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La NASA è di nuovo in contatto con la sonda Voyager 2.

Dov’è la notizia? Voyager 1 è anche più lontano! Cosa c’è di tanto eclatante?

La notizia sta nel fatto che riuscire a dialogare via radio con un oggetto che si trova a 18,8 miliardi di chilometri, cioè circa 20 ore luce da noi, rappresenta una impresa. Non tanto per il tempo che ci vuole per capire se il “comando” radio è arrivato bene oppure no, che consiste in quasi due giorni (34 ore complessive) di ansia e di attesa dall’invio del comando alla ricezione della risposta, ma per la quasi nulla potenza del segnale ricevuto che si trova al limite del suo rapporto con il disturbo di fondo.

Vediamo di capire meglio. Le comunicazioni sono fornite dalla sonda tramite l’antenna a parabola di oltre 3,66 metri ad alto guadagno e con un’antenna a basso guadagno per il backup. L’antenna ad alto guadagno supporta la telemetria downlink sia in banda X (da 7 a 12,5 GHz) che in banda S (2 – 4 GHz). Voyager è stata la prima navicella spaziale a utilizzare la banda X come frequenza di collegamento telemetrica primaria. I dati possono essere archiviati per la successiva trasmissione alla Terra tramite l’uso di un registratore digitale a bordo. L’energia a bordo del Voyager non manca. La sonda è partita dalla Terra nel 1977 con 470 watt di energia elettrica a 30 Volt in corrente continua, fornita da tre generatori nucleari a radioisotopi (RTG). Col trascorrere del tempo questi generatori perdono gradualmente efficacia, dovuto appunto al decadimento del plutonio, tanto che si calcola che entro il 2025 entrambe le sonde Voyager non saranno più in grado di funzionare per insufficienza energetica.

Qui sotto lo schema di un Voyager.

Nel 1997, dopo 20 anni di utilizzo, gli RTG fornivano ancora 335 W. Questa energia residua, che potrebbe essere oggi, 2020, ancora di poco inferiore ai 200 W elettrici (poi vi sono in più anche i Watt termici che servono a mantenere a temperatura adeguata di funzionamento le apparecchiature), non sono dedicati solo alla comunicazione. I trasmettitori a microonde delle due Voyager hanno una potenza di circa 25 watt e li trasmettono dall’antenna parabolica di circa tre metri di diametro con un guadagno molto elevato (circa 45 db).

L’antenna di circa 3,66 metri quando era ancora a terra in assemblaggio.

A terra le antenne Deep Space Network o DSN sono molto più grandi (paraboliche da 70 metri di diametro) e il guadagno ancora più elevato. Di conseguenza si riesce a “sentire” i deboli segnali della sonda nonostante i miliardi di km che ci separano.

I segnali ricevuti, comunque, sono estremamente deboli, parliamo dell’ordine degli attowatt, ovvero miliardesimi di miliardesimi di watt!

Nel DSN sono presenti degli amplificatori a basso rumore molto costosi che consentono di portare questi segnali a livelli utilizzabili.

Per darvi una idea, molto più ottimistica, di quanto possa essere l’attenuazione vi propongo questo esercizio mentale: supponiamo che in una notte serena andate in mezzo ad un campo buio ed accendete verso il cielo un faretto di luce da 25W. Una torcia professionale è in grado di fare questo. La visione ottimistica sta nel fatto che la torcia riesce a focalizzare molto meglio la luce piuttosto che una parabola con un fascio portante da 10 GHz che ha un “cono” di emissione con un angolo più aperto.

Ma trascuriamo questo! Ora pensate a cosa può vedere di quella luce un aereo di linea a 10 km: molto poco, ma facendo attenzione si può vedere, forse, anche ad occhio nudo,

Ora spostatevi sulla Luna: la vedreste ancora da 400.000 km? Ad occhio nudo no, ma con un buon telescopio ottico, sapendo dove si trova la torcia, sì la potreste anche vedere!

Bene, ora dovete solo allontanarvi di 19 miliardi di km e di quella luce rimarrebbe quasi ZERO!

Questa è la notizia!

IDSN di Canberra.  Gli ingegneri conducono aggiornamenti e riparazioni critiche all’antenna radio Deep Space Network Station 43, larga 70 metri (230 piedi) a Canberra, in Australia. In questa clip, uno dei coni di alimentazione bianchi dell’antenna (che ospitano parti dei ricevitori dell’antenna) viene spostato da una gru. Crediti: CSIRO.

l Deep Space Network è costituito da strutture di antenne radio distribuite equamente in tutto il mondo a Canberra; Goldstone, California; e Madrid, Spagna. Il posizionamento delle tre strutture assicura che quasi tutti i veicoli spaziali con una linea di vista verso la Terra possano comunicare con almeno una delle strutture in qualsiasi momento. Voyager 2 però è la rara eccezione. Per fare un sorvolo ravvicinato della luna di Nettuno Tritone nel 1989, la sonda ha sorvolato il polo nord del pianeta. 

Quella traiettoria l’ha deviata verso sud rispetto al piano dei pianeti, e da allora si è diretta in quella direzione. Ora a più 18,8 miliardi di chilometri dalla Terra, ma è così lontano a sud che non ha una linea di vista con tutte le antenne radio nell’emisfero settentrionale.

E questa è un’altra notizia!

Ne approfitto per ricordare a coloro che non erano, come me, davanti al televisore durante quelle eccezionali avventure dei due Voyager, che su entrambi, su uno dei lati del telaio (BUS) è stato montato un disco di rame placcato in oro da 12 pollici. Il disco ha registrato su di esso suoni e immagini della Terra progettati per rappresentare la diversità della vita e della cultura del pianeta. Ogni disco è racchiuso in una custodia protettiva in alluminio insieme a una cartuccia e ad un ago. Le istruzioni che spiegano da dove proviene la navicella spaziale e come riprodurre il disco sono incise sul contenitore (giacca). Sono istruzione simboliche.

Elettroliticamente, su un’area di 2 cm sul coperchio c’è anche una fonte ultra-pura di uranio-238 (con una radioattività di circa 0,26 nanocuries e un’emivita di 4,51 miliardi di anni), consentendo agli eventuali alieni che lo troveranno la determinazione del tempo trascorso dal lancio misurando la quantità di elementi radioattivi U238 restanti. Le 115 immagini sul disco sono state codificate in forma analogica. Le selezioni dei suoni (inclusi i saluti in 55 lingue, 35 suoni, naturali e artificiali, e porzioni di 27 brani musicali) sono progettate per la riproduzione a 1000 giri / min.

Vi propongo un articolo che illustra bene questo evento.

Commentato da Luigi borghi

Ecco l’articolo.

Ulteriori link utili:

https://solarsystem.nasa.gov/missions/voyager-2/in-depth/

Alla ricerca del pianeta 9.

Il pianeta nove di cui si parla qui è un ipotetico grosso pianeta che si troverebbe una ventina di volte più lontano dal Sole di Plutone, ma che avrebbe una massa di una decina di volte la nostra Terra. Ovviamente non lo ha mai visto nessuno! La luce del Sole è talmente fioca che, a quella distanza, il pianeta non la riflette a sufficienza per essere visto.

Qui sotto una immagine artistica del pianeta 9.

Vi sono però alcuni corpi della Fascia di Kuiper che hanno orbite tali da essere giustificabili solo con la presenza di una grossa massa che orbita da quelle parti.

Questo fantomatico pianeta nove mi ha sempre intrigato parecchio, al punto che ci ho pure scritto un libro “Civiltà scomparsa” che uscirà ai primi del 2021.

Nella mia avventura è solo un pianeta errante di passaggio perché è stato scaraventato nello spazio profondo a folle velocità dall’esplosione della sua stella e che attraversa la nostra nube di Oort senza fermarsi. Tutta la storia del libro ruota attorno alla corsa dell’umanità e della protagonista, la planetologa Joy, per arrivare a “toccare” e ad indagare un pianeta extrasolare, che poteva potenzialmente ospitare una civiltà evoluta e che la natura lo offre a “portata di mano”.

Qui, nell’articolo che vi propongo oggi invece si fa sul serio.

Gli astronomi di Yale, Malena Rice e Gregory Laughlin, stanno tentando con un metodo chiamato “spostamento e impilamento” (shifting and stacking), una tecnica che raccoglie la luce diffusa da migliaia di immagini del telescopio spaziale Transiting Exoplanet Survey Satellite (TESS) e identifica i percorsi orbitali per oggetti precedentemente non rilevati.

In poche parole, i due astronomi prendono le migliaia di foto ad altissima risoluzione ricevute da TESS, che fa il suo lavoro di routine, poi le sovrappongono una sull’altra (le impilano), ma spostandole una ad una come se seguissero una ipotetica traiettoria plausibile del pianeta calcolata secondo ipotesi derivate da comportamento di altri corpi trans nettuniani.  Come se seguissero con TESS un potenziale percorso orbitale. In questo modo la eventuale debole luce del pianeta nove verrebbe amplificata mentre i disturbi, le luci delle stelle vicine ed altre luci indesiderate, non sovrapponendosi vengono drasticamente attenuate.

Qui un esempio di questa tecnica con solo 12 immagini.

In questo modo, ogni tanto, la luce rivela il percorso di oggetti assolutamente invisibili altrimenti.

La Rice ha detto che lo spostamento e l’accatastamento sono stati utilizzati in passato per scoprire nuove lune del sistema solare. 

Il Transiting Exoplanet Survey Satellite (TESS), è un telescopio spaziale normalmente utilizzato per cercare pianeti extrasolari di cui abbiamo già parlato su questa homepage e sulla nostra rivista “Il C.O.S.Mo. News”.

Illustrazione artistica di TESS. Credit NASA.

Commento e traduzione di Luigi Borghi.

Eccovi la traduzione tratta da:

https://www.spacedaily.com/reports/Lighting_a_Path_to_Find_Planet_Nine_999.html

Ulteriori link utili:

https://scienceblog.com/519286/lighting-a-path-to-planet-nine/#:~:text=To%20detect%20objects%20that%20are,sets%20of%20potential%20orbital%20paths.

Illuminare un percorso per trovare il pianeta nove.

di Staff Writers. New Haven CT (SPX) 28 ottobre 2020.

La ricerca del Pianeta Nove – un ipotetico nono pianeta nel nostro sistema solare – potrebbe arrivare a individuare le scie orbitali più deboli in un angolo incredibilmente buio dello spazio.

Questo è esattamente ciò che gli astronomi di Yale Malena Rice e Gregory Laughlin stanno tentando con una tecnica che raccoglie la luce diffusa da migliaia di immagini del telescopio spaziale e identifica i percorsi orbitali per oggetti precedentemente non rilevati.

“Non puoi davvero vederli senza usare questo tipo di metodo. Se Planet Nine è là fuori, sarà incredibilmente debole”, ha detto Rice, autore principale di un nuovo studio che è stato accettato dal Planetary Science Journal [https : //psj.aas.org].

Rice, un dottorato di ricerca. studente di astronomia e Graduate Research Fellow della National Science Foundation, ha presentato i risultati il ​​27 ottobre all’incontro annuale della Divisione per le scienze planetarie dell’American Astronomical Society.

La possibilità di un nono pianeta nel sistema solare terrestre, situato oltre l’orbita di Nettuno, ha guadagnato slancio tra gli astronomi negli ultimi anni mentre hanno esaminato le curiose orbite di un ammasso di piccoli oggetti ghiacciati nella fascia di Kuiper. Molti astronomi ritengono che l’allineamento di questi oggetti – e le loro traiettorie – indichino l’influenza di un oggetto invisibile.

Sebbene la stragrande maggioranza della luce osservata dai pianeti nel sistema solare sia luce riflessa, la quantità di luce solare riflessa diminuisce drasticamente per un pianeta distante come il Pianeta Nove, probabilmente da 12 a 23 volte più distante dal Sole di Plutone.

Se esistesse, il pianeta nove sarebbe una cosiddetta super-Terra. Avrebbe da 5 a 10 volte la massa della Terra e sarebbe situato centinaia di volte più lontano dal Sole di quanto lo sia la Terra e da 14 a 27 volte più distante dal Sole di Nettuno, ha detto il professore di astronomia di Yale Gregory Laughlin, autore senior del nuovo studio.

“Questa è una regione dello spazio che è quasi del tutto inesplorata”, ha detto Laughlin.

Per rilevare oggetti altrimenti non rilevabili, Rice e Laughlin utilizzano un metodo chiamato “spostamento e impilamento”. Loro “spostano” le immagini da un telescopio spaziale – come muovere una fotocamera mentre scatta foto – lungo serie predefinite di potenziali percorsi orbitali. Quindi “impilano” centinaia di queste immagini insieme in un modo che combina la loro debole luce.

Ogni tanto, la luce rivela il percorso di un oggetto in movimento, come un asteroide o un pianeta.

Rice ha detto che lo spostamento e l’accatastamento sono stati utilizzati in passato per scoprire nuove lune del sistema solare. Questa è la prima volta che viene utilizzato su larga scala per cercare una vasta area di spazio. Le immagini che lei e Laughlin hanno utilizzato provenivano dal Transiting Exoplanet Survey Satellite, un telescopio spaziale normalmente utilizzato per cercare pianeti al di fuori del nostro sistema solare.

I ricercatori hanno testato il loro metodo cercando con successo i segnali luminosi di tre oggetti transnettuniani (TNO) noti

Successivamente, hanno condotto una ricerca alla cieca di due settori nel sistema solare esterno che potrebbero rivelare il Pianeta Nove o qualsiasi oggetto della fascia di Kuiper precedentemente non rilevato e rilevato 17 potenziali oggetti.

“Se anche uno solo di questi oggetti candidati fosse reale, ci aiuterebbe a comprendere le dinamiche del sistema solare esterno e le probabili proprietà del Pianeta Nove”, ha detto Rice. “Sono nuove informazioni convincenti.”

Attualmente sta lavorando con l’ex postdoc di Yale Songhu Wang, un membro della facoltà dell’Università dell’Indiana, per controllare i 17 candidati che utilizzano telescopi a terra.

Laughlin ha detto che l’uso riuscito dello spostamento e dell’accatastamento su scala limitata aprirà la strada a un’indagine su scala più ampia del sistema solare esterno, che è particolarmente convincente data la possibilità di trovare un nuovo pianeta.

“Dovremmo seguire ogni indizio per trovare maggiori informazioni”, ha detto Laughlin.

La Rice ha detto che rimane “agnostica” sull’esistenza del Pianeta Nove e vuole concentrarsi sui dati. “Ma sarebbe bello se fosse là fuori”.

Confronto tra iniziativa pubblica e privata nell’accesso allo spazio.

Ci troviamo ancora una volta di fronte, purtroppo, agli effetti negativi della politica sulle decisioni che riguardano la cooperazione internazionale sulla ricerca scientifica.

Mi auguro siano solo schermaglie politiche che poi verranno appianate dal buon senso su pressione della comunità scientifica, anche perché il tempo a disposizione non è tantissimo.

Mi riferisco al Gateway. La stazione orbitante intorno alla Luna.

Una iniziativa che dovrebbe dare seguito allo stesso gruppo di paesi che ha dimostrato una perfetta sintonia di collaborazione per realizzare a Stazione Spaziale Internazionale. La ISS.

Una squadra collaudata quindi! Ma ecco che nascono i problemi ancora prima di partire. Come vedete nell’articolo apparso su astronautinews.it sul link che allego, l’agenzia spaziale russa Roskosmos e quella americana NASA, non riescono a concludere un accordo. Il rischio è che la Russia rimanga fuori dai giochi per la realizzazione della stazione spaziale orbitante intorno alla Luna, il che mi sembrerebbe anacronistico. Fuori dalla logica, in perfetto stile guerra fredda, che speravo dimenticato e sepolto. Il progetto Artemis di ritorno sulla luna entro il 2024 andrebbe avanti comunque ma partiremmo sicuramente con il piede sbagliato. Ma solo per giustificare il titolo di questa flash, mentre le agenzie governative stanno a distinguere ed a guardare il pelo nell’uovo, ed a contare chi ha più metri quadrati di superficie dentro al Gateway, si rischia di vedere nel 2024 Elon Musk che con la su astronave Starship non andrà sulla Luna ma addirittura su Marte. Vedi il link space.com.

Il che dimostrerebbe ancora una volta che il know-how per lo sviluppo tecnologico c’è, ma che lasciarlo gestire alla politica è un errore.

Spero sia solo una mia preoccupazione. Fosse per me, oltre alla Russia, dentro al club attuale formato da Europa, USA, Giappone e Canada, vorrei anche Cina e India, ma questo sarebbe pretendere troppo. L’umanità è ancora lontana dal riuscire ad orchestrare una simile sinergia. La decisione politica è ancora troppo influenzata ed annebbiata dai vecchi interessi territoriali, di bandiera o di egemonia che impedisce di vedere i vantaggi per il futuro dell’umanità.

Ecco l’articolo.

Commentato da Lugi Borghi.

Il telescopio spaziale James Webb della NASA completa i test ambientali.

Come siamo messi con il JWST?

Un telescopio spaziale che ha, per ora, collezionato record di ritardi e slittamenti ma che, se andrà tutto come previsto, sarà una nuova potentissima finestra di osservazione dell’universo. La sua capacità di analizzare nello spettro dell’infrarosso, ne fa un candidato ideale per scrutare pianeti extrasolari.

La sfida è ambiziosa per diversi motivi:

  1. È un complicatissimo telescopio che dovrà essere “aperto” automaticamente in viaggio. Si dovranno dispiegare gli schermi di protezione e l’enorme specchio riflettente diviso in 3 parti formati da riflettori esagonali.
  2. La sua complessità ed il suo peso impongono test severissimi al fine di verificare la sua tolleranza alle enormi sollecitazioni che riceverà durante il lancio.
  3. Si dovrà collocare in un punto di Lagrange che si trova a 1,5 milioni di km dalla Terra.
  4. Proprio perché si troverà così distante non potrà di certo essere soccorso con interventi di manutenzione come fatto con il suo famoso predecessore Hubble. O va al primo colpo o si sono buttati miliardi di dollari dalla finestra.

Queste sono sostanzialmente le ragioni dei continui slittamenti, oltre naturalmente al COVID19.

Si va con i piedi di piombo perché a nessuno piace l’idea di un fallimento. Come diceva Kranz ai suoi collaboratori a Cape Canaveral con Apollo 13: il fallimento non è una opzione.

Se supererà indenne l’enorme sforzo durante il lancio con un Ariane 5 dalla Guyana francese il rischio fallimento diminuirà di parecchio.

Commentato e tradotto da Luigi Borghi.

Eccovi l’articolo tradotto.

https://www.nasa.gov/feature/goddard/2020/nasa-s-james-webb-space-telescope-completes-environmental-testing

https://youtu.be/QbyKJlmOQbY

Per la prima volta in assoluto, i team di test di Northrop Grumman a Redondo Beach, in California, hanno sollevato con cura il telescopio spaziale James Webb completamente assemblato per prepararlo per il trasporto alle vicine strutture di prova acustica e di vibrazione sinusoidale.

Credito immagine NASA / Chris Gunn

Con il completamento della sua ultima serie di test fondamentali, il James Webb Space Telescope della NASA è ora sopravvissuto a tutte le dure condizioni associate al lancio di un razzo nello spazio. 

I recenti test di Webb hanno convalidato che l’osservatorio completamente assemblato resisterà al rumore assordante e ai tremori e alle vibrazioni che l’osservatorio subirà durante il decollo. 

Conosciuti come test “acustici” e “sinusoidali”, la NASA ha lavorato con attenzione con i suoi partner internazionali per abbinare l’ambiente di test di Webb precisamente a ciò che Webb sperimenterà sia il giorno del lancio, sia quando opera in orbita.

Sebbene ogni componente del telescopio sia stato rigorosamente testato durante lo sviluppo, dimostrare che l’hardware di volo assemblato è in grado di passare in sicurezza attraverso un ambiente di lancio simulato è un risultato significativo per la missione. 

Completati in due strutture separate all’interno dello Space Park di Northrop Grumman a Redondo Beach, in California, questi test rappresentano gli ultimi due di Webb, in una lunga serie di test ambientali prima che Webb venga spedito nella Guyana francese per il lancio.

Il prossimo ambiente che Webb sperimenterà è lo spazio. 

“Il completamento con successo dei test ambientali del nostro osservatorio rappresenta una pietra miliare nella marcia verso il lancio. I test ambientali dimostrano la capacità di Webb di sopravvivere al viaggio del razzo nello spazio, che è la parte più violenta del suo viaggio in orbita a circa un milione di miglia dalla Terra. Il gruppo multinazionale di persone responsabili dell’esecuzione del test acustico e di vibrazione è composto da un team eccezionale e dedicato di persone tipiche dell’intero team Webb “, ha affermato Bill Ochs, project manager Webb per il NASA Goddard Space Flight Center di Greenbelt , Maryland.

I test sono iniziati incapsulando dapprima l’intero telescopio in una camera bianca mobile costruita per proteggerlo dal mondo esterno. I tecnici lo hanno quindi guidato con attenzione verso una vicina camera di prova acustica dove è stato intenzionalmente fatto saltare da livelli di pressione sonora superiori a 140 decibel, con uno spettro sintonizzato sulla firma specifica del razzo Ariane 5 che viaggerà nello spazio. Durante i test sono stati attentamente osservati e registrati quasi 600 singoli canali di dati di movimento. I tipici test acustici e di vibrazione misurano circa 100 canali di dati, ma le dimensioni e la forma complesse dell’osservatorio richiedono misurazioni notevolmente maggiori per garantire il successo. I dati sono stati quindi analizzati a fondo e contrassegnati come un completo successo.    

Dopo aver completato con successo i suoi test acustici finali, Webb è stato nuovamente imballato e trasportato in una struttura separata per simulare le vibrazioni a bassa frequenza che si verificano durante il decollo. Mentre all’interno Webb è stato posizionato su un tavolo shaker specializzato in grado di accelerazioni verticali e orizzontali precise. Laddove il test acustico simula le dinamiche ad alta frequenza del lancio, il test delle vibrazioni copre le frequenze più basse sperimentate. Con la combinazione dei due viene considerato l’intero ambiente meccanico che Webb sperimenterà durante il lancio.

Per spostare in sicurezza il James Webb Space Telescope tra le strutture di test, gli ingegneri lo racchiudono in una speciale camera bianca mobile spesso denominata a conchiglia. La scansione tra gli edifici può richiedere ore e richiede l’innalzamento delle linee telefoniche per consentire a Webb di passare sotto. I recenti test di Webb hanno convalidato che l’osservatorio completamente assemblato resisterà al rumore assordante e alle scosse, ai sonagli e alle vibrazioni stridenti che l’osservatorio subirà durante il decollo. Conosciuti come test “acustici” e “sinusoidali”, la NASA ha lavorato con attenzione con i suoi partner internazionali per abbinare l’ambiente di test di Webb precisamente a ciò che Webb sperimenterà sia il giorno del lancio, sia quando opera in orbita.

Crediti: Goddard Space Flight Center della NASA

“Il team di test è un consorzio internazionale di esperti di dinamiche strutturali che sono gli ingegneri principali per ogni pezzo di hardware dell’osservatorio. I membri del team si trovano negli Stati Uniti e in Europa, in 9 fusi orari! Sono estremamente impegnati a supportare i test a tutte le ore e tutti i giorni per fornire la loro esperienza “, ha affermato Sandra Irish, Webb Mechanical Systems Structures Engineer Lead per il Goddard Space Flight Center della NASA a Greenbelt, nel Maryland. “Grazie alla dedizione del team, al duro lavoro e alla pura eccitazione di far parte di questo complesso test, è stato un completo successo! Conosco queste persone da molti anni ed è stato un onore lavorare con ognuna di loro “. 

Webb è ora programmato per passare all’ultima estensione completa del suo iconico specchio primario e tettuccio parasole, seguita da una valutazione completa del sistema prima di essere incapsulato in un container di spedizione specializzato per il trasporto in Sud America. 

La distribuzione dell’osservatorio dopo aver sperimentato un ambiente di lancio simulato è il modo migliore per replicare la vera serie di eventi che l’osservatorio sperimenterà durante il lancio e durante l’esecuzione della sua complessa sequenza di distribuzione nello spazio. L’analisi iniziale suggerisce che l’osservatorio ha superato con successo i test acustici e di vibrazione a livello di osservatorio, ma la verifica completa dell’idoneità al volo avverrà dopo che Webb avrà completato con successo i test finali di dispiegamento.

Ingegneri e tecnici continuano a seguire procedure di sicurezza personale aumentate a causa della situazione COVID-19, che sta causando un impatto significativo e interruzioni a livello globale. Il team ha ripreso le operazioni quasi complete e si sta ora preparando per la fase finale dei test prima della spedizione al sito di lancio.

Il James Webb Space Telescope è il telescopio per le scienze spaziali più grande, potente e complesso mai costruito al mondo. Oltre alla scienza rivoluzionaria che ci si aspetta dopo il lancio, Webb ha richiesto un miglioramento dell’infrastruttura di test e dei processi coinvolti nella convalida di veicoli spaziali complessi di grandi dimensioni per una vita nello spazio. Varie strutture in tutto il paese hanno dovuto essere ampliate e aggiornate per testare e preparare con sicurezza una macchina grande quanto Webb per il decollo. Le lezioni apprese dal precedente sviluppo di telescopi spaziali sono state investite in Webb, e i futuri telescopi spaziali saranno costruiti sulla stessa conoscenza collettiva. Migliaia di scienziati, ingegneri e tecnici hanno contribuito a creare, testare e integrare Webb. 

Hanno partecipato in totale, 258 aziende, agenzie e università, anche italiane: 142 dagli Stati Uniti, 104 da 12 nazioni europee e 12 dal Canada.

Webb è il prossimo grande osservatorio di scienze spaziali della NASA, che aiuterà a risolvere i misteri del nostro sistema solare, guardando oltre a mondi lontani attorno ad altre stelle e sondando le strutture e le origini mistificanti del nostro universo. Webb è un programma internazionale guidato dalla NASA, insieme ai suoi partner ESA (European Space Agency) e Canadian Space Agency.

Per ulteriori informazioni su Webb, visitare: https://www.nasa.gov/webb

Ulteriori risorse video sono disponibili qui: https://svs.gsfc.nasa.gov/Gallery/JWST.html

A cura del Goddard Space Flight Center della NASA di  Thaddeus Cesari.

Altri link utili: www.nasa.gov/artemis

La NASA pubblica il piano Artemis. La Luna è ancora più vicina!

Jim Bridenstine, amministratore della NASA è contento perché per questo progetto di ritorno sulla Luna ha il sostegno bipartisan del Congresso. Comunque vadano le elezioni USA il progetto andrà perseguito! La Fase 1 del programma Artemis prevede di far atterrare la prima donna e il prossimo uomo sulla superficie della Luna nel 2024.

Il nuovo potente razzo dell’agenzia, lo Space Launch System (SLS) e la navicella spaziale Orion sono quasi pronti al loro primo lancio integrato perché ora il veicolo spaziale è completo!

Lo stadio principale e i quattro motori collegati sono sottoposti a una serie finale di test che culmineranno in un test critico di accensione già questo autunno.

La prima missione, Artemis I, è in programma per il 2021. Volerà attorno alla Luna senza astronauti a bordo e sarà un test del lanciatore SLS e del rientro della Orion

Bisognerà attendere Artemis II che volerà con l’equipaggio nel 2023. In quel volo intorno alla Luna gli astronauti piloteranno manualmente Orion mentre si avvicinano e si allontanano dallo stadio criogenico. Questa dimostrazione valuterà le qualità di manovrabilità di Orion.

Finalmente nel 2024, Artemis III rappresenterà il ritorno dell’umanità sulla superficie della Luna, facendo atterrare i primi astronauti al Polo Sud lunare.

Nella illustrazione artistica (credit NASA) i due astronauti vicini al nuovo modulo lunare.

Non è ancora chiaro se la NASA vorrà utilizzare il Gateway (la stazione spaziale internazionale che orbiterà intorno alla Luna) come supporto vitale e temporaneo per Artemis III.

Il Gateway potrebbe non essere ancora operativo.

Un rendering del Gateway (Credit NASA)

Artemis IV e oltre invece invieranno l’equipaggio a bordo di Orion per attraccare al Gateway, dove due membri dell’equipaggio possono rimanere a bordo dell’astronave in orbita mentre due vanno in superficie. Nel tempo, l’avamposto si evolverà, con nuovi moduli aggiunti da partner internazionali, consentendo ai membri dell’equipaggio di condurre missioni lunari sempre più lunghe.

Si ricomincia, ma stavolta da colonizzatori e non da esploratori!

La colonia lunare è vicina e qui sotto vediamo una illustrazione molto realistica di ciò che potrà essere la colonia entro il 2030 (Credit NASA).

Un rapporto completo e dettagliato del progetto Artemis si trova qui:

https://www.nasa.gov/sites/default/files/atoms/files/artemis_plan-20200921.pdf

Commentato da Luigi Borghi.

Eccovi l’articolo che vi propongo: https://www.nasa.gov/press-release/nasa-publishes-artemis-plan-to-land-first-woman-next-man-on-moon-in-2024/

Altri link utili: www.nasa.gov/artemis

Il futuro delle missioni su Venere.

Battiamo il ferro finché è caldo, quindi penso che dopo la scoperta della fosfina sarà essenziale predisporre osservazioni ripetute delle nubi di Venere, per capire come le concentrazioni di fosfina mutino nel tempo.

Però nessuna delle possibili missioni ipotizzate finora sembra attrezzata per questo. Tutte le missioni che la NASA aveva ipotizzato a questo scopo sono state sorpassate in priorità da missioni robotiche verso asteroidi, satelliti e Marte, ma l’agenzia spaziale americana sta comunque investendo su due veicoli spaziali, DAVINCI+ e VERITAS

La prima missione dovrebbe esplorare l’atmosfera venusiana per comprenderne l’evoluzione, la seconda ha l’obiettivo di mappare con precisione la superficie e di studiare la geodinamica interna che ha modellato il pianeta.

Se anche dovesse essere finanziata, VERITAS rimarrebbe nell’orbita di Venere; DAVINCI+ entrerebbe in atmosfera, ma troppo rapidamente per analizzare la composizione della fascia di nubi in cui è presente la fosfina, a circa 50 km di quota. Nessuna delle due proposte di missione è comunque al momento stata confermata. Noi però dobbiamo andare tra le nuvole e restarci per un po’ di tempo. Per esplorare l’alta atmosfera di Venere occorrerebbe rispolverare i concept di aerostati in grado di resistere per un po’ tra le nubi del pianeta, come quelli della missione con equipaggio HAVOC (High Altitude Venus Operational Concept), un progetto visionario (nell’immagine) e improbabile che la NASA ha in archivio e che definisce “non più attivo”.

Qui possiamo vedere una animazione di tutta la missione:

NASA: https://youtu.be/0az7DEwG68A

Un pallone sonda capace di analizzare le biomolecole dell’atmosfera di Venere è anche una delle componenti della Venus Flagship mission, una proposta di studio a lungo termine di Venere, del suo clima, della sua attività geologica e della sua atmosfera, che si avvarrebbe di più elementi (orbiter, lander, aerostati) e che anche se approvata non si concretizzerebbe prima del decennio 2030.

https://vfm.jpl.nasa.gov/Gallery2/

Vedremo cosa intende fare la comunità scientifica e soprattutto quante risorse verranno dedicate per avere una risposta a questa domanda: c’è vita elementare nell’atmosfera di Venere?

Commentato da Luigi Borghi.

Eccovi l’articolo che vi propongo:

Elicotteri e sottomarini nello spazio!

L’uomo, si sa, è un esploratore di terra, di mare e dell’aria, e questa nostra passione e predisposizione l’abbiamo applicata abbondantemente qui sul nostro pianeta.

Ma mezzo secolo fa abbiamo cominciato ad espandere le nostre virtù anche sulla Luna con un’auto elettrica per consentire ai nostri astronauti della missione Apollo di ampliare il loro orizzonte di esplorazione sul nostro satellite.

Ora che ci abbiamo preso gusto ad esplorare il suolo pensiamo all’aria: abbiamo in viaggio verso Marte un elicottero, Ingenuity, appeso alla pancia di un Rover di una tonnellata: Perseverance.

Ma non ci fermiamo, perché adesso stiamo pensando ai mari.

Purtroppo, i mari disponibili fuori dalla Terra, a parte quelli della Luna che non hanno nulla a che fare con i fluidi, sono tutti ghiacciati in superfice. Con spessori di ghiaccio anche di qualche km.

Quindi inviare una nave, o forse meglio una piccola barca, è fuori discussione.

Ma c’è un posto, molto lontano, dove i mari liquidi ci sono, insieme ai fiumi alla pioggia e tutto il resto: è Titano, il satellite gigante di Saturno. Moti ondosi ed increspature fanno luccicare (Sun glitter) il Kraken Mare su Titano. Ne è stato testimone lo spettrometro Visual and Infrared Mapping Spectrometer (VIMS) a bordo della gloriosa sonda della NASA Cassini, che ha navigato nel sistema di Saturno dal 2004 al 2017. 

Fonte e credit aliveuniverse.today

I liquidi dei mari in questione non sono a base di acqua ma di idrocarburi! Ci sono comunque bacini di centinaia di km quadrati di mare profondo un centinaio di metri.

Quindi ci inviamo una barca?

No! Ci mandiamo direttamente un sottomarino, così andiamo a vedere direttamente cosa c’è sotto. Un piccolo sottomarino, ma ad energia nucleare. Già, perché i pannelli solari ad un centinaio di metri sotto, anche se è metano liquido, non funzionano e la sotto abbiamo bisogno di energia per mesi.

Gli RTG al Plutonio, già usati sulla Cassini, su Curiosity e sull’attuale Perseverance vanno benissimo. Ci sono anche altre caratteristiche favorevoli per un sub su Titano.

  1. La forza di gravità, quindi anche la pressione sullo scafo, vale il 14% di quella terrestre a parità di profondità.
  2. Il liquido in cui navigherebbe il piccolo sottomarino è molto piu fluido e trasparente dell’acqua.
  3. Non è uno schermo per le onde radio.

Dobbiamo aspettare ancora qualche decennio ma il progetto comincia a prendere forma… e finanziamenti.

Commentato da Luigi Borghi.

Ecco la traduzione della fonte da Space.comhttps://www.space.com/saturn-moon-titan-submarine-concept-mission.html

Un sottomarino automatico potrebbe esplorare i mari di Titano, la grande luna di Saturno.

Il sottomarino potrebbe essere pronto per il lancio nel 2030.

I ricercatori hanno proposto l’invio di un sottomarino per esplorare l’enorme luna di Saturno ei suoi mari gelidi di metano ed etano.

I ricercatori hanno ideato una missione concettuale che prevede l’invio di un sottomarino su Titano, l’enorme luna di Saturno, che sfoggia laghi e mari di idrocarburi liquidi sulla sua gelida superficie.

Tale missione, se approvata e finanziata dalla NASA, potrebbe essere pronta per il lancio nel 2030, potenzialmente spianando la strada per un’esplorazione sottomarina ancora più ambiziosa lungo la strada, hanno detto gli sviluppatori del concetto.

Correlata di Foto incredibili: Titano, la luna più grande di Saturno

Il mese scorso, durante una presentazione con il gruppo di lavoro Future In-Space Operations dell’agenzia, Steven Oleson, del Glenn Research Center della NASA in Ohio, ha detto “Riteniamo che il sottomarino Titan sia una specie di primo passo prima di andare poi a fare una missione secondaria Europa o Encelado”.

Europa ed Encelado, rispettivamente lune di Giove e Saturno, ospitano enormi oceani di acqua liquida. Ma questi due corpi idrici sono sepolti sotto gusci di chilometri di ghiaccio e sarebbero quindi più difficili rispetto a far scendere un sottomarino nei mari superficiali di Titano.

Fotografia di Cassini della zona interessata (credit NASA)

Un mondo strano e potenzialmente abitabile

Con una larghezza di 5.150 chilometri, Titano è la seconda luna più grande del sistema solare. L’unico più grande è Ganimede di Giove, che batte Titano di soli 120 km.

Ma la dimensione non è tutto ciò che rende Titano speciale. Ad esempio, la luna gigante è l’unico mondo oltre la Terra conosciuto per ospitare corpi stabili di liquido sulla sua superficie – quei mari e laghi di metano liquido ed etano, alcuni dei quali sono più grandi dei Grandi Laghi del Nord America.

Inoltre, la spessa atmosfera di Titano ospita probabilmente una chimica complessa che coinvolge molecole organiche, gli elementi costitutivi della vita come la conosciamo che contengono carbonio. Di conseguenza, molti astrobiologi visualizzano Titano come una promettente dimora potenziale per la vita, suggerendo che gli organismi nativi potrebbero volare nell’aria della luna o nuotare nei suoi laghi e mari.

Quei nuotatori sarebbero molto diversi da tutto ciò che esiste qui sulla Terra, dato che si darebbero da vivere in metano liquido o etano piuttosto che in acqua. La superficie di Titano è troppo fredda perché l’acqua rimanga liquida, ma gli scienziati pensano che la luna ospiti un mare salato nel sottosuolo, come Encelado, Europa e un certo numero di altri corpi del sistema solare.

È quindi possibile che Titano ospiti due ecosistemi completamente diversi e separati- un mondo di superficie di “strana vita” che convive con un regno di organismi più familiari (per noi, comunque) dipendenti dall’acqua.

Esplorare i mari degli idrocarburi?

La maggior parte di ciò che sappiamo su Titano l’abbiamo imparato dalla missione Cassini-Huygens da 3,2 miliardi di dollari, che ha studiato Saturno e le sue numerose lune da vicino dal 2004 al 2017. La maggior parte di questo lavoro è stato fatto dall’orbiter Cassini Saturn della NASA, ma contributi significativi sono arrivati anche dal lander Huygens, una sonda dell’Agenzia Spaziale Europea-Agenzia Spaziale Italiana che ha toccato Titano nel gennaio 2005.

La NASA sta lavorando su un veicolo spaziale Titan proprio – un drone a otto rotori chiamato Dragonfly, che dovrebbe essere lanciato nel 2026. Se tutto va secondo i piani, Dragonfly atterrerà su Titano nel 2034, quindi studiare la chimica complessa della luna e la potenziale abitabilità in un certo numero di luoghi diversi.

Un sottomarino potrebbe essere il prossimo passo nell’esplorazione di Titan. L’agenzia non ha selezionato l’idea sub Titan come missione ufficiale, ma Oleson e il suo team hanno ottenuto due round di finanziamenti dal programma NASA Innovative Advanced Concepts (NIAC), che cerca di stimolare lo sviluppo di idee e tecnologie di esplorazione potenzialmente mutevoli. Queste due sovvenzioni NIAC, del valore di 100.000 e 500.000 dollari, sono state assegnate rispettivamente nel 2014 e nel 2015.

L’obiettivo principale del lavoro NIAC era quello di elaborare un progetto di ingegneria di base di un potenziale sottomarino Titan, Oleson ha detto.

“È possibile?”, Ha detto durante la presentazione FISO. “Quali tipi di tecnologie sono necessarie? Cosa c’è di unico in quell’ambiente?”

Le unicità sono a diversi livelli. Per esempio, anche se Titano è enorme per una luna, è molto più piccolo della Terra, con solo il 14% dell’attrazione gravitazionale del nostro pianeta. Ciò significa che un sottomarino su Titano non sperimenterebbe una pressione simile a quella di un sottomarino alla stessa profondità sulla Terra.

E il sottomarino Titano sarebbe in crociera attraverso un mezzo diverso da quelli qui sulla Terra. Ma questo non è necessariamente un aspetto negativo. Un sottomarino potrebbe spingere attraverso idrocarburi liquidi abbastanza facilmente, ha detto Oleson, e il liquido è trasparente ai segnali radio, consentendo la comunicazione con l’imbarcazione anche quando è sommersa.

Tali comunicazioni potrebbero raggiungere il sottomarino direttamente dalla Terra o essere trasmesse tramite un orbiter Titan, a seconda dell’architettura della missione.

Un sottomarino titano autonomo avrebbe bisogno di essere grande – circa 6 metri di lunghezza, con un peso (sulla Terra) di 1.500 kg – per ospitare le attrezzature di comunicazione necessarie. Un sottomarino con un compagno orbiter, al contrario, potrebbe inserire la stessa strumentazione scientifica in un corpo lungo appena 2 metri, con un peso di circa 500 kg.

Tale equipaggiamento scientifico dovrebbe includere, al minimo, un pacchetto di chimica che analizza i campioni di liquido, un imager di superficie, un sonar di profondità, una stazione meteorologica e uno strumento che misura le proprietà fisiche del mare circostante. Ulteriori strumenti potrebbero analizzare campioni di fondali marini e immagini del fondo dell’oceano.

I ricercatori hanno anche studiato la possibilità di rimanere in superficie con una barca, che avrebbe sondato le profondità del Titanic a intermittenza con piccoli dispositivi carichi di strumenti chiamati dropsondes. Questa sarebbe un’opzione meno rischiosa, ma Oleson ha detto che la ricompensa sarebbe anche inferiore.

“Stiamo perdendo la scienza, solo per il fatto che non possiamo immergere e fare un sacco di questi test,” ha detto dell’idea della barca.

Un sottomarino autonomo o un duo sub-orbiter sarebbero probabilmente missioni di punta, ha detto Oleson. Le ammiraglie sono le missioni più costose e ambiziose della NASA, con cartellini dei prezzi generalmente superiori a 2 miliardi di dollari in questi giorni. Ne sono un esempio Cassini-Huygens, il rover Curiosity di Marte e il rover Mars 2020 Perseverance, lanciato verso il Pianeta Rosso alla fine di luglio.

La NASA potrebbe essere in grado di portare a casa una missione in barca Titan tramite il suo programma New Frontiers. Le missioni New Frontiers, come Dragonfly e la sonda New Horizons Pluto, costano molto meno delle ammiraglie.

Le proposte per l’ultimo round di finanziamenti di New Frontiers, che ha portato alla selezione di Dragonfly nel giugno 2019, hanno dovuto rispettare un tetto di costo di 850 milioni di dollari (inclusi i costi di lancio o di missione).

Tutte le versioni di un esploratore marino Titano sarebbero a propulsione nucleare, proprio come Cassini e Dragonfly. Saturno si trova 10 volte più lontano dal sole della Terra, quindi la luce solare si diffonde piuttosto sottile su Titano. (E un sottomarino a energia solare sarebbe probabilmente una cattiva idea anche qui sulla Terra, dato che tali veicoli vivono nelle scure profondità)

Lancio nel 2030?

Le alte latitudini settentrionali di Titano ospitano quasi tutti i laghi e i mari della luna, compresi i due più intriganti obiettivi di esplorazione sottomarina, Kraken Mare e Ligeia Mare.

Entrambi questi mari sono enormi. Kraken Mare si estende per circa 400.000 km2 ed è profondo almeno 35 metri. Ligeia Mare ha un’area di 130.000 km2 e una profondità massima di 170 metri.

Come Saturno, Titano ha stagioni che durano circa sette anni terrestri a testa. Sarebbe meglio esplorare Kraken o Ligeia durante l’estate settentrionale di Titano, quando un veicolo spaziale potrebbe immagine delle coste in luce visibile e comunicare direttamente con i controllori di missione sulla Terra, ha detto Oleson.

Un arrivo 2045 a Titano sarebbe quindi una buona scelta, ha detto. Se la missione includeva un orbiter per le comunicazioni, arrivando durante la primavera settentrionale, intorno al 2040, è anche un’opzione, ha aggiunto Oleson.

Il viaggio verso Saturno dura circa sette anni, quindi una sub missione Titan di qualsiasi tipo avrebbe bisogno di lanciare nel 2030 (a meno che non vogliamo aspettare altri tre decenni per le stagioni di cambiare di nuovo).

Questa linea temporale “andrebbe bene con noi, essere in grado di prepararlo nel prossimo decennio a spingerci lì”, ha detto Oleson.

Il 60° anniversario del volo di Belka e Strelka

Eroine senza un volto!

Si perché le due protagoniste di questa storia non hanno un volto bensì un simpatico muso, si tratta infatti di due cagnette Sovietiche di nome Belka e Strelka, saranno i primi esseri viventi a compiere una serie di orbite a bordo di una navicella Russa e a rientrare sulla Terra sane e salve.

Il primato del primo essere vivente nello spazio era dalla piccola Layka anche lei Sovietica (vero nome Kudrjavka, durante la traduzione nelle lingue occidentali ad opera della TASS, venne cancellato a favore del nome della razza di appartenenza, Layka-meticcia più pronunciabile nelle lingue d’oltre cortina di ferro), ma la piccola Layka non farà mai ritorno viva sulla Terra. Le due cagnette nonostante fossero anch’esse in lizza per quel primo storico e tragico volo, voleranno per loro fortuna nella missione successiva che risulterà un vero successo proiettando l’URSS verso la conquista dello spazio da parte del primo essere umano Yuri Gagarin.

 Per il sottoscritto comunque queste piccole cagnoline sono delle vere e proprie eroine, scelte nei canili comunali di razza meticcia nonché di sesso femminile in quanto più robuste rispetto a cani di razze selezionate e di sesso maschile, queste cagnette simpatizzarono subito con i tecnici e ingegneri del programma spaziale Sovietico quindi sopportarono tutti i test a cui vennero sottoposte con la fiducia instaurata verso gli umani che le accudivano fino al lancio e al volo nello spazio compiendo un altro passo in avanti nella conquista del cosmo.

Commentato da: Ciro Sacchetti.

19 AGO 2020

Il testo di credito:Vito Technology

Immagine di credito:“Belka, Strelka, and others” (2009)

Fonte: Star-Walk

Link: https://starwalk.space/it/news/60th-anniversary-of-belka-and-strelka-flight                            Puoi anche dare un’occhiata al nostro video con alcuni rari filmati di cani spaziali. Per guardare il video                                                                                                                                                                      Link Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=OCBWIi2vQ4k&feature=youtu.be

Il 20 agosto di 60 anni fa, i cani Belka e Strelka diventarono i primi esseri viventi a effettuare un volo orbitale e tornare a casa sani e salvi. Con questo articolo desideriamo commemorare questi animali eccezionali e raccontare i particolari più interessanti del loro viaggio nello spazio.

La storia dietro il volo

Verso la fine degli anni ’50, l’Unione Sovietica era pronta a inviare il primo essere umano nello spazio. Ciononostante, gli scienziati sovietici necessitavano di maggiori sicurezze sul fatto che un essere vivente potesse sopravvivere a un volo di questo tipo. Per questa ragione, si decise che il primo ad andare nello spazio sarebbe stato il miglior amico dell’uomo, il cane, il quale avrebbe spianato la strada all’esplorazione spaziale da parte del genere umano.

Nel 1957, sotto la direzione del capo progettista dei veicoli spaziali dell’Unione Sovietica, Sergei Korolev, gli scienziati individuarono 12 cani randagi idonei alla missione e iniziarono ad allenarli per i voli futuri. Le intense sessioni d’allenamento, che richiesero diversi mesi di tempo, includevano l’insegnare ai cani come vivere in spazi ristretti, come resistere all’accelerazione estrema e come abituarsi a consumare gelatine simili a cibo dispensate da un distributore automatico. Nel corso dell’intera procedura, gli specialisti dell’allenamento strinsero legami molto stretti con i cani, al punto da conoscerli alla perfezione.

Tra tutti i cani sottoposti all’allenamento, i migliori risultarono essere Belka (“Whitey”) e Strelka (“Little Arrow”), due cagnette di due anni e mezzo. Esse furono selezionate per eseguire un giorno di volo intorno alla Terra sul veicolo spaziale Sputnik-5

Canidi cosmonauti

Il 19 agosto del 1960, lo Sputnik-5 partì dal cosmodromo di Bajkonur, con i due cani a bordo. Durante il lancio, la respirazione e le pulsazioni dei cani aumentarono, ma quando il veicolo spaziale raggiunse l’orbita terrestre, Belka e Strelka a poco a poco si calmarono. Le condizioni delle cagnette furono monitorate e analizzate molto attentamente, grazie all’impiego di apparecchiature speciali progettate per misurare la pressione, le pulsazioni, l’attività cerebrale e tanti altri parametri. Tutto ciò fu pianificato al fine di proteggere i cani e comprendere quanto avrebbe inciso lo stress di un volo spaziale sugli esseri umani. Inoltre, la navetta spaziale fu dotata di una telecamera, progettata per inviare le immagini dei cani alla Terra.

Per inciso, Belka e Strelka non erano sole nella loro navetta: lo Sputnik-5 trasportava anche topi, insetti, piante, semi, miceti e colture di microbi.

Nel complesso, il viaggio andò abbastanza bene. Dopo la tensione del lancio, le cagnette rimasero tranquille per la maggior parte del tempo e apprezzarono molto il cibo. Inoltre, l’esposizione all’assenza di gravità non arrecò loro particolari fastidi, così come risultò dal sistema di monitoraggio. Fu rilevato un solo momento poco piacevole (dopo che la navetta aveva orbitato intorno alla Terra per la quarta volta), ovvero quando Belka, per ragioni sconosciute, non si sentì bene, si agitò e iniziò ad abbaiare. In ragione di questo avvenimento, gli scienziati decisero di limitare il viaggio del primo uomo nello spazio, Yuri Gagarin, a una sola orbita intorno alla Terra.

Dopo il volo Il 20 agosto 1960, lo Sputnik-5 atterrò con successo dopo aver completato 17 orbite intorno alla Terra. Belka e Strelka trascorsero oltre 25 ore nello spazio, coprendo una distanza di 700.000 chilometri. Dopo l’atterraggio, le cagnette apparirono abbastanza in forma; dai test medici non emersero anomalie. Così, Belka e Strelka diventarono le prime creature viventi a sopravvivere a un volo orbitale

Oleg Gazenko sostiene Belka (a destra e Strelka (a sinistra) durante la prima conferenza stampa presso l’istituto Rosso per problemi biomedici.

L’astronave SN5 conduce con successo il test di volo di 150 metri

Space X ha letteralmente preso il volo…….

A pochi giorni dal rientro dalla I.S.S.  della navicella Crew Dragon 2 dopo essere stata attraccata alla stazione spaziale per due mesi circa, Space X continua a stupire e a macinare risultati nell’ottica di riportare l’uomo a calpestare il suolo di un altro pianeta.

Si perché Elon Musk e il suo Team hanno di fatto riportato due Americani Doug Hurley e Bob Behnken, in un veicolo Americano, lanciato dal un lanciatore americano nello spazio dopo nove anni di digiuno e tante promesse disattese  dell’Agenzia Spaziale Statunitense. Ma le cose non si fermano e in Space X non si dorme sugli allori,poco prima che la commissione della USAF potesse deliberare che proprio Space X e U.L.A. avranno la commessa per la messa in orbita dei suoi satelliti (un affare da diversi miliardi di dollari), si effettuano test su una sezione (che ricorda tanto un silos) dello Starship utilizzando per la struttura acciaio e come propellente per il motore Raptor il metano!!!

Inutile dire che quest’agenzia ma soprattutto quest’uomo stanno rivoluzionando il modo di vedere questa nuova fase dell’esplorazione spaziale con soluzioni impensabili ma vincenti.

Buona lettura

Commentato da: Ciro Sacchetti

L’astronave SN5 conduce con successo il test di volo di 150 metri

scritto da Michael Baylor- il 3 agosto 2020
Fonte: NASA

Il prototipo dell’astronave SN5 ha condotto con successo un volo di prova di 150 metri martedì dal sito di test di SpaceX a Boca Chica in Texas. Il tentativo di lancio di lunedì è stato cancellato dopo che il motore Raptor SN27 si è bloccato all’accensione. Dopo un aborto all’inizio della finestra di martedì, il tentativo in ritardo nella finestra ha visto SN5 prendere il volo e atterrare tutto intero. Il salto è stato il primo volo di una sezione di Starship a grandezza naturale che per forma ricorda quella di un Silo, aprendo la strada a SpaceX per tentare voli ad altitudini più elevate con prototipi di Starship.

La finestra di lancio per l’Hop di lunedì è durata dalle 8:00 alle 20:00 Central (13:00 – 01:00 UTC). Tuttavia, i piani di Space X miravano al decollo durante l’ultima parte della finestra.

I programmi dei test sono estremamente fluidi, con lo stesso Elon Musk che scandisce il conto alla rovescia a circa 30 minuti dalla fine. Questo è stato seguito dalla sirena della polizia T-10 minuti prima del conto alla rovescia per l’accensione. Tuttavia, il Lift-off è stato interrotto, probabilmente a T-0, a causa di un problema con il Raptor.

La finestra di martedì si è aperta alle 8 del mattino ora locale. Il primo tentativo è stato interrotto con pochi minuti rimanenti prima che gli sforzi di riciclaggio del propellente iniziassero per tentare un tentativo nel corso della giornata.

Quel secondo tentativo della giornata si è rivelato quello in cui SN5 ha preso il volo

Come al solito, il primo segnale che le squadre stavano lavorando per un tentativo di salto è stato quando la strada per il sito di lancio è stata chiusa al pubblico. Ciò si verifica sempre con largo anticipo rispetto al volo di prova.

Il pad viene quindi ripulito da tutto il personale di SpaceX almeno un’ora o due prima del lancio. Infine, una sirena suona dieci minuti prima del decollo. La sirena avverte i residenti del vicino villaggio di Boca Chica che le attività di volo spaziale sono imminenti

I fan sono rimasti aggiornati sullo stato del volo, con aggiornamenti pubblicati sull’account Twitter @NASASpaceflight . Il canale YouTube NASASpaceflight ha anche trasmesso il volo di prova in diretta da Boca Chica, in Texas

Per il tentativo riuscito, SpaceX ha spinto il conto alla rovescia, con la sirena della polizia che suona ancora una volta. Quindi, al T-0, Raptor SN27 si è acceso e, come previsto, l’astronave stellare è stata sollevata dal pad con una rotazione a causa del posizionamento del motore decentrato

Salendo in aria, Starship quindi, sotto il controllo dei suoi propulsori Reaction Control System (RCS), ruotò leggermente e iniziò la sua discesa verso la piattaforma di atterraggio.

Quando il fumo si è diradato, si è visto che SN5 era ancora in piedi, consentendo agli “SpaceXer” che stavano guardando il test di scoppiare in applausi.

SpaceX non aveva effettuato un volo dalla loro struttura di Boca Chica da quando Starhopper – un veicolo di prova di Starship su scala ridotta – è letteralmente saltato a 150 metri nell’agosto 2019 .

L’astronave SN5 presenta una sezione di spinta con serbatoi di ossigeno liquido e metano impilati sulla parte superiore. Un cono di prua e superfici aerodinamiche sono gli unici componenti significativi mancanti tra SN5 e un veicolo Starship a grandezza naturale.

Sebbene SpaceX non abbia rilasciato l’altezza ufficiale di SN5, si stima che sia comparabile ad un campo da baseball di 30 metri circa.

Per eseguire il salto di 150 metri, SN5 ha utilizzato Raptor SN27 . Mentre la sezione di spinta di SN5 è stata costruita per supportare fino a tre motori Raptor in una configurazione a triangolo, per il primo volo è stato installato solo un motore alimentato a metano. Ciò significa che la spinta durante il salto era asimmetrica. La spinta asimmetrica ha fatto sì che l’astronave SN5 scivolasse via mentre lasciava il pad.

I propulsori di controllo dell’atteggiamento hanno anche aiutato a controllare il veicolo nel corso del salto.

I carichi di propellente erano bassi per il volo, riducendo il rischio per le infrastrutture circostanti in caso di anomalia.

Inoltre è stato aggiunto un simulatore di massa sulla parte superiore del veicolo. È probabile che la sua presenza compensi la mancanza di massa propellente. Il simulatore di massa è stato creato saldando insieme due rotoli di acciaio inossidabile. I rulli sono dello stesso tipo utilizzato per costruire i prototipi di Starship.

Il profilo del salto di 150 metri della Starship SN5 era molto simile a quello di Starhopper. L’SN5 è decollato dalla sua postazione di lancio e si è fatto strada fino a 150 metri. Il veicolo iniziò quindi a traslare su una vicina piattaforma di atterraggio.

Sei gambe di atterraggio, situate all’interno della sezione di spinta di SN5 e ripiegate durante il lancio, schierate prima dell’atterraggio.

Il processo di sviluppo di SpaceX si basa fortemente su una rapida iterazione, che avrebbe consentito un fallimento del test. L’azienda preferisce eseguire test come il salto di SN5 il prima possibile. I test forniscono dati preziosi per informare i progetti futuri.

Se il salto di SN5 non fosse andato secondo i piani, l’astronave SN6 era già in attesa e avrebbe potuto potenzialmente essere pronta come sostituto di SN5 in breve tempo.

Alla fine, il salto di 150 metri è andato secondo i piani per SN5, come è successo con Starhopper. Le battute d’arresto con i precedenti prototipi di Starship avevano ritardato il salto di 150 metri di diversi mesi.

Le astronavi Mk1, SN1 e SN3 non hanno superato tutti i test di prova criogenici, in cui i serbatoi sono pressurizzati con azoto liquido per garantire l’integrità strutturale. I test di SN2 hanno avuto successo, ma si trattava di un prototipo su scala ridotta non destinato al volo.

SN4 è diventato il primo veicolo su vasta scala a superare un test di prova criogenico ed eseguire accensioni statiche. Tuttavia, la sua quinta accensione statica ha provocato un’esplosione poco dopo l’arresto del motore.

L’anomalia di SN4 è stata causata da un problema con i condotti ombelicali a disconnessione rapida. Come parte del test, le disconnessioni rapide – che collegano le linee del propellente al veicolo – sono state staccate come farebbero per un normale decollo. Tuttavia, le valvole non si sono chiuse, perdendo grandi quantità di propellente. Il propellente è stato infine acceso, provocando un’esplosione.

Durante il singolo test antincendio statico di SN5, il sistema di disconnessione rapida è stato nuovamente testato . Questa volta il sistema ha funzionato come previsto

Con il tentativo di volo di SN5 riuscito, SpaceX procederà probabilmente a voli di prova ad altitudini più elevate. Sebbene i dettagli esatti delle prossime pietre miliari dei test non siano stati confermati, ci si aspetta che presentino un design di Starship più completo.

L’astronave SN8, il prototipo attualmente in costruzione, dovrebbe presentare tre motori Raptor, un cono di prua e superfici aerodinamiche. Queste caratteristiche consentirebbero al veicolo di eseguire test di volo ad altitudini molto più elevate. Tuttavia, i piani rispetto ai test di Starship non hanno scadenze precise, quindi fino a quando SpaceX non avrà avuto la possibilità di rivedere i dati dal salto di Starship SN5, le attività di test future rimangono molto in evoluzione.

Link all’articolo:

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Importante Contratto per space-x e ula

Importante contratto per Space X e la concorrente ULA, rispettivamente per 2,5 e 3,5 miliardi $. Sconfitti Grumman e Blue Origin. Novita’ anche per ULA, che nel 2021 abbondonera’ i motori RD-180 russi a favore di innovativi motori a metano e ossigeno.

Le due aziende americane Space-X di Elon Musk e ULA (United Launch Alliance, joint venture di Lockheed Martin e Boeing) hanno ricevuto l’incarico di effettuare decine di lanci militari per la US Air Force nei prossimi 5 anni: dal 2022 al 2026 ULA lancerà il 60% dei lanci previsti mentre SpaceX il restante 40%. Questo e’ un risultato molto importante per le due aziende, in un mercato piuttosto volatile, perche’ gli assicura entrate cospicue su un orizzonte temporale lungo, e gli permette di fare investimenti con relativa tranquillita’. In lizza c’erano anche Northrop Grumman con il lanciatore OmegA e Blue Origin con il New Glenn, che sono state scartate.

Space-X era fra le favorite dall’inizio, avendo lanciatori gia’ certificati per lanci militari ed essendo di gran lunga la piu’ economica (pur non essendo il prezzo uno dei criteri principali). Il fairing (copertura a guscio) nella parte sommitale del razzo verra’ cambiato, siccome i satelliti militari sono progettati per essere situati sul razzo, quando questo e’ gia’ verticale per semplificarne il design. Questa modifica e’ probabilmente inclusa nei costi di sviluppo della prima missione Space-X per USAF: la USSF-67, per cui USAF paghera’ 316 milioni di dollari (che e’ circa il doppio di un lancio normale, anche a perdere). Space-X effettuera’ da 12 a 14 lanci nei prossimi 5 anni.

ULA, invece, come detto, dovra’ liberarsi dalla dipendenza dai famosi motori russi (in realta’ sovietici) RD-180, di cui abbiamo gia’ parlato nelle nostre news. Questo scaturisce da un obbligo deciso dal Congresso americano, di non dover dipendere da altre nazioni per lanci che riguardano la sicurezza nazionale.

Nasce cosi’ il Vulcan, una evoluzione dell’affermato veterano Atlas V, di cui ne condivide il secondo stadio e i booster laterali. Il primo stadio invece e’ innovativo, con due potenti motori BE-4 a metano ed ossigeno liquido: diventera’ quindi il primo lanciatore a metano liquido. Il Vulcan sta bruciando le tappe di sviluppo, e dovrebbe fare il primo lancio a meta’ dell’anno prossimo. I primi due lanci per USAF saranno l’anno successivo, nel 2022 (USSF-51 e USSF-106) per cui l’Air Force paghera’ 337 milioni di dollari a lancio.

Una delle caratteristiche comuni a ULA e Space-X, e non condivisa da altri partecipanti al bando, e’ la possibilita’ di lanciare dalla base di Vanderberg, sulla costa Ovest, verso orbite polari, caratteristica ritenuta fondamentali per satelliti militari (ad esempio per i satelliti spia, che devono scanerizzare il pianeta una fetta alla volta, come tagliare un’anguria a fette sottili).

Blue Origin di Jeff Bezos e’ una delle sconfitte, ma e’ comunque lo sviluppatore dei motori BE-4, e quindi risulta indirettamente coinvolta nella commessa.

Il secondo sconfitto, dal nome importante nella storia delle forniture militari e spaziali americane, e’ Northrop Grumman. La Grumman aveva ad esempio sviluppato il Lunar Module (LM) delle missioni Apollo, e si e’ aggiudicata una parte importante del Lunar Gateway, stazione spaziale lunare in sviluppo da poco. Questa esclusione della Grumman, potrebbe portare alla cancellazione dello sviluppo del proprio razzo OmegA, o perlomeno della variante “heavy”.

Fonte: https://www.astrospace.it/2020/08/08/spacex-e-ula-vincono-contratti-militari-per-miliardi-di-dollari/?fbclid=IwAR3hZpjMODv_PLFdilsGZ83rO8siCiobITPvSDwStDchzCnWE2GzdS4MQv0