L’Incredibile eruzione del vulcano Hunga Tonga

L’eruzione avvenuta lo scorso 15 gennaio è stata una delle più potenti mai immortalate dai satelliti in orbita intorno alla terra

Quella che vedete qui sopra è una foto satellitare di una spettacolare eruzione avvenuta il 15 gennaio scorso in un posto chiamato Hunga Tonga, nell’oceano pacifico al largo della Australia.

L’isola è disabitata e nella foto qui sotto potete vedere come si presentava a febbraio 2019. Quella al centro è la parte sommitale della caldera che talvolta emerge dall’acqua mentre altre volte collassa e torna ad immergersi

L’esplosione di sabato scorso ha provocato uno tsunami ed ha generato un’onda d’urto che ha abbracciato tutto il globo e che è stata vista dallo spazio. Qui sotto è possibile ammirare l’onda d’urto grazie all’immagine ottenuta dal satellite giapponese Himawari 8. Cliccando sull’immagine si può vedere anche l’animazione dell’evento.

L’onda di pressione è stata avvertita anche in Italia come si può vedere dal grafico qui sotto, curato da Salvatore Quattrocchi.

La nuvola di polvere nel giro di qualche ora ha raggiunto le dimensioni di alcune centinaia di chilometri. Per dare un’idea, queste sono le dimensioni della nuvola rispetto all’Europa:

il pennacchio di cenere nella colonna eruttiva ha raggiunto una altezza di 20 chilometri, ma dobbiamo ricordare che l’origine di questa eruzione è stata con tutta probabilità subacquea. Nell’immagine seguente si può vedere l’edificio vulcanico nella sua interezza: la maggior parte è sommersa.

Il vulcano Hunga-Tonga-Hunga-Ha’apai ha eruttato regolarmente negli ultimi decenni. Gli ultimi eventi degni di nota sono stati quelli del 2009 e del 2014/15. Ma queste eruzioni erano piccole, rispetto a quanto avvenuto il 15 gennaio 2022.

Da recenti ricerche come questa sembra che questo vulcano provochi esplosioni così grandi circa una volta ogni mille anni.

Ma per quale motivo l’eruzione è stata così potente? Perchè è avvenuta sottacqua e quando il magma incandescente incontra l’acqua questa diventa vapore e quindi l’evento diventa esplosivo. Il termine tecnico è “Eruzione di tipo Freatico Magmatico” oppure “Surtseyano”, dalla località a sud dell’Islanda.

L’eruzione è iniziata intorno alle 17.10 ora locale. Nelle isole vicine il cielo è subito diventato molto scuro.

Quest’altra foto è delle 18.09 ora locale:

L’eruzione ha provocato anche uno Tsunami, per fortuna senza grosse conseguenze

Come si presenterà l’isola vulcanica adesso? Come potrete immaginare non abbiamo suggestivi scatti fotografici effettuati sul posto, ma il satellite Sentinel-1 ci viene in aiuto. Ecco come si presentava l’isola a dicembre 2021 (piuttosto simile alla foto di febbario 2019)

Ed ecco invece come si presenta adesso. Direi che c’è rimasto ben poco!

Fonte: ingv

La cronologia degli eventi (The Guardian)

La NASA è di nuovo in contatto con la sonda Voyager 2.

Dov’è la notizia? Voyager 1 è anche più lontano! Cosa c’è di tanto eclatante?

La notizia sta nel fatto che riuscire a dialogare via radio con un oggetto che si trova a 18,8 miliardi di chilometri, cioè circa 20 ore luce da noi, rappresenta una impresa. Non tanto per il tempo che ci vuole per capire se il “comando” radio è arrivato bene oppure no, che consiste in quasi due giorni (34 ore complessive) di ansia e di attesa dall’invio del comando alla ricezione della risposta, ma per la quasi nulla potenza del segnale ricevuto che si trova al limite del suo rapporto con il disturbo di fondo.

Vediamo di capire meglio. Le comunicazioni sono fornite dalla sonda tramite l’antenna a parabola di oltre 3,66 metri ad alto guadagno e con un’antenna a basso guadagno per il backup. L’antenna ad alto guadagno supporta la telemetria downlink sia in banda X (da 7 a 12,5 GHz) che in banda S (2 – 4 GHz). Voyager è stata la prima navicella spaziale a utilizzare la banda X come frequenza di collegamento telemetrica primaria. I dati possono essere archiviati per la successiva trasmissione alla Terra tramite l’uso di un registratore digitale a bordo. L’energia a bordo del Voyager non manca. La sonda è partita dalla Terra nel 1977 con 470 watt di energia elettrica a 30 Volt in corrente continua, fornita da tre generatori nucleari a radioisotopi (RTG). Col trascorrere del tempo questi generatori perdono gradualmente efficacia, dovuto appunto al decadimento del plutonio, tanto che si calcola che entro il 2025 entrambe le sonde Voyager non saranno più in grado di funzionare per insufficienza energetica.

Qui sotto lo schema di un Voyager.

Nel 1997, dopo 20 anni di utilizzo, gli RTG fornivano ancora 335 W. Questa energia residua, che potrebbe essere oggi, 2020, ancora di poco inferiore ai 200 W elettrici (poi vi sono in più anche i Watt termici che servono a mantenere a temperatura adeguata di funzionamento le apparecchiature), non sono dedicati solo alla comunicazione. I trasmettitori a microonde delle due Voyager hanno una potenza di circa 25 watt e li trasmettono dall’antenna parabolica di circa tre metri di diametro con un guadagno molto elevato (circa 45 db).

L’antenna di circa 3,66 metri quando era ancora a terra in assemblaggio.

A terra le antenne Deep Space Network o DSN sono molto più grandi (paraboliche da 70 metri di diametro) e il guadagno ancora più elevato. Di conseguenza si riesce a “sentire” i deboli segnali della sonda nonostante i miliardi di km che ci separano.

I segnali ricevuti, comunque, sono estremamente deboli, parliamo dell’ordine degli attowatt, ovvero miliardesimi di miliardesimi di watt!

Nel DSN sono presenti degli amplificatori a basso rumore molto costosi che consentono di portare questi segnali a livelli utilizzabili.

Per darvi una idea, molto più ottimistica, di quanto possa essere l’attenuazione vi propongo questo esercizio mentale: supponiamo che in una notte serena andate in mezzo ad un campo buio ed accendete verso il cielo un faretto di luce da 25W. Una torcia professionale è in grado di fare questo. La visione ottimistica sta nel fatto che la torcia riesce a focalizzare molto meglio la luce piuttosto che una parabola con un fascio portante da 10 GHz che ha un “cono” di emissione con un angolo più aperto.

Ma trascuriamo questo! Ora pensate a cosa può vedere di quella luce un aereo di linea a 10 km: molto poco, ma facendo attenzione si può vedere, forse, anche ad occhio nudo,

Ora spostatevi sulla Luna: la vedreste ancora da 400.000 km? Ad occhio nudo no, ma con un buon telescopio ottico, sapendo dove si trova la torcia, sì la potreste anche vedere!

Bene, ora dovete solo allontanarvi di 19 miliardi di km e di quella luce rimarrebbe quasi ZERO!

Questa è la notizia!

IDSN di Canberra.  Gli ingegneri conducono aggiornamenti e riparazioni critiche all’antenna radio Deep Space Network Station 43, larga 70 metri (230 piedi) a Canberra, in Australia. In questa clip, uno dei coni di alimentazione bianchi dell’antenna (che ospitano parti dei ricevitori dell’antenna) viene spostato da una gru. Crediti: CSIRO.

l Deep Space Network è costituito da strutture di antenne radio distribuite equamente in tutto il mondo a Canberra; Goldstone, California; e Madrid, Spagna. Il posizionamento delle tre strutture assicura che quasi tutti i veicoli spaziali con una linea di vista verso la Terra possano comunicare con almeno una delle strutture in qualsiasi momento. Voyager 2 però è la rara eccezione. Per fare un sorvolo ravvicinato della luna di Nettuno Tritone nel 1989, la sonda ha sorvolato il polo nord del pianeta. 

Quella traiettoria l’ha deviata verso sud rispetto al piano dei pianeti, e da allora si è diretta in quella direzione. Ora a più 18,8 miliardi di chilometri dalla Terra, ma è così lontano a sud che non ha una linea di vista con tutte le antenne radio nell’emisfero settentrionale.

E questa è un’altra notizia!

Ne approfitto per ricordare a coloro che non erano, come me, davanti al televisore durante quelle eccezionali avventure dei due Voyager, che su entrambi, su uno dei lati del telaio (BUS) è stato montato un disco di rame placcato in oro da 12 pollici. Il disco ha registrato su di esso suoni e immagini della Terra progettati per rappresentare la diversità della vita e della cultura del pianeta. Ogni disco è racchiuso in una custodia protettiva in alluminio insieme a una cartuccia e ad un ago. Le istruzioni che spiegano da dove proviene la navicella spaziale e come riprodurre il disco sono incise sul contenitore (giacca). Sono istruzione simboliche.

Elettroliticamente, su un’area di 2 cm sul coperchio c’è anche una fonte ultra-pura di uranio-238 (con una radioattività di circa 0,26 nanocuries e un’emivita di 4,51 miliardi di anni), consentendo agli eventuali alieni che lo troveranno la determinazione del tempo trascorso dal lancio misurando la quantità di elementi radioattivi U238 restanti. Le 115 immagini sul disco sono state codificate in forma analogica. Le selezioni dei suoni (inclusi i saluti in 55 lingue, 35 suoni, naturali e artificiali, e porzioni di 27 brani musicali) sono progettate per la riproduzione a 1000 giri / min.

Vi propongo un articolo che illustra bene questo evento.

Commentato da Luigi borghi

Ecco l’articolo.

Ulteriori link utili:

https://solarsystem.nasa.gov/missions/voyager-2/in-depth/

La NASA pubblica il piano Artemis. La Luna è ancora più vicina!

Jim Bridenstine, amministratore della NASA è contento perché per questo progetto di ritorno sulla Luna ha il sostegno bipartisan del Congresso. Comunque vadano le elezioni USA il progetto andrà perseguito! La Fase 1 del programma Artemis prevede di far atterrare la prima donna e il prossimo uomo sulla superficie della Luna nel 2024.

Il nuovo potente razzo dell’agenzia, lo Space Launch System (SLS) e la navicella spaziale Orion sono quasi pronti al loro primo lancio integrato perché ora il veicolo spaziale è completo!

Lo stadio principale e i quattro motori collegati sono sottoposti a una serie finale di test che culmineranno in un test critico di accensione già questo autunno.

La prima missione, Artemis I, è in programma per il 2021. Volerà attorno alla Luna senza astronauti a bordo e sarà un test del lanciatore SLS e del rientro della Orion

Bisognerà attendere Artemis II che volerà con l’equipaggio nel 2023. In quel volo intorno alla Luna gli astronauti piloteranno manualmente Orion mentre si avvicinano e si allontanano dallo stadio criogenico. Questa dimostrazione valuterà le qualità di manovrabilità di Orion.

Finalmente nel 2024, Artemis III rappresenterà il ritorno dell’umanità sulla superficie della Luna, facendo atterrare i primi astronauti al Polo Sud lunare.

Nella illustrazione artistica (credit NASA) i due astronauti vicini al nuovo modulo lunare.

Non è ancora chiaro se la NASA vorrà utilizzare il Gateway (la stazione spaziale internazionale che orbiterà intorno alla Luna) come supporto vitale e temporaneo per Artemis III.

Il Gateway potrebbe non essere ancora operativo.

Un rendering del Gateway (Credit NASA)

Artemis IV e oltre invece invieranno l’equipaggio a bordo di Orion per attraccare al Gateway, dove due membri dell’equipaggio possono rimanere a bordo dell’astronave in orbita mentre due vanno in superficie. Nel tempo, l’avamposto si evolverà, con nuovi moduli aggiunti da partner internazionali, consentendo ai membri dell’equipaggio di condurre missioni lunari sempre più lunghe.

Si ricomincia, ma stavolta da colonizzatori e non da esploratori!

La colonia lunare è vicina e qui sotto vediamo una illustrazione molto realistica di ciò che potrà essere la colonia entro il 2030 (Credit NASA).

Un rapporto completo e dettagliato del progetto Artemis si trova qui:

https://www.nasa.gov/sites/default/files/atoms/files/artemis_plan-20200921.pdf

Commentato da Luigi Borghi.

Eccovi l’articolo che vi propongo: https://www.nasa.gov/press-release/nasa-publishes-artemis-plan-to-land-first-woman-next-man-on-moon-in-2024/

Altri link utili: www.nasa.gov/artemis

La stella più veloce della Via Lattea

Una stella che si sposta alla velocità di 24.000 chilometri al secondo e orbita vicinissimo al buco nero supermassiccio Sagittarius A*, presente al centro della galassia, ha battuto ogni record.

Commento di Luigi Borghi.

S4714

Chiamata S4714, è stata individuata da un gruppo di astrofisici dell’Università di Colonia, in Germania, che ne hanno descritto le caratteristiche in uno studio pubblicato sulle pagine della rivista di settore The Astrophysical Journal.

Pur procedendo a una velocità pari all’8% di quella della luce, la stella S4714 impiega 12 anni per completare il suo percorso attorno al buco nero. Durante il suo “viaggio” segue un’orbita piuttosto eccentrica, che ha la forma di un’ellisse molto allungata. Quando raggiunge il punto più vicino a Sagittarius A*, arriva a “sfiorarlo” da una distanza di 1,9 miliardi di chilometri. Durante questo avvicinamento, la stella incrementa la sua velocità fino a 24.000 chilometri al secondo, per poi rallentare quando si allontana.

Assieme a lei “corrono” anche altri quattro astri (S4711, S4712, S4713 e S4715), tra i più vicini mai osservati in prossimità del buco nero: battono persino la stella S2, che per anni ha detenuto il primato con una distanza minima di 18 miliardi di chilometri da Sagittarius A* e una velocità pari al 3% di quella della luce.

Una possibile conferma dell’esistenza delle “squeezar” (stelle “strizzate”, in inglese “squeezed”, dalla forza di gravità del buco nero supermassiccio).

La scoperta di queste stelle permette di suppore che il numero di astri presenti nelle vicinanze dei buchi neri sia maggiore di quanto ipotizzato finora. Nel 2003, alcuni scienziati avevano teorizzato l’esistenza delle “squeezar”, delle stelle così vicine a un buco nero da essere strizzate dalla sua forza di marea. Un’eventuale conferma di questa ipotesi potrebbe aiutare la comunità scientifica ad approfondire lo studio delle proprietà dei buchi neri e a testare vari aspetti della teoria della relatività.

Ad ogni  passaggio, le  forze di marea  convertono  una  frazione  dell’energia  orbitale   stretta della stella in  calore. Questo, in primo luogo, fa brillare la stella  più brillantemente di quanto farebbe normalmente e,  in secondo luogo,  contribuisce  al  decadimento orbitale della stella. In altre parole, le “squeezar” sono stelle morte  in orbita.

Commentato da Luigi Borghi

Eccovi le fonti:

https://www.sciencealert.com/the-fastest-star-in-the-galaxy-zooms-as-high-as-8-percent-of-the-speed-of-light

https://www.newscientist.com/article/2251894-the-fastest-star-in-our-galaxy-moves-at-8-per-cent-the-speed-of-light/?utm_source=NSDAY&utm_campaign=3760970948-NSDAY_170820&utm_medium=email&utm_term=0_1254aaab7a-3760970948-374105883

Lo spessore dei ghiacci di Ganimede

Uno studio italiano su Ganimede riporta una stima di 105-130Km di spessore di ghiaccio che si trova sopra l’oceano di acqua liquida sottostante. Sono stati analizzati migliaia di solchi (grooves) in 4 regioni equatoriali di Ganimede: Uruk Sulcus, Babylon Sulci, Phrygia Sulcus e Mysia Sulci. Tutto questo in attesa della missione europea JUICE che partira’ l’anno prossimo verso le lune di Giove.

Rappresentazione ipotetica della struttura interna di Ganimede.
Source: https://scitechdaily.com/jupiters-moon-ganymede-may-oceans-ice-stacked-multiple-layers/

E’ dagli anni ’70 del secolo scorso che gli scienziati sospettano di un oceano sotto la superficie ghiacciata di Ganimede e di altri corpi del Sistema Solare esterno (ad esempio Europa, Callisto, ma anche Titano, Encelado, e forse Plutone, Rhea, Titania, Oberon, Tritone, Sedna, e altri ancora) . Ma e’ con le missioni Voyager e soprattutto con la missione Galileo che arrivano le evidenze per 3 dei 4 satelliti medicei di Giove. Il campo magnetico misurato in prossimita’ di Ganimede (come per Europa e Callisto), non puo’ essere generato con un interno del corpo fatto esclusivamente di ghiaccio solido e roccia. Suggerisce invece la presenza di una gigantesca riserva di acqua liquida conduttiva (quindi possibilmente “salata”). Stiamo parlando di quantita’ di acqua liquida enormi: superiore a quella di tutti gli oceani terrestri messi assieme!

Il punto di fusione dei ghiacci e’ significativamente ridotto dalla presenza di sali e/o metano e ammoniaca, che sono entrambi abbondanti in queste parti del Sistema Solare. Un’analisi pubblicata nel 2014, frutto dei dati della sonda Galileo, suggerisce la presenza di diversi strati alternati di ghiaccio e acqua liquida. Lo strato di acqua inferiore sarebbe in contatto col substrato roccioso, cosa importante per la eventuale presenza di condizioni favorevoli all’insorgere della vita. Ulteriori rilevazioni fatte con il telescopio spaziale Hubble (HST) su come si muovono le aurore (frutto del campo magnetico) hanno confermato la presenza di oceani nell’interno di Ganimede, che potrebbero essere i piu’ vasti, in volume, dell’intero Sistema Solare. E ci sono congetture sulla potenziale abitabilita’ di tali oceani da parte della vita.

Proiezioni ortografiche di Ganimede. Le faglie sono in arancione.
Fonte: A. Lucchetti et al., Planetary and Space Science, 2020

Ora, la novita’ e’ un articolo pubblicato pochissimi giorni fa, il 4 Gennaio 2021 su planetary and Space Science, che riporta i risultati di una ricerca svolta dal team guidato da Alice Lucchetti, dell’INAF di Padova. Hanno analizzato migliaia di fratture nei ghiacci di Ganimede (letteralmente “into the groove”, come diceva Madonna) in 4 regioni predefinite del satellite di Giove, e hanno calcolato uno spessore della crosta del primo strato di ghiaccio, che va da 105Km a 130Km. Sotto ci sarebbe uno strato composto da acqua liquida, poi forse altri strati alternati di neve di ghiaccio III, acqua, ghiaccio V, acqua, ghiaccio VI, acqua, roccia e infine il nucleo di ferro e nickel, che spiegherebbe il campo magnetico.

Da analisi precedenti si e’ ipotizzata l’interfaccia piu’ profonda acqua-roccia a circa 800Km di profondita’.

Il ghiaccio del primo strato (quello di 105-130Km) e’ ghiaccio di Tipo I. ovvero quello che usiamo per i cocktails e che copre Artide e Antartide sulla Terra, a pressione atmosferica (100kPa). E’ il meno denso di tutti, ed e’, com’e’ noto, piu’ leggero dell’acqua. Ma alle tremende pressioni che ci sono nelle profondita’ di Ganimede, le strutture cristalline del ghiaccio si fanno piu’ compatte, diventando piu’ pesanti dell’acqua, fino ad arrivare al ghiaccio VI che si forma attorno a 1GPa di pressione. (Sono possibili, non su Ganimede, anche forme di ghiaccio ancora piu’ compatto: fino a ghiaccio XI a 1TPa di pressione)

Sulla superficie di Ganimede sono state contate 14707 fratture (grroves), e il team INAF ne ha analizzate 1068 nella regione Uruk Sulcus, 882 in Babylon Sulci, 678 in Phrygia Sulcus, e 987 in Mysia Sulci.

Le fratture piu’ corte (inferiori ai 200Km) dovrebbero essere quelle solo superficiali, mentre qulle piu’ lunghe dovrebbero essere quelle che arrivano fino all’acqua sottostante.

Sono state usate tecniche di analisi statistica sviluppate e validate sul nostro pianeta, per ottenere la massima profondita’ alla quale le fratture si propagano. Oltre alla stima dello spessore del ghiaccio, e’ stato anche trovato che le fratture che spaccano il primo strato di ghiaccio in profondita’ sono quelle che si trovano fra le zone scure e quelle chiare di Ganimede. La stratificazione di Ganimede provoca anche fenomeni strani, come le nevicate verso l’alto, neve che potrebbe fondere prima di raggiungere lo strato di ghiaccio sovrastante, lasciando uno strato intermedio di neve flottante semi-sciolta. Questa struttura a strati di un sandwich mi ricorda i shell-worlds del romanzo di fantascienza “Matter” di Iain M. Banks (gli stessi romanzi da cui Elon Musk ha preso i nomi della piattaforme dei Falcon 9, come “Of course I still love you”, and “Just read the instructions”).

Rappresentazione della sonda europea JUICE con i pannelli solari aperti.
Fonte: https://sci.esa.int/web/juice

Ma torniamo alla scienza. Questi risultati di INAF sono importanti per la prossima missione europea JUICE (JUpiter ICy moons Explorer), ovvero la prima missione ESA in grande scala, parte del Programma 2015-2025. Verra’ lanciata il prossimo anno, arrivera’ in orbita attorno a Giove nel 2029, e poi spendera’ almeno 3 anni facendo dettagliate osservazioni dei 3 satelliti Ganimede, Callisto, Europa.

La sonda JUICE in assemblaggio a Friedrichshafen in Germania.
Fonte: https://sci.esa.int/web/juice/-/-6-start-of-assembly-and-integration-for-juice

La sonda e’ ad uno stadio avanzato di sviluppo, con l’assemblaggio iniziato a fine 2019 e continuato durante tutto il 2020, nonostante la pandemia, presso Friedrichshafen in Germania. A Ottobre 2020 sono anche arrivati i ben 10 giganteschi pannelli solari. La sonda necessita infatti di una grande superficie di pannelli a causa dell’enorme distanza dal Sole. Le sonde Voyager 1, 2, Pioneer 10, 11 e la New Horizons, ad esempio, non avevano pannelli siccome potevano contare sull’affidabile e duraturo RTG (Radioisotope Thermoelectric Generator) al Plutonio, mentre la sonda americana Juno, tuttora attiva in orbita sempre attorno a Giove, ha anch’essa giganteschi pannelli solari, siccome la singola partita di RTG fabbricati decenni fa si era esaurita (ma niente paura: ora ne sono stati fabbricati altri, ad esempio per le missioni marziane Curiosity e Perseverance, grazie ad altro Plutonio 238 procurato dal US Department of Defense).

Arrivano i primi strumenti da montare sulla sonda.
Fonte: https://sci.esa.int/web/juice/-/-6-start-of-assembly-and-integration-for-juice

Nelle prossime settimane la sonda JUICE verra’ portata al ESTEC (ESA Space Technology & Research Centre) a Noordwijk nei Paesi Bassi, dove verra’ testata e calibrata. In parallelo e’ in corso l’engineering model testing a Tolosa in Francia e comandato dall’ESOC situato a Darmstadt, Germania. Alcuni strumenti sono forniti dalla NASA, come il Ultraviolet Spectrograph (UVS), che e’ appena arrivato in Germania dalla SRI di San Antonio, Texas. Un vero e proprio international effort!

Davide Borghi

Bibliografia:

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0032063320303536

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0019103506002016

https://sci.esa.int/web/juice

L’accesso allo spazio costa sempre meno

Il sistema di lancio in orbita di Virgin Orbit durante un precedente test (sub orbitale) Credits: Virgin Orbit.

Un parametro, quello dei costi, sta scendendo velocemente.

Merito della concorrenza, delle nuove tecnologie e diciamolo pure anche di SpaceX che ha inaugurato il recupero del primo stadio di un lancio orbitale.

La precisazione è necessaria perché in effetti il primo a tentare con successo questa procedura fu Jeff Bazos della Blue Origin che però lo aveva applicato a voli suborbitali.
Un po’ più facile …

Ora ci prova la Virgin che porta avanti la su tecnica, applicata ai voli commerciali suborbitali ma che ora tenta il salto con i piccoli satelliti in orbita bassa.

Ma non è finita! Vi sono altre aziende americane in coda per questo tipo di approccio.

Ne vederemo delle belle.

In questo primo piano si vede con precisione il meccanismo di aggancio del razzo Launcher One. Credits: Virgin Orbit

Commento di Luigi Borghi

Eccovi il link all’articolo:

https://www.astrospace.it/2020/05/25/virgin-orbit-per-la-prima-volta-in-orbita-con-un-sistema-tutto-nuovo/amp/

La sonda InSight della NASA è di nuovo protagonista!

InSight

Dopo altre attività di monitoraggio, la pala meccanica torna sulla sonda termica HP3 e finalmente la seppellisce con uno strato di materiale superficiale.

Seguo da tempo questo lander marziano a cui sono state delegate parecchie attività e che ha subito molte disavventure, in particolare proprio sulla sonda HP(“Heat Flow and Physical Properties Package”), destinata a misurare temperatura e flusso di calore nel suolo di Elysium planitia.

L’obiettivo della missione è quello di investigare sulla struttura interna di Marte allo scopo di ricavare degli indizi sulle fasi più remote della formazione dei pianeti terrestri nella più ampia formazione del sistema solare.

Il suo sensibilissimo sismometro SEIS sta già lavorando egregiamente.

Le disavventure e gli imprevisti sono stati tanti ma è impressionante quanto sia capace e flessibile l’operatività di questo robot, attraverso ovviamente le strategie inventate da Terra per superare le avversità. Un diligente instancabile operaio a disposizione (ma immobile) su Marte.

Oggi sembra che la pala robotica sia finalmente tornata ad occuparsi della sonda termica e speriamo che riesca a concludere l’operazione prima che cambi la stagione.

Ora è quasi interamente al di sotto del livello del terreno ed è ferma lì dal Sol 536 (30 Maggio).

Credit: NASA/JPL-Caltech.

Con l’arrivo a febbraio 2021 di Perseverance, collega di Curiosity e di Opportrunity, la comunità robotica NASA operativa su Marte comincia a diventare importante.

Si sta preparando l’arrivo dell’uomo.

Vi propongo l’articolo di Marco Di Lorenzo su AliveUniverse per approfondire i progressi fatti e ciò che ancora ci aspettiamo da InSight.

Commentato da Luigi Borghi.

Eccolo.

.https://aliveuniverse.today/speciale-missioni/marte/lander/insight/4692-la-sepoltura-della-talpa

L’energia solare dallo spazio alla Terra con le microonde

Rappresentazione artistica di irradiazione di energia solare sotto forma di microonde verso installazioni militari e remote. Credito: US Naval Research Laboratory

L’esperimento sull’X37B del Naval Research Laboratory è sicuramente il precursore di una tecnologica da tempo in studio: cattura dell’energia solare fuori dal l’atmosfera con pannelli fotovoltaici geostazionari al massimo rendimento, conversione in microonde e trasmissione a Terra dove una “rectenna” (cioè una antenna munita di raddrizzatore) la trasforma direttamente in inerzia elettrica a corrente continua.

Rendimento attuale: 90%!

Ovviamente, dato l’origine del finanziamento, è ovvio che i risultati andranno a soddisfare quelle necessità militari di avere energia continua anche in posti dove altre fonti non possono arrivare.

Ma è evidente pure la ricaduta civile di questa tecnologia. Un satellite appositamente attrezzato può trasmettere centinaia di kw di potenza elettrica in un posto o in altro, anche distanti migliaia di km. semplicemente spostando l’orientamento dell’antenna.

La novità di questa notizia sta però nel fatto che è la prima volta che trapelano dettagli sulle missioni di questa navetta spaziale autonoma, questo Space Shuttle in miniatura che però è in grado di andarsene in orbita, lavorare per anni e poi tornare da solo quando ha finito.

Commento di Luigi Borghi.

Eccovi l’articolo tratto da spacenews.

L’esperimento dello “spazioplano” militare fa luce sui satelliti solari spaziali

di Leonard David – 4 luglio 2020

Un esperimento lanciato il 17 maggio a bordo dell’X-37B Orbital Test Vehicle-6 della US Air Force si basa su oltre un decennio di lavoro incentrato su un satellite solare spaziale modulare in grado di irradiare energia sulla Terra.

Sviluppato dal US Naval Research Laboratory (NRL) a Washington, l’hardware è chiamato Modulo fotovoltaico per radiofrequenze o, in breve, PRAM.

La PRAM è uno sviluppo del NRL nello sviluppo di moduli “sandwich” in cui un lato riceve energia solare con un pannello fotovoltaico, l’elettronica nel mezzo converte la corrente diretta in microonde e l’altro lato ha un’antenna per trasmettere l’energia a terra.

Il modulo fotovoltaico per antenna a radiofrequenza (PRAM) è un esperimento a bordo dello spazioplano X-37B dell’esercito americano, mostrato qui nel 2017. Credit: U.S. Air Force

Paul Jaffe dell’NRL, responsabile dell’innovazione Power Beaming e Space Solar Portfolio, ha affermato che la PRAM a bordo dell’X-37B non sta stabilendo un vero e proprio collegamento di potenza. Piuttosto, il modulo da 30 centimetri è dedicato alla valutazione della sua capacità di conversione energetica e delle prestazioni termiche del dispositivo in orbita terrestre. Mentre la PRAM genera energia RF, quell’energia non arriva a un’antenna a causa del potenziale di interferenza con altri carichi utili a bordo dell’X-37B, ha detto a SpaceNews.

Consegna dei dati

“Stiamo testando un componente funzionale che farebbe parte di una classe di satelliti ad energia solare che alla fine invierebbe energia dallo spazio alla Terra”, ha detto Jaffe, il principale investigatore della PRAM. “Prevediamo di pubblicare qualcosa tra diversi mesi una volta recuperati alcuni dati e avremo la possibilità di analizzarli”.

Ci saranno consegne regolari di dati dal veicolo che ospita la PRAM, ha affermato Chris DePuma, ingegnere elettronico NRL e responsabile del programma PRAM. “Il vantaggio della loro piattaforma [X-37B] è che non dobbiamo creare il nostro sistema di comunicazione. Raccolgono i nostri dati in un pacchetto che possiamo analizzare.”

Dati i risultati della PRAM, un passo successivo sarebbe la fabbricazione di un sistema completamente funzionale su un veicolo spaziale dedicato per testare la trasmissione di energia sulla Terra che potrebbe potenzialmente aiutare a alimentare installazioni remote come basi operative dirette e aree di risposta alle catastrofi.

Gettare le basi

In un rapporto di ottobre, “Opportunità e sfide per Space Solar per installazioni remote”, un gruppo di studio NRL ha esplorato il concetto di fornire energia a installazioni militari e remote tramite energia solare. Lo studio ha stabilito che permangono significative sfide tecnologiche, economiche, legali, politiche, operative, organizzative e programmatiche irrisolte inerenti allo sviluppo di una capacità solare spaziale dispiegabile.

Tuttavia, a causa della potenziale natura rivoluzionaria dell’energia solare spaziale per le applicazioni terrestri, il team di studio ha raccomandato investimenti in diverse aree critiche, la principale delle quali era la tecnologia del fascio di energia.

L’hardware PRAM è il primo esperimento orbitale progettato per convertire la luce solare per la trasmissione di energia a microonde per i satelliti ad energia solare. Credito: US Naval Research Laboratory
Jaffe ha affermato che permangono questioni aperte con la tecnologia del power beaming e il suo livello di maturità, da cui l’esperimento X-37B. La PRAM è vista come il primo esperimento orbitale progettato per convertire la luce solare per la trasmissione di energia a microonde per i satelliti ad energia solare.

“Puoi certamente fare valere per i satelliti ad energia solare in molte circostanze in cui sarebbe preferibile un collegamento laser, non un collegamento a microonde”, ha detto Jaffe. “Un’applicazione sta ottenendo energia nelle regioni permanentemente in ombra della luna”, ha detto, dove ci si aspetta che l’acqua ghiacciata possa essere trasformata in quantità potabile per sostenere gli equipaggi, oltre a spezzare quella risorsa in componenti del combustibile per missili.

DePuma dell’NRL ha affermato che l’obiettivo principale dell’esperimento PRAM sull’X-37B è gettare le basi per dimostrare che il concetto funziona e non mancano problemi importanti.

“Il motivo dietro l’architettura del modulo sandwich è di modulare il sistema satellitare spaziale solare. È possibile inviare alcuni componenti alla volta e assemblarli in orbita. Si costruisce una struttura molto grande con più piccoli lanci”, ha detto DePuma. “È un buon modo per avvicinarsi ai sistemi più grandi.

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Notizie da Marte

In questi giorni su molti media si parla della scoperta della vita su Marte. Credo utile divulgare un chiarimento in merito al fine di evitare false interpretazioni. Avevo pensato di preparare un articolo specifico poi ho trovato invece su Coelum una sintesi molto chiara che quindi vi ripropongo in questo link.

Buona lettura.

Commentato da Luigi Borghi.

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https://youtu.be/AB7sSG2Rl9k http://www.newsspazio.it/2021/11/programma-nasa-artemis-rimandata-di-1.html#more

Ormai ci siamo, venerdì 30 luglio anche la Boeing attraccherà alla ISS.

Il programma Commercial Crew della NASA, voluto da Obama all’inizio del suo primo mandato, sta raggiungendo il suo obiettivo di un trasporto sicuro, affidabile ed economico da e per la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) dal territorio USA e con mezzi americani attraverso una partnership con l’industria privata americana. C’è voluto tempo, rinvii e problemi ma ora ci siamo.

Questa partnership sta cambiando la storia del volo spaziale umano aprendo l’accesso all’orbita terrestre bassa e alla Stazione Spaziale Internazionale a più persone, più scienza e più opportunità commerciali. La ISS, insieme all’imminente Gateway rimangono e saranno il trampolino di lancio per il prossimo grande salto della NASA (e non solo) nell’esplorazione dello spazio, comprese le future missioni sulla Luna e, infine, su Marte.

Vi propongo un approfondimento di questa missione che ho rilevato da Space Daily.

La NASA e Boeing stanno compiendo un altro importante passo avanti verso i lanci regolari di voli spaziali umani verso la Stazione Spaziale Internazionale su razzi, veicoli e territorio americani con l’imminente secondo test di volo senza equipaggio del Boeing CST-100 Starliner (in figura montato sul razzo AtlasV) come parte del programma commerciale dell’agenzia dell’equipaggio.

Il Boeing Orbital Flight Test-2 (OFT-2) della NASA punta al lancio della navicella spaziale Starliner su un razzo Atlas V della United Launch Alliance alle 14:53 EDT di venerdì 30 luglio, dallo Space Launch Complex-41 sulla stazione della forza spaziale di Cape Canaveral in Florida

Starliner dovrebbe arrivare alla stazione spaziale per l’attracco circa 24 ore dopo con oltre 400 libbre di carico della NASA e rifornimenti per l’equipaggio.

La missione metterà alla prova le capacità end-to-end di Starliner dal lancio all’attracco, al rientro atmosferico e all’atterraggio nel deserto negli Stati Uniti occidentali. OFT-2 fornirà dati preziosi che aiuteranno la NASA a certificare il sistema di trasporto dell’equipaggio di Boeing per trasportare gli astronauti da e verso la stazione spaziale.

Sebbene nessun equipaggio sarà a bordo del veicolo spaziale per OFT-2, il posto del comandante dello Starliner sarà occupato da Rosie the Rocketeer, il dispositivo di test antropometrico del Boeing. (nell’immagine sotto).

Durante OFT-1, Rosie è stata dotata di 15 sensori per raccogliere dati su ciò che gli astronauti sperimenteranno durante i voli su Starliner. 

Per OFT-2, le porte di acquisizione dati dei veicoli spaziali precedentemente collegate ai 15 sensori di Rosie verranno utilizzate per raccogliere dati dai sensori posizionati lungo il pallet del sedile, che è l’infrastruttura che mantiene tutti i sedili dell’equipaggio in posizione.

Durante l’avvicinamento di Starliner alla stazione spaziale, la NASA e Boeing verificheranno i collegamenti dati e le capacità di comando da parte dell’equipaggio della stazione, inclusa una sospensione comandata durante l’avvicinamento da parte dell’astronauta della Japan Aerospace Exploration Agency e del comandante della stazione Aki Hoshide. 

Starliner testerà anche una capacità di ritirata automatizzata durante l’avvicinamento nel caso in cui si verificasse un problema sull’asse di attracco.

Starliner testerà anche il suo sistema di navigazione basato sulla visione per attraccare autonomamente alla stazione spaziale. L’attracco è previsto per le 15:06 di sabato 31 luglio o circa 24 ore dopo il lancio.

Dopo un attracco riuscito, Starliner trascorrerà dai cinque ai dieci giorni a bordo del laboratorio orbitante prima di tornare sulla Terra negli Stati Uniti occidentali (vedi immagine sotto). 

Il veicolo spaziale tornerà con più di 550 libbre di carico, compresi i serbatoi riutilizzabili del sistema di ricarica dell’azoto (NORS) che forniscono aria respirabile ai membri dell’equipaggio della stazione.

OFT-2 è il secondo volo orbitale per il CST-100 Starliner e il primo per il secondo modulo equipaggio della flotta Starliner. Boeing sta effettuando questo secondo test orbitale per dimostrare che il sistema Starliner soddisfa i requisiti della NASA, incluso l’attracco alla stazione spaziale.

OFT-2 si baserà sugli obiettivi della missione raggiunti durante il test di volo di Starliner, inclusa la verifica:

  • Funzionamento in orbita dell’avionica, del sistema di attracco, dei sistemi di comunicazione e telemetria, dei sistemi di controllo ambientale, dei pannelli solari e dei sistemi di alimentazione elettrica e dei sistemi di propulsione;
  • Prestazioni dei sistemi di guida, navigazione e controllo dello Starliner e dell’Atlas V in salita, in orbita e in entrata;
  • Livelli acustici e di vibrazione e carichi attraverso l’esterno e l’interno dello Starliner
  • Avvia monitoraggio trigger di fuga
  • Prestazioni delle operazioni di missione end-to-end del sistema Starliner

La missione OFT-2 testerà anche le modifiche e i miglioramenti apportati a Starliner e dimostrerà che il sistema è pronto per far volare gli astronauti.

In preparazione per OFT-2, la NASA e Boeing hanno completato tutte le azioni raccomandate dal team di revisione indipendente NASA-Boeing, formato a seguito del primo volo di prova di Starliner nel dicembre 2019. Le raccomandazioni del team di revisione includevano elementi relativi ai test integrati e simulazione, processi e operazioni, software, sistema di comunicazione del modulo equipaggio e organizzazione. Boeing ha implementato tutte le raccomandazioni, comprese quelle non obbligatorie, prima del prossimo volo di Starliner.

Dopo che questa missione senza equipaggio di Starliner raggiungerà tutti gli obiettivi necessari, la NASA e Boeing cercheranno opportunità verso la fine di quest’anno per far volare la prima missione con equipaggio di Starliner alla stazione spaziale, il Crew Flight Test (CFT), con gli astronauti della NASA Barry “Butch “Wilmore, Nicole Mann e Mike Fincke a bordo.

Commentato da Luigi Borghi.

Link correlati:

https://www.spacedaily.com/reports/What_you_need_to_know_about_Starliners_Test_2_999.html

Circolo di Osservazione Scientifico-tecnologica di Modena. Missione: divulgare scienza a tutti