sarà completamente operativa nel 2023, ma che nel 2022 vedrà il maggior impegno nell’assemblaggio in orbita.
14) Infine, ma non meno importanti, abbiamo un gran da fare su Marte, ormai con 3 Rover attivi: due americani ed uno cinese, ed una fitta rete di orbiter europei, americani, arabi e cinesi. Il 2022 potrebbe essere l’anno della svolta nella ricerca di tracce di vita passata nel sottosuolo marziano.
NUOVE TECNOLOGIE
Come dicevo, oltre ai fatti eclatanti che caratterizzeranno il prossimo anno e sperando che il covid stia sparando le sue ultime cartucce, vi voglio parlare anche di una notizia che ritengo interessante perché riguarda una tecnologia veramente innovativa: la levitazione sulla Luna!
Gli ingegneri del MIT testano un’idea per un nuovo rover lunare a levitazione
Questa illustrazione mostra un’immagine concettuale del rover.
Gli ingegneri aerospaziali del MIT stanno testando un nuovo concetto per un rover sospeso che levita sfruttando la carica naturale della luna.
Poiché non hanno un’atmosfera, la luna e altri corpi senz’aria come gli asteroidi possono creare un campo elettrico attraverso l’esposizione diretta al sole e al plasma circostante. Sulla luna, questa carica superficiale è abbastanza forte da far levitare la polvere a più di 1 metro dal suolo, proprio come l’elettricità statica può far rizzare i capelli di una persona. La bassa magnitudine del campo elettrico superficiale naturale (ordine 10 V / m) limita comunque fortemente la capacità di un veicolo di sfruttare la levitazione elettrostatica come strategia di manovra, in particolare su grandi corpi planetari, come la Luna
Gli ingegneri della NASA e altrove hanno recentemente proposto di sfruttare questa carica superficiale naturale per far levitare un aliante con ali in Mylar, un materiale che mantiene naturalmente la stessa carica delle superfici dei corpi senz’aria. Hanno ragionato che le superfici con carica simile dovrebbero respingersi, con una forza che solleva l’aliante da terra.
Ma un tale progetto sarebbe probabilmente limitato a piccoli asteroidi, poiché i corpi planetari più grandi avrebbero un’attrazione gravitazionale più forte e contrastante.
Il rover levitante del team del MIT potrebbe potenzialmente aggirare questo limite di dimensioni.
Il concept, che ricorda un disco volante in stile retrò, utilizza minuscoli fasci di ioni per caricare il veicolo e aumentare la carica naturale della superficie. L’effetto complessivo è progettato per generare una forza repulsiva relativamente grande tra il veicolo e il suolo, in un modo che richiede pochissima potenza.
In uno studio di fattibilità iniziale, i ricercatori mostrano che un tale aumento di ioni dovrebbe essere abbastanza forte da far levitare un piccolo veicolo da 2 libbre sulla luna e grandi asteroidi come Psiche.
I risultati del team appaiono nell’ultimo numero del Journal of Spacecraft and Rockets. I coautori di Jia-Richards sono Paulo Lozano, il professore di aeronautica e astronautica M. Aleman-Velasco e direttore dello Space Propulsion Lab del MIT; e l’ex studente in visita Sebastian Hampl, ora alla McGill University.
Forza ionica.
Il design levitante del team si basa sull’uso di propulsori ionici in miniatura, chiamati sorgenti ioniche ioniche-liquide. Questi piccoli ugelli microfabbricati sono collegati a un serbatoio contenente liquido ionico sotto forma di sale fuso a temperatura ambiente. Quando viene applicata una tensione, gli ioni del liquido vengono caricati ed emessi come un raggio attraverso gli ugelli con una certa forza.
Il team di Lozano ha aperto la strada allo sviluppo di propulsori ionici e li ha utilizzati principalmente per spingere e manovrare fisicamente piccoli satelliti nello spazio. Recentemente, Lozano aveva visto una ricerca che mostrava l’effetto levitante della superficie carica della luna sulla polvere lunare.
Ha anche preso in considerazione il progetto dell’aliante elettrostatico della NASA e si è chiesto: un rover dotato di propulsori ionici potrebbe produrre abbastanza forza repulsiva ed elettrostatica da librarsi sulla luna e su asteroidi più grandi?
Per testare l’idea, il team ha inizialmente modellato un piccolo rover a forma di disco con propulsori ionici che caricavano da solo il veicolo. Hanno modellato i propulsori per irradiare ioni caricati negativamente fuori dal veicolo, il che ha effettivamente conferito al veicolo una carica positiva, simile alla superficie caricata positivamente della luna.
Ma hanno scoperto che questo non era abbastanza per far decollare il veicolo.
Puntando poi ulteriori propulsori a terra ed emettendo ioni positivi per amplificare la carica della superficie, il team ha pensato che il boost potesse produrre una forza maggiore contro il rover, sufficiente a farlo levitare da terra.
Hanno elaborato un semplice modello matematico per lo scenario e hanno scoperto che, in linea di principio, potrebbe funzionare.
Sulla base di questo semplice modello, il team ha previsto che un piccolo rover, del peso di circa due libbre, potrebbe raggiungere una levitazione di circa un centimetro da terra, su un grande asteroide come Psiche, utilizzando una sorgente di ioni da 10 kilovolt. Per ottenere un simile decollo sulla luna, lo stesso rover avrebbe bisogno di una sorgente da 50 kilovolt.
Questo tipo di design ionico utilizza pochissima energia per generare molta tensione.
In sospensione.
Per essere sicuri che il modello rappresentasse ciò che potrebbe accadere in un ambiente reale nello spazio, hanno eseguito un semplice scenario nel laboratorio di Lozano.
I ricercatori hanno prodotto un piccolo veicolo di prova esagonale del peso di circa 60 grammi e delle dimensioni del palmo di una mano. Hanno installato un propulsore ionico rivolto verso l’alto e quattro verso il basso; quindi, hanno sospeso il veicolo su una superficie di alluminio da due molle calibrate per contrastare la forza gravitazionale terrestre. L’intera configurazione è stata collocata all’interno di una camera a vuoto per simulare l’ambiente senz’aria della luna e degli asteroidi.
I ricercatori hanno anche sospeso un’asta di tungsteno dalle molle dell’esperimento e hanno usato il suo spostamento per misurare la forza prodotta dai propulsori ogni volta che venivano attivati. Hanno applicato varie tensioni ai propulsori e misurato le forze risultanti, che hanno poi usato per calcolare l’altezza che il solo veicolo avrebbe potuto levitare. Hanno trovato questi risultati sperimentali abbinati alle previsioni dello stesso scenario dal loro modello, dando loro la certezza che le sue previsioni per il volo di un Rover su Psiche e sulla luna fossero realistiche.
Il modello attuale è progettato per prevedere le condizioni richieste per ottenere semplicemente la levitazione, che si trovava a circa 1 centimetro da terra per un veicolo da 2 libbre.
I propulsori ionici potrebbero generare più forza con una tensione maggiore per sollevare un veicolo più in alto da terra. Ma Jia-Richards afferma che il modello avrebbe bisogno di essere rivisto, poiché non tiene conto di come si comporteranno gli ioni emessi ad altitudini più elevate.
“In linea di principio, con una migliore modellazione, potremmo levitare ad altezze molto più elevate”, afferma.
In tal caso, Lozano afferma che le future missioni sulla luna e sugli asteroidi potrebbero schierare rover che utilizzano propulsori ionici per librarsi e manovrare in sicurezza su terreni sconosciuti e irregolari.
Con un Rover levitante, non ci si deve preoccupare delle ruote e il percorso potrebbe essere totalmente irregolare, tipico di un asteroide o della Luna.
Gli esperimenti vengono condotti in un ambiente di laboratorio per dimostrare la fattibilità dell’utilizzo di sorgenti ioniche ioniche-liquide per la ricarica combinata di veicoli e superfici creando una forza elettrostatica di 1 mN attraverso il trasporto di carica e richiedendo solo 0,2 mW di potenza in ingresso.
Questa ricerca è stata supportata, in parte, dalla NASA.
Due aspetti che hanno poco a che fare l’uno con l’altro ma sono notizie che meritano attenzione.
DETRITI! Partiamo dai detriti che hanno colpito la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) per fortuna senza grossi danni, ma che hanno comunque costretto ad un cambio di quota per evitare il peggio.
Per questo “incidente” dobbiamo ringraziare ancora una volta i Cinesi e il loro leader Xi Jinping che con i loro test militari per attribuirsi la capacità di distruggere satelliti in orbita bassa hanno fatto la frittata. La spazzatura spaziale infatti è stata lasciata dal satellite cinese Fengyun-1C, secondo quanto riferito dalla Russian State Space Corporation Roscosmos.
Il satellite cinese è stato distrutto nel 2007 in un test missilistico anti-satellite.
Esplose in più di 3.500 pezzi di detriti, la maggior parte dei quali sono ancora in orbita attorno al pianeta.
Piani orbitali noti di detriti Fengyun-1C un mese dopo la sua disintegrazione da parte dell’ASAT cinese (orbite esagerate per la visibilità).
All’inizio di quest’anno un pezzo di questa spazzatura spaziale ha colpito il sistema robotico remoto canadesedella ISS, ma l’incidente non ha influito sul funzionamento del dispositivo o dell’ISS in generale.
Secondo quanto riferito dalla Russian State Space Corporation Roscosmos, la Stazione Spaziale Internazionale ha dovuto poi comunque eseguire una manovra per evitare una collisione con la spazzatura spaziale.
Si legge nel comunicato.
“L’altitudine orbitale dell’Iss è stata innalzata per evitare la congiunzione con i detriti spaziali. Secondo i dati preliminari, la manovra ha alzato l’orbita della stazione di circa 1,2 chilometri”.
Illustrazione della famiglia cinese di satelliti meteorologici Fengyunello SPARC.
Poteva andare molto peggio! Questo incidente (non è stato l’unico) fa pensare parecchio su quanto la spazio stia diventando pericoloso. Già lo è senza bisogno dell’intervento umano, con temperature estreme, vuoto e radiazioni. Ma quei vincoli almeno si conoscono, mentre i detriti, quelli piccoli sotto al centimetro di diametro, sono insidiosi, maledettamente insidiosi e possono essere fatali. Devo dire ad amor del vero che questi esperimenti di distruzione di satelliti a scopo militare non sono stati un’idea dei soli cinesi. Prima di loro ci hanno provato americani e russi.
Ora non dobbiamo fare altro che aspettare lo facciano anche indiani, inglesi, francesi, iraniani e israeliani poi siamo veramente a posto ed avremo la certezza che qualche “pezzo” della imbecillità umana farà veramente un disastro.
Di positivo in questa notizia c’è il fatto che se si prevede in tempo untile la traiettoria dell’intruso il disastro si può evitare. Assomiglia molto alla dinamica degli asteroidi: se arrivi un tempo ci salviamo tutti.
LA LUNA. L’altra notizia riguarda il mitico progetto Atrtemis della NASA di riportare un uomo, anzi una donna, sulla Luna che aveva subito uno stop “giudiziario”. Infatti, a seguito della reazione di Jeff Bezos della Blue Origin (ed anche di Amazon) che non aveva digerito la scelta della NASA di affidare alla SpaceX del suo rivale Elon Musk il contratto per il lander lunare di Artemis HLS, il progetto Arteims subì uno stop. Diciamo che forse, visti i ritardi del primo lancio del megarazzo SLS, i ritardi vi sarebbero stati ugualmente. Comunque, ora sembra tutto sbloccato e che il gentil-piede sulla Luna si vedrà non nel 2024, come promesso da Trump, ma l’anno dopo, nel 2025.
Infatti, la U.S. Court of Federal Claims ha respinto la denuncia di Blue Origin alla NASA, facendo di fatto riprendere la corsa alla Luna!
Facendo un passo indietro, come sapete eravamo rimasti un po’ impantanati con il programma Artemis in un procedimento legale. Blue Origin infatti aveva intentato una causa contro la NASA lo scorso 13 agosto. La denuncia era stata fatta allo U.S. Court of Federal Claims, un tribunale federale americano che esamina le richieste contro il governo e che ha giurisdizione sulle proteste dopo le revisioni del GAO
A ciò si era aggiunta più recentemente la raccomandazione che l’Appropriations Committee, il più grande comitato del Senato Americano che sovrintende a tutta la legislazione di spesa discrezionale del Senato stesso, aveva rivolto alla NASA affinché scegliesse una seconda azienda, oltre a SpaceX vincitrice del contratto per il primo lander lunare di Artemis HLS, per sviluppare anch’essa un secondo sistema di allunaggio.
La notizia del rigetto della U.S. Court of Federal Claims è arrivata ieri.
Il tribunale federale si è espresso a favore dell’ente spaziale americano sostenendone la scelta effettuata in sede di assegnazione del contratto a SpaceX per la realizzazione del primo lander lunare HLS (Human Landing System) del programma Artemis.
Via libera quindi alla NASA per riprendere il più presto possibile le attività con l’azienda di Elon Musk per tornare “al pezzo”.
Rendering dello starship della SpaceX sulla superficie lunare come lander di Artemis.Lo vedremo (forse) nel 2025.
Inoltre, la NASA continuerà a lavorare con varie società americane per rafforzare e stimolare la concorrenza per i sistemi di trasporto per esseri umani sulla superficie lunare. A breve, infatti, ci saranno nuove opportunità per le aziende private di collaborare con la NASA per stabilire una presenza umana a lungo termine sulla Luna, sempre nell’ambito del programma Artemis.
Tra queste, nel 2022 partirà una selezione indirizzata alle aziende USA per fornire servizi di atterraggio lunare per esseri umani.
In una teleconferenza stampa svoltasi martedì scorso nove novembre è stato presentato da parte dei vertici della NASA quello che è il primo aggiornamento ufficiale dell’Agenzia sotto l’amministrazione Biden-Harris, riguardante il programma Artemis di esplorazione della Luna. Qui la conferenza:
L’amministratore capo della NASA Bill Nelson ha guidato la teleconferenza, tracciando il percorso per le prime missioni di Artemis, che precederanno le missioni con esseri umani sulla superficie lunare. Tra l’altro Nelson ha detto: “Siamo soddisfatti della valutazione approfondita della US Court of Federal Claims sul processo di selezione della NASA per il sistema di atterraggio per esseri umani (HLS, Human Landing System) ed abbiamo già ripreso il dialogo con SpaceX. È chiaro che siamo entrambi ansiosi di tornare a lavorare insieme e stabilire un nuovo cronoprogramma per le nostre missioni dimostrative lunari iniziali. Ritornare sulla Luna nel modo più rapido e sicuro possibile è una priorità dell’agenzia.
Tuttavia, con la recente denuncia ed altri fattori, il primo atterraggio umano di Artemis avverrà probabilmente non prima del 2025″.
Nel frattempo, la NASA continua le attività sui test flight Artemis I (senza equipaggio) ed Artemis II, con equipaggio intorno alla Luna, quest’ultimo programmato entro maggio 2024.
A ciò seguirà una missione SpaceX di test, la prima che farà atterrare senza equipaggio il proprio lander lunare.
Solo dopo questo test potrà aver luogo Artemis III, la prima missione dai tempi del programma Apollo che riporterà gli esseri umani sulla superficie del nostro satellite naturale.
La NASA prevede di lanciare una nuova call la prossima primavera alla ricerca di nuovi servizi di atterraggio lunare per esseri umani.
Nelson: “Guardando avanti, la NASA sta pianificando per il futuro almeno 10 allunaggi, e l’agenzia ha bisogno di aumenti significativi dei finanziamenti per la futura competizione dei lander, a partire dal budget del 2023″.
Nel frattempo, vi è l’impegno di ridurre i costi e snellire le operazioni tutt’ora in corso. L’agenzia ha inviato una richiesta di informazioni all’industria per massimizzare l’efficienza dello Space Launch System (SLS) ed ha anche chiesto ai partner industriali di realizzare tute spaziali e fornire servizi di passeggiate spaziali per le missioni sia della Stazione Spaziale Internazionale che per il programma Artemis.
Non vi sono ripercussioni sui successivi programmi delle missioni Artemis e sui piani per le attività di superficie sulla Luna, incluso lo sviluppo del Gateway Lunare e le altre attività previste per i prossimi anni.
La NASA insieme ai partner internazionali e commerciali sta infatti costruendo il Gateway Lunare, un avamposto che orbiterà intorno alla Luna che fornirà infrastrutture e funzionalità critiche per l’esplorazione a lungo termine della Luna e di Marte, nonché altre tecnologie abilitanti.
Il programma Commercial Crew della NASA, voluto da Obama all’inizio del suo primo mandato, sta raggiungendo il suo obiettivo di un trasporto sicuro, affidabile ed economico da e per la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) dal territorio USA e con mezzi americani attraverso una partnership con l’industria privata americana. C’è voluto tempo, rinvii e problemi ma ora ci siamo.
Questa partnership sta cambiando la storia del volo spaziale umano aprendo l’accesso all’orbita terrestre bassa e alla Stazione Spaziale Internazionale a più persone, più scienza e più opportunità commerciali. La ISS, insieme all’imminente Gateway rimangono e saranno il trampolino di lancio per il prossimo grande salto della NASA (e non solo) nell’esplorazione dello spazio, comprese le future missioni sulla Luna e, infine, su Marte.
Vi propongo un approfondimento di questa missione che ho rilevato da Space Daily.
La NASA e Boeing stanno compiendo un altro importante passo avanti verso i lanci regolari di voli spaziali umani verso la Stazione Spaziale Internazionale su razzi, veicoli e territorio americani con l’imminente secondo test di volo senza equipaggio del Boeing CST-100 Starliner (in figura montato sul razzo AtlasV) come parte del programma commerciale dell’agenzia dell’equipaggio.
Il Boeing Orbital Flight Test-2 (OFT-2) della NASA punta al lancio della navicella spaziale Starliner su un razzo Atlas V della United Launch Alliance alle 14:53 EDT di venerdì 30 luglio, dallo Space Launch Complex-41 sulla stazione della forza spaziale di Cape Canaveral in Florida.
Starliner dovrebbe arrivare alla stazione spaziale per l’attracco circa 24 ore dopo con oltre 400 libbre di carico della NASA e rifornimenti per l’equipaggio.
La missione metterà alla prova le capacità end-to-end di Starliner dal lancio all’attracco, al rientro atmosferico e all’atterraggio nel deserto negli Stati Uniti occidentali. OFT-2 fornirà dati preziosi che aiuteranno la NASA a certificare il sistema di trasporto dell’equipaggio di Boeing per trasportare gli astronauti da e verso la stazione spaziale.
Sebbene nessun equipaggio sarà a bordo del veicolo spaziale per OFT-2, il posto del comandante dello Starliner sarà occupato da Rosie the Rocketeer, il dispositivo di test antropometrico del Boeing. (nell’immagine sotto).
Durante OFT-1, Rosie è stata dotata di 15 sensori per raccogliere dati su ciò che gli astronauti sperimenteranno durante i voli su Starliner.
Per OFT-2, le porte di acquisizione dati dei veicoli spaziali precedentemente collegate ai 15 sensori di Rosie verranno utilizzate per raccogliere dati dai sensori posizionati lungo il pallet del sedile, che è l’infrastruttura che mantiene tutti i sedili dell’equipaggio in posizione.
Durante l’avvicinamento di Starliner alla stazione spaziale, la NASA e Boeing verificheranno i collegamenti dati e le capacità di comando da parte dell’equipaggio della stazione, inclusa una sospensione comandata durante l’avvicinamento da parte dell’astronauta della Japan Aerospace Exploration Agency e del comandante della stazione Aki Hoshide.
Starliner testerà anche una capacità di ritirata automatizzata durante l’avvicinamento nel caso in cui si verificasse un problema sull’asse di attracco.
Starliner testerà anche il suo sistema di navigazione basato sulla visione per attraccare autonomamente alla stazione spaziale. L’attracco è previsto per le 15:06 di sabato 31 luglio o circa 24 ore dopo il lancio.
Dopo un attracco riuscito, Starliner trascorrerà dai cinque ai dieci giorni a bordo del laboratorio orbitante prima di tornare sulla Terra negli Stati Uniti occidentali (vedi immagine sotto).
Il veicolo spaziale tornerà con più di 550 libbre di carico, compresi i serbatoi riutilizzabili del sistema di ricarica dell’azoto (NORS) che forniscono aria respirabile ai membri dell’equipaggio della stazione.
OFT-2 è il secondo volo orbitale per il CST-100 Starliner e il primo per il secondo modulo equipaggio della flotta Starliner. Boeing sta effettuando questo secondo test orbitale per dimostrare che il sistema Starliner soddisfa i requisiti della NASA, incluso l’attracco alla stazione spaziale.
OFT-2 si baserà sugli obiettivi della missione raggiunti durante il test di volo di Starliner, inclusa la verifica:
Funzionamento in orbita dell’avionica, del sistema di attracco, dei sistemi di comunicazione e telemetria, dei sistemi di controllo ambientale, dei pannelli solari e dei sistemi di alimentazione elettrica e dei sistemi di propulsione;
Prestazioni dei sistemi di guida, navigazione e controllo dello Starliner e dell’Atlas V in salita, in orbita e in entrata;
Livelli acustici e di vibrazione e carichi attraverso l’esterno e l’interno dello Starliner
Avvia monitoraggio trigger di fuga
Prestazioni delle operazioni di missione end-to-end del sistema Starliner
La missione OFT-2 testerà anche le modifiche e i miglioramenti apportati a Starliner e dimostrerà che il sistema è pronto per far volare gli astronauti.
In preparazione per OFT-2, la NASA e Boeing hanno completato tutte le azioni raccomandate dal team di revisione indipendente NASA-Boeing, formato a seguito del primo volo di prova di Starliner nel dicembre 2019. Le raccomandazioni del team di revisione includevano elementi relativi ai test integrati e simulazione, processi e operazioni, software, sistema di comunicazione del modulo equipaggio e organizzazione. Boeing ha implementato tutte le raccomandazioni, comprese quelle non obbligatorie, prima del prossimo volo di Starliner.
Dopo che questa missione senza equipaggio di Starliner raggiungerà tutti gli obiettivi necessari, la NASA e Boeing cercheranno opportunità verso la fine di quest’anno per far volare la prima missione con equipaggio di Starliner alla stazione spaziale, il Crew Flight Test (CFT), con gli astronauti della NASA Barry “Butch “Wilmore, Nicole Mann e Mike Fincke a bordo.
Da quand’è che pariamo di “space debries”? Forse da oltre mezzo secolo! Da quando i satelliti artificiali sono diventati uno strumento di lavoro, di intelligence, di comunicazione e di guerra. Lo spazio intorno alla Terra è diventato “spazio di tutti e di nessuno” ma con implicazioni sicuramente su tutti! Un piccolissimo pezzo di materiale solido, anche di pochi millimetri quadrati, può fare danni enormi con conseguenze micidiali sulle attività dell’uomo nello spazio. Lo sapevamo da oltre mezzo secolo ma la cooperazione internazionale (si fa per dire) aveva altri problemi da affrontare. Forse più gravi (come il surriscaldamento globale, la fame e la povertà nel mondo) o forse anche no, tant’è che ora abbiamo milioni di piccoli proiettili vaganti incontrollati ed invisibili che prima o poi faranno dei danni, di questo ne siamo certi tutti.
Bisogna ammettere che correre ai ripari dopo che si sono messi in circolazione questi proiettili è una lotta titanica persa in partenza, ma ciò che potrebbe, se non altro, evitare di peggiorare la situazione e cercare di prevenire! Obbligare chi ha la possibilità di accesso allo spazio, pubblico o privato, ad osservare comportamenti, procedure e leggi che garantiscano la non proliferazione di space debries.
A questo proposito, per potervi allineare su come si sta muovendo il mondo dei “lanciatori”, vi propongo e vi commento questi due articoli che esaminano la situazione.
Partiamo con un articolo di Gianmarco Vespia su astronautinews da me commentato che analizza i mezzi che portano in orbita i satelliti quindi anche i potenziali detriti: i razzi!
Dove finiscono i razzi al termine della missione?
Sopra la carcassa di un Sojuz. Credit: Roskosmos, caduto nella steppa e sotto il booster dal razzo cinese Chang Zheng 3 B / G3 (lanciato il 2 Giugno 2021) rientrato a terra su strada dopo il lancio.
Ci sono decine di migliaia di satelliti attivi in orbita terrestre: scientifici, militari, commerciali, delle telecomunicazioni… Svolgono il loro servizio per un periodo di tempo prolungato, a volte anche di parecchi anni. Per arrivare lì dove sono è necessario un mezzo di trasporto esageratamente grande rispetto al satellite: un razzo vettore che svolge il suo lavoro solamente per pochi minuti, per riuscire a dare al carico quota e velocità desiderate per inserirsi nell’orbita finale. Il lanciatore, solitamente, poi non ha più altri compiti da svolgere e viene abbandonato o per fortuna anche recuperato, come ha dimostrato la SpaceX.
Il destino del razzo ormai inutile dipende sostanzialmente dalla tecnologia e dal profilo di missione per cui è stato impiegato. Prima di scendere nei particolari, è doveroso notare che tutti i razzi vettori, nessuno escluso, sono composti di varie parti che vengono espulse via via che il lanciatore si avvicina al traguardo della sua missione: booster laterali, stadi, interstadi, ogiva, eventuali coperture termiche, adattatori e altri componenti di minore importanza.
Negli ultimi anni si sta diffondendo la pratica di tentare il recupero e riciclo di alcune componenti, ma è ancora una prassi in esercizio o in fase di studio solo per poche aziende. Il primo programma di riuso di componenti di un lanciatore risale addirittura alla fine dell’era spaziale delle missioni Apollo, quando iniziò lo sviluppo dello Space Shuttle, che inizialmente doveva essere completamente riutilizzabile ma poi, date le grosse difficoltà tecnologiche da affrontare, vide realizzato il recupero e il ricondizionamento del solo orbiter e raramente dei booster laterali. Sebbene in un primo momento possa sembrare un’ovvia evoluzione economica dello sviluppo astronautico, i costi necessari alla filiera di riciclo superavano di gran lunga i benefici, e i progressi sul rientro controllato dei lanciatori andarono in pausa per lungo tempo fino ad arrivare allo scorso decennio, quando SpaceX per la prima volta riuscì a effettuare l’atterraggio morbido di un primo stadio di un Falcon 9.
Il primo atterraggio di un Falcon 9 su una piattaforma a terra
Ormai l’azienda di Elon Musk ci ha abituato agli atterraggi controllati dei primi stadi dei suoi lanciatori Falcon 9, ma anche altri attori stanno studiando come riuscire a recuperare parte del prezioso hardware utilizzato per mandare satelliti in orbita, con tecniche più o meno simili.
Rocket Lab, ad esempio, prevede di recuperare al volo il primo stadio del suo Electron, con un elicottero che dovrebbe agganciarlo dopo un rientro controllato con l’apertura di un paracadute. ULA progetta di staccare solo il comparto motori dal primo stadio del suo nuovo razzo Vulcan, la parte più costosa, per tentarne il recupero.
Anche alcune agenzie spaziali spingono per avere nella loro flotta qualche esemplare adatto al recupero, come CNSA con il suo Lunga Marcia 8 o Roskosmos con il progetto del nuovo razzo Amur.
Si tratta comunque di una fetta ridotta del complesso delle attività spaziali. La verità è che al momento la maggior parte dei vettori dopo il loro utilizzo vengono semplicemente abbandonati, e si schiantano da qualche parte sulla Terra. Ad oggi non si sono mai registrati danni a persone derivanti da eventi di questo tipo. Per vedere come si affronta il problema dell’abbandono dei razzi, nelle sue varie componenti, bisogna fare una distinzione tra le parti che raggiungono la velocità orbitale e quelle che vengono espulse prima.
Il caso suborbitale.
Solitamente i primi stadi, i booster laterali e l’ogiva dei razzi soddisfano il compito per cui sono stati progettati entro pochi minuti dal lancio, e non raggiungono quasi mai la velocità orbitale. Il rientro in questo caso è di tipo distruttivo (cioè provoca la perdita del componente stesso), avviene a velocità di caduta e viene programmato accuratamente in modo da avere luogo lontano da porzioni di territorio densamente abitate. Non è un incidente.
È tutto previsto già in partenza: tutto nominale, come si dice nel gergo astronautico.
Per gli operatori che hanno la possibilità di effettuare un lancio da una base situata sulla costa est di un territorio, il gioco si fa molto più semplice, perché si riesce facilmente a programmare un rientro in mare, lontano da zone abitate e segnalato con grande anticipo alle imbarcazioni (tramite un avviso chiamato NOTMAR – Notice to Mariners) in modo che non entrino all’interno dell’area di ricaduta dei detriti.
In rosso le zone NOTAM per il volo Ariane 5 VA241. Credit Image: Spaceflight101/Google Earth.
È il caso dei lanci che avvengono da Cape Canaveral, Wallops, Kourou, Wenchang o Mahia, ad esempio. In questi casi viene emesso anche un NOTAM (NOtice To AirMen) che delimita le zone di pericolo per rientro incontrollato. Le zone in un NOTAM possono essere più di una, e sono a forma di rettangoli allungati nella direzione di marcia, tanto più larghi quanto è la distanza dalla zona di lancio.
Il piano volo di un Ariane 5, ad esempio, con dei satelliti da portare in orbita geostazionaria, prevede un lancio dalla base di Kourou, nella Guyana francese, col distacco dei due booster laterali e dell’ogiva tra due e tre minuti dopo il lancio, e la separazione del primo stadio circa nove minuti dopo. Booster e ogiva cadranno in mare al largo delle coste sudamericane in acque internazionali, mentre il primo stadio rientrerà più vicino al continente africano, sempre in mare, in una zona imprecisata molto più estesa della precedente.
Quando un lanciatore parte dall’entroterra, la questione si complica un po’ di più, perché i booster o il primo stadio vanno separati dal resto del razzo quando ancora non si sorvola il mare, per cui dovranno precipitare per forza di cose al suolo. Queste costrizioni possono avere un impatto notevole sulle attività spaziali. La Stazione Spaziale Internazionale ruota attorno alla Terra in un’orbita inclinata di 51,6°.
Tale orbita venne scelta proprio per permettere i lanci delle capsule russe dal cosmodromo di Bajkonur, in Kazakistan. La base di lancio fu costruita in territorio Kazako quando i due stati facevano entrambi parte dell’Unione Sovietica, e oggi russi la utilizzano grazie a uno speciale accordo.
Se la ISS si trovasse su un’orbita meno inclinata (e quindi più favorevole ai lanci dagli USA), il razzo Sojuz usato per trasportare sulla ISS carichi ed equipaggi dovrebbe forzatamente essere lanciato su una traiettoria che lo porterebbe a sorvolare il territorio cinese, dove precipiterebbe una volta esaurito il propellente. Per evitare problemi diplomatici, per la ISS fu scelta un’inclinazione dell’orbita tale da portare lo stadio centrale del Sojuz a cadere in territorio russo, nei pressi dell’altopiano dell’Altai, dove ormai i cittadini del luogo (si tratta di una regione vicino alla Siberia a bassissima densità di popolazione) sono abituati a convivere con eventi simili, tanto che ci hanno costruito attorno una microeconomia. I locali infatti trovano, raccolgono e riciclano questi detriti. I serbatoi e altre parti in metallo vengono utilizzati per costruire attrezzature per l’agricoltura, oppure vengono rivenduti. Non sono rare anche azioni legali per il disagio arrecato, anche se Roskosmos risarcisce solo i danni materiali. Il lanciatore Sojuz utilizza ossigeno liquido e cherosene speciale per razzi, che non sono tossici per l’ambiente.
Contadini dell’Altai recuperano metallo utile da una carcassa di razzo circondati da migliaia di farfalle. Foto Flickr di Jonas Bendiksen.
La situazione si fa ancora più delicata quando il lancio da uno spazioporto dell’entroterra viene eseguito con un lanciatore alimentato a combustibili tossici, come è il caso del russo Proton o dei lanciatori cinesi Lunga Marcia CZ-2, CZ-3 e CZ-4, in tutte le loro varianti.
In questi casi c’è poco da fare: il rientro sul territorio del primo stadio porterà al suolo residui di carburante nocivo. In particolare, queste 4 famiglie di razzi usano come carburante dimetilidrazinaasimmetrica e come ossidante tetrossido di diazoto, che sono un retaggio di sviluppi in campo astronautico ormai tecnologicamente superati.
Sia l’agenzia spaziale russa che quella cinese programmano di eliminare questi lanciatori dalla loro flotta di razzi attivi, sostituendoli con i più moderni Amur, ancora in fase di sviluppo, e con i CZ-6, CZ-7 e CZ-8, già in attività da qualche anno.
La transizione purtroppo sarà lenta e richiederà ancora parecchi anni.
Il caso orbitale.
Tutto quanto spiegato precedentemente non si applica agli stadi che raggiungono la velocità orbitale, pari a circa 7,9 chilometri al secondo (naturalmente per orbite terrestri). La vita di uno stadio in questo caso non si limita più ai pochi minuti di caduta balistica. Lo stadio in questi casi potrebbe rimanere in orbita giorni, mesi, anni, o addirittura rimanerci per sempre. In caso di rientro, zona di ricaduta e velocità sono molto più grandi di un rientro suborbitale.
In molti casi, fino a poche ore prima del rientro non si riesce a individuare con precisione la zona di potenziale impatto dei detriti, soprattutto quando si tratta di uno stadio in orbita bassa (tra i 160 e i 1.000 km di quota). Sebbene la latitudine del punto di impatto si possa limitare con l’inclinazione orbitale, la longitudine può assumere un valore qualunque, spaziando da est a ovest per tutto il globo. D’altro canto, una velocità così elevata è il fattore che consente allo stadio in rientro di frantumarsi, bruciando e vaporizzando la maggior parte della propria massa e lasciando eventualmente arrivare in superficie solo le componenti di densità elevata.
Alcuni costruttori hanno aggiunto ai loro ultimi stadi la possibilità di eseguire un’accensione finale, dopo che hanno rilasciato il carico utile, impartendo la spinta necessaria a controllare la caduta e a “mirare” una zona della Terra lontano da insediamenti abitati, tipicamente nell’oceano Pacifico.
Con la sua estensione questo oceano garantisce un’ampia scelta di zone per rientri sicuri.
Tuttavia, questa capacità non è prerogativa di tutti, e non sempre è precisa o funzionante ma si tratta comunque di un importante passo nella direzione della sostenibilità, per mantenere l’orbita terrestre pulita ed evitare rientri che potrebbero allertare i sistemi di sicurezza di molte nazioni del mondo. Per poter compiere manovre di rientro controllato, lo stadio finale deve essere studiato sin dalla fase di progettazione per integrare tale capacità. Come minimo deve essere in grado, infatti, di ruotare per girarsi nel verso opposto a quello di marcia, e naturalmente di riaccendere i motori.
A titolo di esempio, il secondo stadio dell’Ariane 5 nella sua prima versione (Ariane 5 G, 1996) non aveva la possibilità di riaccendere i motori, dato che non era una funzionalità richiesta per far fronte ai requisiti commerciali del progetto. La variante in esercizio tutt’ora (variante ES, 2008), più potente della precedente, possiede invece questa capacità, ed è stata usata per le missioni ATV verso la ISS per far rientrare nell’oceano il grosso stadio centrale del lanciatore europeo, dopo l’inserimento del carico in orbita. Anche il secondo stadio del Falcon 9 è dotato della possibilità di riaccendere i motori al termine della missione, e dal 2014 effettua regolarmente, per le missioni in orbita bassa, una manovra finale per evitare di diventare un detrito spaziale.
Qualche volta può accadere che ci sia un problema e l’accensione finale non avvenga. Questo non compromette la missione principale, ma può portare al rientro incontrollato dello stadio che si trasforma in un inaspettato spettacolo pirotecnico, come avvenuto di recente per la missione Starlink 17.
In caso lo stadio finale del razzo non disponga di questa possibilità, questo rimarrà nello spazio per molto tempo, costituendo un rischio per le altre attività spaziali. Si tratta comunque di un rischio ormai ben studiato, calcolato e monitorato dalle istituzioni a cui è assegnato il compito di tenere sotto controllo i detriti spaziali, come il recentemente istituito 18º squadrone della Space Force statunitense, o l’EUSST, European Union Space Surveillance and Tracking.
Gli stadi apparentemente inattivi in orbita possono essere molto pericolosi soprattutto per il rischio di esplosioni improvvise, che peggiorerebbero enormemente la situazione generando migliaia di altri detriti da un singolo oggetto.
Questi eventi sono dovuti all’energia residua che possiedono gli ultimi stadi, fondamentalmente a causa di propellente rimasto o batterie ancora leggermente cariche, che in qualche modo viene sollecitata col tempo nelle condizioni avverse dell’ambiente spaziale.
Da una decina d’anni alcune agenzie spaziali e produttori hanno adottato unilateralmente alcune pratiche per la mitigazione di questi rischi, sebbene non esistano accordi internazionali multilaterali che impongano restrizioni sull’uso dei lanciatori.
In particolare, una pratica ormai adottata universalmente è la passivazione del razzo.
Con questo termine si indicano le varie misure atte a eliminare il più possibile le cause che potrebbero portare in futuro il mezzo abbandonato all’esplosione, come l’espulsione del carburante residuo, lo scaricamento delle batterie e altre eventuali piccole procedure. Un’altra prassi abbastanza comune è cercare di portare l’ultimo stadio del razzo in un’orbita in cui il decadimento dello stesso avverrà naturalmente (per effetti di meccanica orbitale) entro 25 anni dal lancio, o eventualmente, nel caso di missioni verso l’orbita geostazionaria (GEO), di spostarlo in una cosiddetta “orbita cimitero”, a circa 250 km al di sopra dell’orbita GEO, dove non darà più alcun fastidio ad altre operazioni spaziali.
Le statistiche aggiornate ad aprile 2021 mostrano effettivamente numeri che richiedono attenzione. Ci sono circa 8.800 oggetti nello spazio riconducibili a lanciatori, che siano stadi, detriti o frammenti di essi, di cui circa 1.000 sono effettivamente stadi (rocket body) in orbita bassa o in un’orbita eccentrica con perigeo basso (LMO). Prima o poi questi oggetti rientreranno a Terra, liberando l’orbita che occupavano da pericoli. Il rientro avverrà per tutti in una zona imprecisata e senza preavviso, ma a velocità abbastanza elevata da far sì che la maggior parte della massa dell’oggetto bruci all’impatto con l’atmosfera.
Non sono rari i casi di ritrovamenti a terra di detriti orbitali, ma non si sono mai registrati ingenti danni per rientri del tipo di quelli discussi in questo articolo.
La Terra, in fin dei conti, è bombardata costantemente da meteoroidi e meteoriti che spesso arrivano inosservati fino alla superficie, a un ritmo medio di 100 tonnellate di oggetti naturali al giorno.
La massa dello stadio superiore di un razzo si aggira normalmente intorno a qualche tonnellata, e arriva fino a un massimo di 20 tonnellate nel caso del Lunga Marcia 5B, l’unico razzo a stadio singolo attualmente in esercizio.
La grossa differenza con gli oggetti naturali è che quelli artificiali contengono componenti ad alta densità o progettati per resistere al calore, che hanno buone probabilità di superare relativamente indenni le fasi del rientro orbitale.
Il caso delle missioni interplanetarie.
Molto, in questo caso, dipende da quando avviene la separazione tra il carico utile e l’ultimo stadio, ma generalmente quest’ultimo si perde in orbita eliocentrica, cioè lasciando completamente l’orbita terrestre. Il destino può essere diverso, come nel caso del terzo stadio del Saturn V, che dalla missione Apollo 13 in poi è stato fatto schiantare sulla superficie della Luna per motivi scientifici.
È anche successo, e non solo una volta, che uno stadio del Saturn V abbia abbandonato l’orbita terrestre e poi sia tornato quando ormai tutti si erano dimenticati di lui, non riconoscendolo e identificandolo come un nuovo asteroide scoperto.
Il moto in prossimità della Terra del presunto asteroide J002E3. Credit: NASA
Il terzo stadio della missione Apollo 12 superò la Luna, e si perse in orbita eliocentrica per circa 40 anni fino a tornare nei pressi della Terra ed essere identificato come asteroide, ricevendo la denominazione J002E3. A causa di vari giochi di meccanica orbitale, l’oggetto compì alcune orbite attorno al nostro pianeta, prima di lasciarlo (forse) definitivamente.
Questioni legali
È infine doveroso fare una breve digressione sulle questioni legali relative alla possibilità che un rientro incontrollato di un razzo, orbitale o suborbitale che sia, arrechi danni a persone o cose. Innanzitutto, è bene sottolineare che anche in questo caso non ci sono accordi internazionali che regolamentino tutte le questioni. Oltre agli accordi sull’uso pacifico dello spazio promossi dall’ONU, l’unico altro trattato a livello di Nazioni Unite a riguardo è il LIAB del 1972 ovvero la Convenzione sulla responsabilità internazionale dei danni causati da oggetti spaziali.
Ma anche in questo caso, non si tratta di una norma che impedisce di far ricadere razzi o detriti spaziali sulla superficie terrestre: il LIAB offre linee guida relative unicamente all’attribuzione delle responsabilità in caso di conseguenze indesiderate.
Inoltre, il LIAB è un accordo tra Stati, e non riguarda direttamente i privati. Se un detrito spaziale cade sulla casa di un cittadino di una nazione differente da quella di chi l’ha lanciato, saranno le due nazioni coinvolte a negoziare il rimborso dei danni. Il privato potrà solo rivalersi sullo Stato di cui è cittadino seguendo la giurisdizione locale, che ovviamente sarà diversa a seconda della nazione.
Mappa degli oggetti arrivati al suolo e rinvenuti dopo un rientro incontrollato. Credit: ESA
Comunque, non è mai successo che una nazione invocasse il LIAB per la caduta di un razzo, e per la caduta di un satellite è successo una volta sola dal momento della sua adozione. Fu infatti applicato nel caso particolare causato della distruzione del satellite sovietico Kosmos 954, i cui frammenti caddero nel 1978 su una vasta porzione del territorio canadese senza causare però danni diretti.
La particolarità di quell’evento sta nel fatto che il contenuto del carico era altamente radioattivo; erano presenti a bordo, infatti, 50 kg di uranio U²³⁵ necessari ad alimentare il reattore nucleare della sonda. In quel caso Canada e Unione Sovietica si accordarono per un risarcimento di 6 milioni di dollari canadesi.
Per quanto concerne le misure messe in atto dalle agenzie spaziali, normalmente il valore di fatalità attribuito al rientro incontrollato di uno specifico oggetto non deve superare una certa soglia limite. Per l’ESA questo valore è fissato a 1:10.000. Si tratta di un valore analogo a quello adottato dalle altre agenzie spaziali e da molte nazioni.
Il rischio per la popolazione poi dipende fortemente dall’inclinazione orbitale più che dalla massa stessa dell’oggetto, ovviamente supponendo che qualche detrito arrivi fino alla superficie terrestre.
La variazione di questo rischio è dovuta principalmente alla distribuzione non uniforme della popolazione terrestre in funzione della latitudine. Un rientro casuale generico ha sempre valori al di sotto della soglia di emergenza riconosciuta, di circa un ordine di grandezza per inclinazioni orbitali tra i 35° e i 40°, e di ben due ordini di grandezza per orbite equatoriali. Ogni caso però ha una storia a sé, e va studiato individualmente.
Termino questa noiosa analisi con una buona notizia, anche se sembra di chiudere la stalla quando i buoi sono già fuggiti, ma almeno evitiamo che scappino anche gli altri. È con questo spirito che trovo una ottima notizia questa iniziativa del World Economic Forum (WEF), dell’Agenzia spaziale europea (ESA) e del MIT Media Lab.: una sorta di pagella da assegnare ai vari operatori del settore spaziale.
Il nuovo rating di sostenibilità dei veicoli spaziali prende di mira la spazzatura spaziale.
Dal 2022, gli operatori di veicoli spaziali potranno ottenere certificati di sostenibilità per le loro missioni.
Da un articolo di Tereza Pultarova di Space.com
Un’immagine concettuale che illustra i detriti spaziali in orbita attorno alla Terra.
Gli operatori di veicoli spaziali potranno richiedere il rating di sostenibilità a partire dal prossimo anno (2022) per dimostrare che i loro satelliti non presentano rischi inutili nell’ambiente orbitale e contribuiscono al problema della spazzatura spaziale.
La valutazione, progettata per incoraggiare un comportamento sostenibile, esaminerà vari aspetti della progettazione della missione, tra cui la scelta dell’orbita, le misure per prevenire le collisioni e i piani di de-orbita.
Le aziende potranno guadagnare punti bonus per l’installazione di funzioni speciali sui loro veicoli spaziali che renderebbero più facile la rimozione attiva alla fine della vita del satellite, come le piastre magnetiche delle maniglie.
Lo Space Sustainability Rating (SSR) è stato sviluppato congiuntamente dal World Economic Forum (WEF), dall’Agenzia spaziale europea (ESA) e dal MIT Media Lab e sarà supervisionato dal Centro spaziale dell’università tecnologica svizzera École Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL ), ha affermato il WEF in una dichiarazione rilasciata giovedì (17 giugno).
La valutazione sarà disponibile per tutti i tipi di missioni spaziali, comprese quelle che coinvolgono equipaggi umani.
Nikolai Khlystov, responsabile per la mobilità e lo spazio al WEF, ha affermato nella dichiarazione che il forum spera che incentivare un comportamento migliore spingerà gli attori del settore spaziale a competere sulla sostenibilità e creare una corsa al vertice.
Il rating offrirà quattro livelli di certificazione.
I sostenitori del progetto sperano che il raggiungimento di un buon risultato possa offrire alle aziende vantaggi aggiuntivi, comecosti assicurativi inferiori o una migliore reputazione tra gli investitori.
Holger Krag, capo del programma di sicurezza spaziale dell’ESA, nella dichiarazione ha affermato:”L’SSR mira a influenzare il comportamento di tutti gli attori del volo spaziale, in particolare le entità commerciali e aiuta a portare nell’uso comune le pratiche sostenibili di cui abbiamo disperatamente bisogno. Per raggiungere questo obiettivo, il rating SSR include una valutazione peer-reviewed dei rischi a breve e lungo termine che qualsiasi missione presenta ad altri operatori e per il nostro ambiente orbitale in generale”.
La comunità di esperti è da tempo preoccupata per il crescente numero di satelliti nello spazio. Negli ultimi anni, aziende private come SpaceX , OneWeb e Amazon hanno iniziato a sviluppare megacostellazioni progettate per racchiudere decine di migliaia di satelliti, più di quanti ne fossero stati lanciati nei 64 anni trascorsi dal primo satellite, Sputnik .
All’aumentare del numero di satelliti, aumenta anche il rischio di collisioni. Le collisioni satellitari , come l’incidente del 2009 tra il satellite per telecomunicazioni statunitense Iridium e il defunto satellite militare russo Kosmos-225, generano enormi quantità di frammenti. Ciascuno di quei frammenti poi continua a sfrecciare sulla propria traiettoria a 28.000 km/h, minacciando altri veicoli spaziali in orbita .
Secondo l’ESA, ci sono attualmente circa 34.000 frammenti di detriti spaziali più grandi di 10 centimetri in orbita attorno alla Terra, oltre a circa 900.000 frammenti tra 1 e 10 cm e l’incredibile cifra di 128 milioni di oggetti tra 1 millimetro e 1 cm.
Gli esperti ritengono infatti che la quantità di detriti spaziali sia già così elevata che si stanno già manifestando i primi segnali del cosiddetto Effetto Kessler , una dannosa cascata di collisioni che potrebbe rendere inutilizzabili alcune aree dello spazio.
Danielle Wood, Direttore dello Space Enabled Research Group presso il MIT Media Lab, nel comunicato ha detto: “C’è un lavoro più importante da fare nella ricerca ingegneristica, nella definizione delle politiche e nella costruzione di norme per garantire che la comunità globale possa operare nello spazio per i decenni a venire. Tutti noi che abbiamo contribuito alla SSR ci impegniamo a continuare questo importante lavoro e speriamo che altri continuino a partecipare”.
Il problema dei detriti spaziali sta finalmente ricevendo maggiore attenzione anche a livello politico.
Al recente vertice dei leader del G-7 in Cornovaglia, nel Regno Unito, i rappresentanti delle principali nazioni industriali hanno concordato di rendere prioritario il problema della spazzatura spaziale al fine di garantire un futuro uso sostenibile dello spazio.
Ci sono voluti due anni per sviluppare gli Space Sustainability Ratings. La richiesta sarà del tutto volontaria.
Il lancio della 22° missione SpaceX di rifornimento per la stazione spaziale è previsto non prima del 3 giugno 2021. In quell’occasione, oltre ai rifornimenti logistici per la stazione e il suo equipaggio, saranno inviati materiali per alcuni interessanti esperimenti scientifici. Eccone un elenco:
I tardigradi, meglio conosciuti come “water bears” o orsi dell’acqua, sono piccoli organismi viventi che devono il loro nome per la forma e l’habitat naturale che prediligono: l’acqua. Sono creature molto piccole, gli adulti possono variare da meno di 0,1 mm a 1,5 mm. Le specie marine sono incolori o bianco-grigiastre, mentre quelle terrestri o d’acqua dolce possono essere di vari colori, ad esempio arancioni, gialle, verdi o nere. Sono organismi eutelici (hanno un numero di cellule costante durante il corso della vita; gli individui possono accrescersi solo per volume e non per mitosi). Il corpo, approssimativamente cilindrico, è costituito dal capo e da quattro metameri, ciascuno dei quali porta un paio di zampe che in molte specie marine sono parzialmente retrattili con un meccanismo telescopico. Alle estremità delle zampe vi è un numero variabile di unghie o dita, generalmente compreso tra 4 e 8. Raramente le unghie possono ridursi o mancare del tutto. Il corpo è rivestito da una sottile cuticola extracellulare elastica, formata anche da chitina.
I tardigradi sono diffusi in tutto il pianeta terra. Vi sono specie marine, terrestri e adattate alle acque dolci. Sono stati osservati in tutti i continenti, Antartide inclusa, e a tutte le altezze, dalle zone oceaniche abissali ad altezze superiori ai 6000 metri in Himalaya. Possono essere considerati essenzialmente animali acquatici, in quanto anche le specie terrestri vivono all’interno di strati d’acqua che possono avere lo spessore appena sufficiente per ospitarli. Sono comunque in grado di resistere per tempi lunghissimi al disseccamento e congelamento. La maggioranza delle specie si nutre di cellule vegetali. Vi sono però anche forme predatorie, il cui cibo è fornito da Protozoi, Rotiferi, Nematodi e anche da altri tardigradi. Perché questo piccolo animaletto è così interessante? I tardigradi sono in grado di sopravvivere in condizioni che sarebbero letali per quasi tutti gli altri animali, resistendo in particolare a:
mancanza d’acqua (possono sopravvivere fino a 100 anni in condizioni di totale disidratazione);
temperature alte o bassissime (possono resistere per pochi minuti a 151 °C, per parecchi giorni a −200 °C (~73K) o per pochi minuti a ~1K);
alti livelli di radiazione (anche centinaia di volte più alti di quelli che ucciderebbero un essere umano);
alte pressioni (anche sei volte maggiori di quelle dei fondali oceanici);
mancanza di ossigeno;
raggi UV-A e alcuni tipi perfino ai raggi UV-B.
Queste caratteristiche di grande resilienza hanno attirato l’attenzione di molti scienziati, una delle domande che ci si è posti è: può questa creatura sopravvivere anche alle condizioni ostili dello spazio esterno? Lo scopo di questo esperimento è appunto dare una risposta ancora più precisa a questa domanda. Non è la prima volta che, esemplari d questa specie, vengono inviati nello spazio esterno (e non solo, è stato fatto un tentativo di invio anche sulla luna) per verificarne la resilienza, ecco alcuni precedenti:
Esperimento TARDIS: l’autostop dei tardigradi per un passaggio in orbita.
Nel settembre del 2007 circa 3000 tardigradi, come degli autostoppisti spaziali, hanno ottenuto un “passaggio” a bordo della navicella russa Foton-M3, nell’ambito di oltre 40 esperimenti ESA. L’idea di questo esperimento è stata di un gruppo di scienziati Svedesi e Tedeschi, all’esperimento è stato dato il nome di “TARDIS” acronimo di “Tardigrades in space”.
La capsula Foton-M3, nel settembre del 2007 ha trascorso 12 giorni in orbita attorno alla terra.
Durante questo missione i tardigradi sono stati esposti per almeno 10 giorni allo spazio esterno tramite un apposito contenitore progettato per l’occasione, chiamato Biopan.
Un dettaglio della struttura Biopan agganciata alla capsula Foton-M3 ed utilizzata per “esporre” i tardigradi allo spazio esterno.
Il risultato principale tratto da questo esperimento è che il vuoto dello spazio esterno, dove troviamo condizioni di estrema disidratazione ed alti livelli di radiazione, non costituisce un grosso problema per i tardigradi, al loro rientro a terra alcuni sono risultati morti ma molti altri, una volta reidratati, sono tornati in vita ed alcuni di loro sono anche stati in grado di riprodursi. I tardigradi si uniscono quindi ad un selezionatissimo gruppo di organismi che, nel corso di oltre 10 anni di esperimenti dell’ESA, hanno dimostrato di essere in grado di sopravvivere al vuoto dello spazio, fra questi semi di lattuga, licheni e alcune di specie di spore batteriche (quest’ultime a patto di essere protette dai raggi solari diretti), i tardigradi però sono qualcosa di speciale perché sono organismi multicellulari di tipo animale.
Sorge una domanda importante: perché alcuni organismi viventi sulla terra sembrano essere pronti a sopravvivere nello spazio esterno? Perché codificato nel loro DNA troviamo strategie di sopravvivenza di questo genere? C’è un razionale in tutto ciò? Ancora nessuno può dirlo con certezza. Nasce però spontaneo un collegamento con alcune teorie che sostengono che tutta o parte della vita sulla terra non abbia avuto origine sulla terra stessa, ma possa essere stata trasportata e “iniettata” sulla terra attraverso meteoriti sopravvissuti al rientro in atmosfera, in sostanza potrebbe essere, anche solo in parte, di origine “aliena”. Proprio per analizzare questo aspetto l’ESA ha condotto diversi esperimenti sul comportamento di rocce esposte al rientro in atmosfera (uno di questi esperimenti è stato condotto proprio durante la missione Foton-M3), il risultato è stato che in diversi casi tutto ciò che si trovava fino a 2 cm di profondità veniva irrimediabilmente distrutto per le condizioni estreme di temperatura e pressione. Tuttavia i risultati di questi esperimenti lasciavano aperta la possibilità che, se un organismo si fosse trovato abbastanza in profondità nella roccia, per esempio in crepe o pori, avrebbe potuto sopravvivere anche a questo evento estremo. Insomma su questo tema non è detta l’ultima parola.
Missione Israeliana Beresheet: una gita sulla luna (da incubo) per i tardigradi
Il nome Beresheet in ebraico significa “in principio”. Beresheet è stata la prima missione lunare intrapresa da un organizzazione Israeliana e il primo tentativo, di una compagnia privata, di far atterrare un manufatto sul suolo lunare. Il progetto è stato realizzato per partecipare alla competizione “Lunar X Prize”, sponsorizzato da Google, in cui venne messo in palio un cospicuo premio in denaro (30 milioni di dollari statunitensi) alla prima compagnia private che fosse riuscita nell’impresa di far atterrare sulla Luna un robot a guida autonoma (rover). Il robot avrebbe dovuto percorrere almeno 500 metri e trasmettere immagini e video in alta definizione come prova del riuscito allunaggio. La competizione è stata ufficialmente conclusa, senza vincitori, il 23 gennaio 2018.
La missione è riuscita nell’impresa di posizionare il veicolo in orbita lunare, per risparmiare sul carburante e sul peso da inviare in orbita, è stata impostata una particolare traiettoria che, combinata con le forze gravitazionali in gioco del sistema terra luna, le ha consentito di descrivere orbite ellittiche sempre più ampie fino al punto da venire catturato dalla gravità lunare ed entrarne in orbita.
Una volta entrato in orbita lunare, l’11 aprile del 2019, il veicolo ha ricevuto da terra il comando per iniziare la discesa verso la superficie, nel tentativo di realizzare un allunaggio completo. Purtroppo durante la discesa, un giroscopio dell’unità di misurazione inerziale (IMU2) si è guastato durante la procedura di frenata, il controllo a terra non è stato in grado di far fronte al guasto con operazioni correttive a causa della contemporanea perdita di comunicazioni con il lander. Quando le comunicazioni sono state ripristinate, il motore principale del velivolo era rimasto per troppo tempo. Il motore è stato riportato in linea dopo un ripristino a livello di sistema; tuttavia, il lander aveva già perso troppa quota per rallentare sufficientemente la sua discesa, con conseguente schianto sul suolo lunare. Di seguito le foto del sito di atterraggio prima e dopo lo sfortunato evento viste da Lunar Reconnaissance Orbiter:
Il lander portava con se un carico molto particolare:
la “lunar library” una raccolta di 30 milioni di pagine di informazioni realizzate tramite migliaia di immagini ad alta risoluzione compresse in pochi centimetri quadrati, il risultato finale ha le dimensioni più o meno di un DVD.
Campioni di DNA umano.
Centinaia di tardigradi in stato “disidratato”.
Il carico era protetto da un doppio rivestimento di resina e nickel, il calore dell’impatto, secondo i calcoli, non dovrebbe essere stato sufficiente a danneggiare il rivestimento in nickel. In buona sostanza molto probabilmente il carico interno dovrebbe essersi salvato, ci sono quindi buone probabilità che i tardigradi siano ancora lì in stato “dormiente” in attesa che qualche missione futura li recuperi e magari li reidrati testandone ancora una volta la loro straordinaria capacità di adattamento. Vedremo se e quando qualcuno avrà i mezzi e la voglia per farlo.
Torniamo ora al carico della prossima missione SpaceX
Come abbiamo potuto leggere nei due esempi precedenti, non è certo una novità l’invio di tardigradi nello spazio, tuttavia, nel caso del carico inviato dalla prossima missione SpaceX gli esperimenti saranno molto più sofisticati. In preparazione a questa missione i ricercatori a terra hanno sequenziato completamente il genoma della variante di tardigradi inviati in orbita: Hypsibius exemplaris, e sviluppato un metodo per misurare come differenti condizioni ambientali possano influire sull’espressione genica di queste creature, ovvero come i geni vengano attivati, silenziati, oppure ne venga modulata l’intensità di espressione in risposta a pressioni dovute ad ambienti ostili. Altra caratteristica importante di questo esperimento, chiamato Cell Science-04, è che le analisi avverranno nell’arco di più generazioni di tardigradi. I voli spaziali e le lunghe permanenze nello spazio esterno costituiscono uno stress per l’organismo umano molto elevato, i danni correlati possono compromettere seriamente la salute dei singoli astronauti oltre che il successo dell’intera missione. I risultati di questo esperimento sono potenzialmente importantissimi, possono fornire dati molto utili per aiutarci a capire quali siano i fattori che possono influire negativamente, quali strategia adotta il tardigrado per contrastarli e come adattare queste strategie all’organismo umano per salvaguardare gli astronauti di future missioni.
Un parte del carico di SpaceX 22 è costituito dal materiale per l’esperimento UMAMI (Understanding of Microgravity on Animal-Microbe Interactions). Questo esperimento mira ad esaminare gli effetti del volo spaziale sulle interazioni molecolari e chimiche tra i microbi benefici e i loro ospiti animali. Il ruolo della gravità nel plasmare queste interazioni non è ben compreso e la condizione di assenza di peso offre l’opportunità di migliorare tale comprensione. L’indagine utilizza un sistema animale modello, il calamaro Euprymna scolopes , e il suo batterio simbiotico, Vibrio fischeri , per accertare come i microbi colonizzino ed influenzino lo sviluppo degli animali anche in condizioni particolari come in orbita.
Immagine di calamari immaturi (Euprymna scolopes).
Viene mostrata una cassetta per l’elaborazione dei fluidi Techshot che fa parte del set di strutture hardware per voli spaziali dell’Advanced Space Experiment Processor (ADSEP) di Techshot. La cassetta è caricata con piccoli sacchetti che costituiscono “l’acquario” in cui i calamari potranno vivere in orbita.
Un’immagine ravvicinata di una singola borsa dell’acquario che contiene otto larve di calamaro. Le sacche sono collegate a pompe che inietteranno i batteri luminescenti durante il volo spaziale.
Come molti organismi pluricellulari, Il corpo umano è un complesso sistema di relazioni e connessioni, che esprime l’intera struttura fisica di un essere umano, composto da diversi tipi di cellule che insieme formano tessuti, a loro volta sono organizzati in sistemi di organi o apparati, ovvero un sistema in cui tutti i vari sottosistemi o apparati sono in interazione reciproca tra loro per produrre la vita, questo dal punto di vista fisico è spesso visto come un sistema molto ma molto complesso.
Il nostro corpo contiene quindi miliardi di cellule. Sommando il numero di cellule di tutti gli organi del corpo di una persona adulta, troviamo all’incirca 30-37 mila miliardi di cellule nell’organismo. In particolare nel tratto gastrointestinale e sulla pelle sono presenti un ugual numero di cellule non umane e di organismi pluricellulari. Non tutte le parti del corpo sono costituite da cellule. Le cellule sono immerse in un materiale extracellulare costituito da proteine come il collagene, circondato dai fluidi extracellulari.
Dei 70 kg di peso di un corpo umano medio, circa 25 kg è composto da cellule non umane o materiale non cellulare come le ossa e il tessuto connettivo.
In sostanza una parte non trascurabile del nostro corpo non è originato dal DNA delle nostre cellule, si tratta di altri organismi che convivono con noi in equilibrio simbiotico. Questi equilibri sono importantissimi per la nostra salute e il nostro sistema immunitario. Capire quindi queste dinamiche a fondo e anche in ambienti “non convenzionali” è importante per affrontarli al meglio in anticipo.
Questo esperimento si prefigge quindi di iniziare a studiare queste dinamiche partendo da modelli animali più semplici e meno complessi del nostro.
Queste scoperte possono aiutarci a preservare le condizioni di salute degli astronauti nello spazio ma potrebbero anche portare a scoperte mediche per migliorare la salute delle persone rimaste a terra.
Butterfly IQ Uitrasound è un dispositivo commerciale portatile che consente di effettuare analisi ecografiche locali utilizzando, come dispositivo di visualizzazione, un comune cellulare o tablet. Questo esperimento intende verificare le potenzialità d’uso di un ecografo portatile in combinazione con un dispositivo di elaborazione mobile in condizioni di assenza di peso. L’indagine raccoglierà il feedback dell’equipaggio sulla facilità di gestione e sulla qualità delle immagini ecografiche, inclusa l’acquisizione, la visualizzazione e l’archiviazione delle immagini.
Un medico dimostra l’uso del Butterfly IQ per l’imaging cardiaco.
APPLICAZIONI SPAZIALI
Le tecnologie basate sul mobile computing come Butterfly IQ Ultrasound possono fornire capacità mediche critiche agli equipaggi sui voli spaziali a lungo termine in cui il supporto immediato a terra non è un’opzione.
APPLICAZIONI TERRESTRI
Questa tecnologia ha potenziali applicazioni per l’assistenza medica in contesti remoti e isolati sulla Terra.
Pilote, un esperimento/indagine dell’ESA (Agenzia spaziale europea) e del Centre National d’Etudes Spatiales (CNES), si propone di verificare l’efficacia del funzionamento remoto di bracci robotici e veicoli spaziali utilizzando la realtà virtuale e interfacce basate sulla percezione aptica o tocco e movimento simulati. I test dell’ergonomia per il controllo di bracci robotici e veicoli spaziali devono essere eseguiti in condizioni di assenza di peso, perché i test progettati a terra utilizzerebbero principi ergonomici che non si adattano alle condizioni sperimentate su un veicolo spaziale in orbita. Pilote confronta le tecnologie esistenti e nuove, comprese quelle recentemente sviluppate per controllo remoto di un operazione chirurgica e altre utilizzate per pilotare il braccio robotico Canadarm2 e il veicolo spaziale Soyuz. L’indagine confronta anche le prestazioni degli astronauti a terra e durante le missioni spaziali di lunga durata verificando se l’esposizione a lungo termine alla mancanza di peso evoca cambiamenti nelle prestazioni sensomotorie.
Studi recenti hanno dimostrato che il modo in cui il cervello utilizza le informazioni sensoriali per la percezione e per il controllo dei movimenti orientati ad un certo obbiettivo cambia nelle condizioni di assenza di peso e che le prestazioni nei compiti di coordinazione visivo-motoria sono influenzate negativamente. Ciò sembra essere dovuto al fatto che sulla Terra la direzione verticale, che viene rilevata dall’orecchio interno e da altri recettori gravitazionali distribuiti nel corpo, viene utilizzata come quadro di riferimento ispetto al quale i segnali sensoriali provenienti dal visivo, i sistemi propriocettivi e tattili sono codificati. Inoltre, i segnali di gravità sembrano giocare un ruolo fondamentale nella capacità del cervello di combinare visione, propriocezione e tatto.
Per le attività di Pilote, l’astronauta esegue compiti simili a quelli che potrebbe svolgere mentre si gioca ad un videogioco, in cui deve controllare dispositivi robotici virtuali attraverso l’uso di un controller tattile e un visore per realtà virtuale. L’indagine Pilote include due diversi set di attività: attività di PILOTAGGIO e attività di CATTURA.
Nelle attività di PILOTAGGIO l’operatore utilizza il dispositivo tattile per controllare i 6 gradi di libertà (posizione e orientamento) di un oggetto virtuale per seguire percorsi predefiniti nel modo più preciso e rapido possibile. Ogni set di attività è composto da più prove che differiscono in termini di percorso che l’oggetto virtuale deve seguire. Questo insieme di percorsi viene selezionato per testare diverse combinazioni di rotazioni di imbardata, beccheggio e rollio e spostamento lineare necessario per raggiungere la posizione finale dell’oggetto pilotato.
I concetti di Beccheggio rollio ed imbardata nell’esempio di un aereo.
Nel protocollo CAPTURE, l’operatore guida un braccio robotico virtuale con l’obiettivo di agganciare un oggetto bersaglio, cioè come per afferrare un satellite errante o attraccare con la Stazione Spaziale Internazionale. In contrasto con il protocollo PILOTING sopra descritto, l’attività CAPTURE enfatizza il raggiungimento della posizione target il più rapidamente e senza intoppi possibile, senza vincoli sul percorso richiesto per raggiungere quella posizione.
Si ipotizza che i dati raccolti durante queste indagine troveranno applicazioni sia spaziali che terrestri.
APPLICAZIONI SPAZIALI I risultati delle attività Pilote forniranno importanti informazioni necessarie per ottimizzare l’ergonomia delle postazioni di lavoro a bordo della stazione spaziale e per i futuri veicoli spaziali per le missioni sulla Luna e su Marte. Questo design della stazione di lavoro per il controllo di dispositivi robotici come bracci robotici, veicoli spaziali e rover può sfruttare i criteri di ottimizzazione specifici delle condizioni di assenza di peso identificati attraverso le attività di Pilote.
APPLICAZIONI TERRESTRI L’opportunità di testare la destrezza umana nell’utilizzo di nuovi approcci alla teleoperazione e al pilotaggio in assenza di peso consente la convalida di teorie e metodologie per interfacce uomo-macchina ottimali attraverso l’uso di aptica. Progettando interfacce in grado di affrontare le sfide che la vita in orbita presenta al corpo umano per la coordinazione occhio-mano, le metodologie risultanti possono portare a una migliore integrazione delle informazioni gravitazionali nella progettazione di interfacce destinate ad essere utilizzate sulla Terra.
Alcuni membri dell’equipaggio mostrano una maggiore suscettibilità ai calcoli renali durante il volo, tutto ciò può influire negativamente sulla loro salute e sul successo della missione. Gli astronauti che vivono in orbita sulla ISS possono sperimentare disidratazione, stasi e demineralizzazione ossea, tutti fattori che contribuiscono frequentemente ai calcoli renali. L’ indagine Kidney Cells-02 utilizza un modello 3D di cellule renali (o chip di tessuto) per studiare gli effetti dell’assenza di peso sulla formazione di microcristalli che possono portare a calcoli renali. Fa parte dell’iniziativa Tissue Chips in Space , una partnership tra l’ ISS US National Laboratorye il National Institutes of Health’s National Center for Advancing Translational Sciences (NCATS) per analizzare gli effetti della vita in orbita sulla salute umana e tradurli in miglioramenti sulla Terra. Questa indagine potrebbe rivelare percorsi critici dello sviluppo e della progressione della malattia renale, portando potenzialmente a terapie per trattare e prevenire i calcoli renali per gli astronauti e, si stima ,per 1 persona su 10 sulla Terra che li sviluppa.
Con questo studio, i ricercatori sperano di identificare biomarcatori o ‘firme’ dei cambiamenti cellulari che si verificano durante la formazione di calcoli renali. Questo può portare a nuovi interventi terapeutici. La logica alla base di questo studio sulla stazione spaziale è che i microcristalli si comportino in un modo simile a quello che accade nei nostri reni, il che significa che rimangono sospesi nei tubi dei chip renali e non affondano sul fondo, come fanno nei laboratori sulla Terra. In condizioni di mancanza di peso, si prevede che questi microcristalli rimangano sospesi in modo uniforme, consentendo una migliore osservazione dei loro effetti. Nell’ambito di questa indagine, i microcristalli di ossalato di calcio (un componente comune dei calcoli renali) vengono introdotti in un tubulo riempito di cellule renali. Le cellule vengono valutate per segni molecolari di infiammazione e lesioni.
Immagini al microscopio elettronico a scansione di microcristalli di ossalato di calcio generati presso l’Università di Washington & Kidney Research Institute.
Il Nortis Organ Chip al microscopio nel laboratorio di Edward Kelly nel Dipartimento di Farmaceutica dell’Università di Washington. L’immagine mostra sullo sfondo un tubulo di cellule renali.
I risultati potrebbero supportare la progettazione di trattamenti migliori per condizioni come calcoli renali e osteoporosi per astronauti e persone sulla Terra, in particolare ci si attende che l’indagine produca risultati importanti sia per applicazioni a terra che per il volo spaziale:
APPLICAZIONI SPAZIALI I membri dell’equipaggio in condizioni di assenza di peso hanno dimostrato una maggiore suscettibilità ai calcoli renali, che potrebbe rappresentare un’emergenza medica con conseguenze negative sulla salute dei membri dell’equipaggio e sul successo della missione. Questa indagine potrebbe rivelare percorsi critici dello sviluppo e della progressione della malattia renale e produrre nuove terapie per trattare e prevenire i calcoli renali, nonché altre malattie renali e l’osteoporosi, a beneficio sia degli astronauti che delle persone con queste condizioni sulla Terra.
APPLICAZIONI TERRESTRI Circa 20 milioni di americani hanno una malattia renale cronica e 1 persona su 10 sviluppa un calcolo renale durante la vita. Attualmente, nessuna terapia farmacologica disponibile può ritardare o invertire la progressione della malattia renale cronica o dei calcoli renali. Una migliore comprensione dei fattori che contribuiscono alla corretta struttura e funzione dei tubuli renali può portare alla scoperta di trattamenti innovativi per queste condizioni.
Le piante di cotone che sovraesprimono un determinato gene (AVP1) mostrano una maggiore resistenza ai fattori di stress, come la siccità, e producono il 20% in più di fibre di cotone rispetto alle piante senza quella caratteristica in determinate condizioni di stress. Questa resistenza allo stress è stata provvisoriamente collegata ad un sistema radicale potenziato che può attingere a un volume maggiore di terreno per l’acqua e le sostanze nutritive. Il TICTOC (Targeting Improved Cotton Through On- Orbit Cultivation ) studia come la struttura del sistema radicale influenzi la resilienza delle piante, l’efficienza nell’uso dell’acqua e il sequestro del carbonio durante la fase critica della creazione delle piantine. I modelli di crescita delle radici dipendono dalla gravità e TICTOC potrebbe aiutare a definire quali fattori ambientali e geni controllano lo sviluppo delle radici in assenza di peso. I confronti tra campioni in orbita e di controllo a terra consentirannol’identificazione di geni espressi in modo differenziale tra queste condizioni.
Anche la morfologia delle piante verrà analizzata utilizzando le immagini scattate durante l’indagine. Ogni immagine verrà sottoposta ad un’analisi morfometrica utilizzando il software di analisi della crescita delle piante Phenotiki e RootTrace. I parametri da quantificare includono la lunghezza del germoglio e della radice, il numero e la spaziatura della radice laterale, la rettilineità degli organi e la curvatura della punta. I confronti tra i trattamenti sono supportati da analisi statistiche (test t e F; ANOVA). L’analisi della parete cellulare consente la correlazione dei profili di espressione genica ai cambiamenti nella composizione del polimero della parete cellulare e nell’architettura del sistema radicale. Questi studi aiuteranno a scoprire l’impatto dell’ambiente di volo spaziale della ISS sulla crescita delle piantine di cotone e determinare se l’aumento dell’espressione di AVP1 fornisce una contromisura alle sollecitazioni che il sistema di radici del cotone incontra mentre cresce nello spazio.
Piantine di cotone per l’indagine TICTOC preparate per il volo.
L’obbiettivo dell’esperimento è quello di raccogliere dati per ottenere sia risultati applicabili al volo spaziale e colonizzazione di ambienti extraterrestri, ma anche risultati utilizzabili direttamente a terra:
APPLICAZIONI SPAZIALI Per sperare di poter colonizzare altri ambienti extraterrestri, gli esseri umani devono essere in grado di coltivare piante per la produzione di cibo e ossigeno. La conoscenza generale di come la gravità influenza la struttura e la crescita delle radici delle piante acquisita in questa indagine potrebbe contribuire agli sforzi futuri per coltivare piante nello spazio.
APPLICAZIONI TERRESTRI Ogni anno vengono prodotte più di 25 milioni di tonnellate di cotone da utilizzare in una varietà di prodotti di consumo tra cui abbigliamento, lenzuola e filtri per il caffè. Il cotone ha molti vantaggi economici e personali, ma la sua produzione comporta anche significativi effetti ambientali. Alcune stime mostrano che la produzione di un chilogrammo di cotone richiede migliaia di litri di acqua. La coltivazione del cotone comporta anche un uso intensivo di prodotti chimici agricoli, che possono influire sulla salute dei lavoratori e sugli ecosistemi circostanti. Questa indagine potrebbe migliorare la comprensione dei sistemi di radici del cotone e dell’espressione genica associata e consentire lo sviluppo di coltivazioni di cotone più robuste che richiedano meno acqua e uso di pesticidi.
Mentre la Stazione Spaziale Internazionale orbita attorno alla Terra, le sue quattro coppie di array solari assorbono l’energia del sole per fornire energia elettrica per le numerose ricerche e indagini scientifiche condotte ogni giorno, così come per le continue operazioni della piattaforma orbitante. La stazione spaziale è il trampolino di lancio per le missioni Artemis della NASA sulla Luna, e una piattaforma per testare tecnologie avanzate per l’esplorazione umana dello spazio profondo e la futura missione su Marte. La NASA ha anche aperto la stazione spaziale per attività commerciali e attività commerciali , comprese le missioni di astronauti privati. Tutto questo richiede un consumo energetico via via crescente.
Progettati per una durata di servizio di 15 anni, gli array solari hanno funzionato ininterrottamente da quando la prima coppia è stata consegnata e montata nel dicembre 2000 , con coppie di array aggiuntive consegnate nel settembre 2006, giugno 2007 e marzo 2009 . La prima coppia di pannelli solari ha fornito energia elettrica continua alla stazione per più di 20 anni!
Sebbene funzionino bene, gli attuali pannelli solari stanno mostrando segni di degrado, come previsto. Per garantire che venga mantenuta un’alimentazione sufficiente per tutte le attività previste la NASA aumenterà sei degli otto canali di alimentazione esistenti della stazione spaziale con nuovi pannelli solari. Boeing, l’appaltatore principale della NASA per le operazioni della stazione spaziale, la sua sussidiaria Spectrolab e il principale fornitore Deployable Space Systems (DSS) forniranno i nuovi array. La combinazione degli otto array originali più grandi e dei nuovi array più piccoli ed efficienti ripristinerà la generazione di energia di ciascun array riportandoli approssimativamente alla quantità generata quando gli array originali sono stati installati per la prima volta.
I nuovi array solari saranno una versione più grande della tecnologia Roll-Out Solar Array (ROSA) che ha dimostrato con successo le capacità meccaniche del dispiegamento degli array solari durante il test sulla stazione spaziale nel giugno 2017.
Il test di dispiegamento nel 2017 mediante l’utilizzo del braccio robotico Canadarm2
Più piccolo e leggero dei pannelli solari tradizionali, il Roll-Out Solar Array, o ROSA , è costituito da un’ala centrale realizzata con un materiale flessibile contenente celle fotovoltaiche per convertire la luce in elettricità. Su entrambi i lati dell’ala c’è un braccio stretto che estende la lunghezza dell’ala per fornire supporto, chiamato Braccio composito distribuibile (DCB) ad alta tensione. I DCB sono strutture tubolari fatte di un materiale composito rigido, appiattiti e arrotolati longitudinalmente per il successivo dispiegamento. L’array si srotola o apre senza motore, utilizzando l’energia immagazzinata dalla struttura dei bracci che viene rilasciata quando ciascun braccio passa da una forma a bobina a un braccio di supporto diritto.
Immagine dell’ala completamente dispiegata.
ROSA può essere facilmente adattato a diverse dimensioni, inclusi array molto grandi, per fornire energia a una varietà di futuri veicoli spaziali. Ha anche il potenziale per rendere i pannelli solari più compatti e leggeri per la radio e la televisione satellitare, le previsioni meteorologiche, il GPS e altri servizi utilizzati sulla Terra. Inoltre, la tecnologia essere tranquillamente adattata per fornire energia solare in luoghi remoti. La tecnologia dei bracci ha ulteriori potenziali applicazioni, come per le comunicazioni, le antenne radar e altri strumenti.
I nuovi array solari saranno posizionati di fronte a sei degli attuali array e utilizzeranno il tracciamento solare, la distribuzione dell’energia e la canalizzazione esistenti. Questo approccio è simile a quello utilizzato per aggiornare le telecamere esterne della stazione ad alta definizione, utilizzando i meccanismi di alimentazione e controllo esistenti.
Sei array solari iROSA nella configurazione pianificata
I nuovi array oscureranno poco più della metà della lunghezza degli array esistenti e saranno collegati allo stesso sistema di alimentazione per aumentare l’offerta esistente. Gli otto array correnti sono attualmente in grado di generare fino a 160 kilowatt di potenza durante il giorno orbitale, di cui circa la metà è immagazzinata nelle batterie della stazione per essere utilizzata mentre la stazione non è esposta alla luce solare. Ogni nuovo pannello solare produrrà più di 20 kilowatt di elettricità, per un totale di 120 kilowatt (120.000 watt) di potenza aumentata durante il giorno orbitale. Inoltre, la coppia rimanente di array solari scoperti e gli array originali parzialmente scoperti continueranno a generare circa 95 kilowatt di potenza per un totale di fino a 215 kilowatt (215.000 watt) di potenza disponibile per supportare le operazioni della stazione al termine. Per fare un confronto, un computer e un monitor attivi possono consumare fino a 270 watt e un piccolo frigorifero utilizza circa 725 watt.
C’è voluto mezzo secolo per superare la risoluzione e la sensibilità del radiotelescopio di Arecibo a Portorico. Ci ha pensato il FAST cinese di 500 metri e la natura con il tornado che ha definitivamente messo la parola fine ad Arecibo (forse).
Questi radiotelescopi terrestri hanno tutti un paio di problemi abbastanza invadenti.
Il primo: le emissioni elettromagnetiche provocate dall’uomo e dalle sue attività. Ovviamente queste intrusioni, questi “disturbi” vengono filtrati ed esclusi dal segnale che si vuole realmente vedere ma questo comporta comunque una riduzione delle loro capacità ed anche, a volte, sovrapposizione e ambiguità del risultato.
Secondo: la barriera degli strati alti della ionosfera che riflette verso l’esterno le onde lunghe provenienti dallo spazio. La stessa che, dal basso, consente ad un radioamatore di arrivare in tutto il mondo utilizzando appunto la riflessione verso il basso che in questo caso è di aiuto.
Ma c’è un posto qui vicino a noi (abbastanza) che è “pulito” da elettromagnetismo androgeno o di origine artificiale provocato da tecnologia terrestre: la faccia nascosta della Luna!
Un sogno pensato e ridiscusso da molto tempo, ma ora la NASA ha cominciato ad investire in questo progetto per arrivare ad una proposta fattibile ed economicamente accettabile.
Il concetto iniziale della NASA potrebbe vedere dei robot appendere una rete metallica in un cratere sul lato più lontano della Luna, creando un potentissimo radiotelescopio in grado di sondare lo spazio fino all’alba dell’universo.
Dopo anni di sviluppo, il progetto Lunar Crater Radio Telescope (LCRT) ha ricevuto $ 500.000 per supportare il lavoro aggiuntivo mentre entra nella Fase II del programma Innovative Advanced Concepts (NIAC) della NASA.
Questa illustrazione mostra un radiotelescopio concettuale del cratere lunare sul lato opposto della Luna.
L’obiettivo principale dell’LCRT sarebbe quello di misurare le onde radio a lunga lunghezza d’onda generate in un periodo che è durato alcune centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang, ma prima che le prime stelle iniziassero a lampeggiare.
I cosmologi sanno poco di questo periodo, ma le risposte ad alcuni dei più grandi misteri della scienza potrebbero essere rinchiuse nelle emissioni radio a lunga lunghezza d’onda generate dal gas che avrebbe riempito l’universo durante quel periodo.
“Anche se non c’erano stelle, c’era una grande quantità di idrogeno durante quel breve periodo dell’universo – idrogeno che alla fine sarebbe servito come materia prima per le prime stelle”, ha detto Joseph Lazio, radioastronomo del Jet Propulsion Laboratory della NASA nel sud della California e membro del team LCRT. “Con un radiotelescopio sufficientemente grande al largo della Terra, potremmo seguire i processi che avrebbero portato alla formazione delle prime stelle, forse anche trovare indizi sulla natura della materia oscura”.
I radiotelescopi sulla Terra non possono sondare questo periodo misterioso perché le onde radio a lunga lunghezza d’onda di quell’era vengono riflesse da uno strato di ioni ed elettroni nella parte superiore della nostra atmosfera, la ionosfera.
Le emissioni radio casuali della nostra rumorosa civiltà possono interferire anche con la radioastronomia, soffocando i segnali più deboli.
Ma sul lato più lontano della Luna, non c’è atmosfera che rifletta questi segnali e la Luna stessa bloccherebbe le “chiacchiere” radio dell’umanità sull Terra.
Il lato lunare più lontano potrebbe essere la prima postazione fissa per condurre studi senza precedenti sull’universo primordiale.
Saptarshi Bandyopadhyay, un tecnologo di robotica al JPL e ricercatore capo del progetto LCRT ha detto: “I radiotelescopi sulla Terra non possono vedere le onde radio cosmiche di circa 10 metri o più (< 30 MHz) a causa della nostra ionosfera, quindi c’è un’intera regione dell’universo che semplicemente non possiamo vedere. Ma le idee precedenti di costruire un’antenna radio sulla Luna erano molto complesse e impegnative in termini di risorse, quindi siamo stati costretti a inventare qualcosa di diverso”.
Costruire telescopi con i robot.
Per essere sensibile alle lunghe lunghezze d’onda radio, l’LCRT dovrebbe essere enorme.
L’idea è di creare un’antenna di oltre 1 chilometro di larghezza in un cratere di oltre 3 chilometri di larghezza.
I più grandi radiotelescopi a parabola singola sulla Terra, come il telescopio con apertura di 500 metri (FAST) in Cina e l’ormai inoperativo di 305 metri di larghezza ad Arecibo a Porto Rico – sono stati costruiti all’interno di depressioni naturali simili a scodelle nel paesaggio per fornire una struttura di supporto.
Questa classe di radiotelescopi utilizza migliaia di pannelli riflettenti sospesi all’interno della depressione per rendere l’intera superficie dell’antenna riflettente alle onde radio. Il ricevitore si sospende quindi tramite un sistema di cavi in un punto focale sopra la parabola, ancorato da torri al perimetro della parabola, per misurare le onde radio che rimbalzano sulla superficie curva sottostante.
Ma nonostante le sue dimensioni e complessità, anche FAST non è sensibile alle lunghezze d’onda radio più lunghe di circa 4,3 metri (< 69 MHz).
Il team di ingegneri, robotisti e scienziati del JPL, ha condensato e concentrato questa classe di radiotelescopi fino alla sua forma più elementare. Il loro concetto elimina la necessità di trasportare materiale pesantemente proibitivo sulla Luna e utilizza robot per automatizzare il processo di costruzione.
Invece di utilizzare migliaia di pannelli riflettenti per focalizzare le onde radio in arrivo, l’LCRT sarebbe costituito da una sottile rete metallica al centro del cratere.
Un veicolo spaziale consegnerebbe la rete e un lander separato depositerà rover DuAxel per costruire la parabola per diversi giorni o settimane.
DuAxel, un concetto robotico in fase di sviluppo presso JPL, è composto da due rover ad asse singolo (chiamati Axel) che possono sganciarsi l’uno dall’altro ma rimanere collegati tramite un cavo. Una metà fungerebbe da ancora sul bordo del cratere mentre l’altra si cala in corda doppia per costruire l’edificio. In questo filmato lo vediamo all’opera nel deserto del Mojave in California, due ore di auto a sud di Las Vegas.
La superficie della Luna è coperta di crateri, e una delle depressioni naturali potrebbe fornire una struttura di supporto per un piatto del radiotelescopio. Come mostrato in questa illustrazione, i rover DuAxel potevano ancorare la rete metallica dal bordo del cratere.
Credits: Vladimir Vustyansky
“DuAxel risolve molti dei problemi associati alla sospensione di un’antenna così grande all’interno di un cratere lunare”, ha detto Patrick Mcgarey, un tecnologo di robotica al JPL e membro del team dei progetti LCRT e DuAxel. “I singoli rover Axel possono entrare nel cratere mentre sono legati, collegarsi ai cavi, applicare tensione e sollevare i cavi per sospendere l’antenna”.
In questa illustrazione, il ricevitore può essere visto sospeso sopra il piatto tramite un sistema di cavi ancorati al bordo del cratere.
Credits: Vladimir Vustyansky.
Identificare le sfide.
Affinché il team possa portare il progetto al livello successivo, utilizzerà i finanziamenti della Fase II del NIAC per affinare le capacità del telescopio e i vari approcci di missione identificando le sfide lungo il percorso.
Una delle maggiori sfide del team durante questa fase è la progettazione della rete metallica.
Per mantenere la sua forma parabolica e la precisa spaziatura tra i fili, la rete deve essere resistente e flessibile, ma abbastanza leggera da poter essere trasportata.
La maglia deve anche essere in grado di sopportare i mostruosi cambiamenti di temperatura sulla superficie della Luna – da un minimo di – 173 gradi Celsius a un massimo di + 127 gradi Celsius – senza deformazioni o cedimenti.
Un’altra sfida è identificare se i rover DuAxel devono essere completamente automatizzati o se sia necessario coinvolgere un operatore umano nel processo decisionale.
La costruzione DuAxels potrebbe essere completata anche da altre tecniche di costruzione?
Sparare arpioni sulla superficie lunare, ad esempio, può ancorare meglio la rete dell’LCRT, richiedendo meno robot.
Inoltre, per ora, il lato lunare è “radio silenzioso”, ciò però potrebbe cambiare in futuro.
L’agenzia spaziale cinese ha attualmente una missione che esplora quel lato lunare lontano, dopotutto, e l’ulteriore sviluppo della superficie lunare potrebbe avere un impatto su possibili progetti di radioastronomia.
Per i prossimi due anni, il team LCRT lavorerà per identificare anche altre sfide e domande. Se avranno successo, potranno essere selezionati per un ulteriore sviluppo.
Patrick Mcgarey ha detto: “Lo sviluppo di questo concetto potrebbe produrre alcune scoperte significative lungo il percorso, in particolare per le tecnologie di distribuzione e l’uso di robot per costruire strutture gigantesche al largo della Terra. Sono orgoglioso di lavorare con questo team diversificato di esperti che ispirano il mondo a pensare a grandi idee che possono fare scoperte rivoluzionarie sull’universo in cui viviamo”.
NIAC è finanziato dalla direzione della missione della tecnologia spaziale della NASA, che è responsabile dello sviluppo delle nuove tecnologie e capacità trasversali necessarie all’agenzia.