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Fotografato un sistema multiplanetario attorno ad una stella di tipo solare a 300 anni luce dalla Terra

TYC 8998-760

Ci stiamo muovendo velocemente verso la visione diretta dei pianeti extrasolari? Si. È vero! I moderni telescopi ottici di grandi dimensioni aiutano ed aiuteranno sempre di più in questa caccia. Anche i telescopi spaziali, con l’aiuto di sofisticati coronografi, sono e saranno in grado di regalarci informazioni ed immagini sempre più dettagliate.

Senza voler fare l’avvocato del diavolo però devo dire che non è da oggi che abbiamo questa capacità. Nell’immagine sottostante abbiamo la fotografia di un sistema planetario della stella HR 8799, distante 129 anni luce da noi, che dal 2009 a 2015 è stata oggetto di attente osservazioni che hanno poi portato alla individuazione di enormi pianeti orbitanti.

HR 8799 ospita quattro pianeti tipo “super-Giove” in orbita con periodi che vanno da decenni a secoli. L’interpolato di questa immagine è stato realizzato interpolando 7 immagini di HR 8799  nella costellazione di Pegaso, situata ad una distanza di 129 anni luce, prese dal telescopio Keck in 7 anni (2009-:-2015).

Maggiori informazioni su http://www.manyworlds.space/index.php/2017/01/24/a-four-planet-system-in-orbit-directly-imaged-and-remarkable/ Crediti: Creazione video e interpolazione di movimento: Jason Wang Analisi dei dati: Christian Marois Determinazione dell’orbita: Quinn Konopacky Acquisizione dei dati: Bruce Macintosh, Travis Barman, Ben Zuckerman

Anche i pianeti dell’articolo che vi propongo oggi che orbitano attorno alla TYC 8998-760-sono enormi.

TYC 8998-760-1b è circa 14 volte più massiccio di Giove e orbite a una distanza media di 160 unità astronomiche (AU), impiegando secoli. Possiamo dire una stella mancata perché la enorme forza di gravità di questa enorme massa produrrà sicuramente enormi temperature all’interno del pianeta, senza riuscire comunque ad innescare la fusione.

Insomma, per “vederli bene” dobbiamo aspettare la nuova generazione di telescopi a Terra (in vetta al Cerro Armazones, in Cile a 3000 metri, sta sorgendo l’European Extremely Large Telescope. Con uno specchio primario di 39 metri. Vedrà la prima luce nel 2025) e nello spazio (JWST della NASA. Verrà collocato in L2 Terra-Sole a circa 1,5 milioni di km dalla Terra, e sarà in grado di vedere nell’infrarosso. Operativo entro il 2022).

Ricordati sempre che vederli sarà presto possibile, andarci invece… scordiamocelo!

Commentato da Luigi Borghi.

Eccovi la traduzione dell’articolo.

Fotografato per la prima volta in assoluto un sistema multiplanetario attorno ad una stella di tipo solare a 300 anni luce dalla Terra.

I due pianeti appena ripresi sono enormi: 14 e 6 volte più massicci di Giove.

Il Very Large Telescope (VLT) dell’Osservatorio europeo meridionale in Cile, secondo un nuovo studio, ha fotografato due pianeti giganti che circondano TYC 8998-760-1, una stella molto giovane, analoga al nostro sole, che si trova a circa 300 anni luce dalla Terra,

“Questa scoperta è un’istantanea di un ambiente che è molto simile al nostro sistema solare , ma in una fase molto precedente della sua evoluzione”, ha detto in una nota l’ autore principale dello studio Alexander Bohn, uno studente di dottorato all’Università di Leida nei Paesi Bassi. 

I due pianeti giganti nel sistema TYC 8998-760-1 sono visibili come due punti luminosi al centro (TYC 8998-760-1b) e in basso a destra (TYC 8998-760-1c) dell’immagine, indicati dalle frecce. 

Sono visibili nell’immagine altri punti luminosi, che sono stelle di sfondo. 

Prendendo immagini diverse in momenti diversi, il team è stato in grado di distinguere i pianeti dalle stelle di sfondo. L’immagine è stata catturata bloccando la luce dalla giovane stella simile al sole (in alto a sinistra al centro) usando un coronagraph, che consente di rilevare i pianeti più deboli. Il luminoso e il buio visti sull’immagine della stella sono artefatti ottici.  (Credito immagine: ESO / Bohn et al.)

Prima di questo storico ritratto cosmico, solo due sistemi multiplanetari erano mai stati fotografati direttamente e nessuno dei due presentava una stella simile al sole, hanno detto i membri del team di studio. E scattare una foto anche di un solo esopianeta rimane un risultato raro.

“Anche se gli astronomi hanno rilevato indirettamente migliaia di pianeti nella nostra galassia, solo una piccola parte di questi esopianeti è stata fotografata direttamente”, ha affermato il co-autore Matthew Kenworthy, professore associato all’Università di Leida, nella stessa dichiarazione.

Bohn, Kenworthy e i loro colleghi hanno studiato la stella 17enne TYC 8998-760-1 di 17 milioni di anni con lo strumento di ricerca esopianeta ad alto contrasto Spectro-Polarimetrico del VLT, o SPHERE in breve. SPHERE utilizza un dispositivo chiamato coronagraph per bloccare la luce accecante di una stella, consentendo agli astronomi di vedere e studiare in orbita i pianeti che altrimenti andrebbero persi nel bagliore.

Le immagini SPHERE appena riportate hanno rivelato due pianeti nel sistema, TYC 8998-760-1b e TYC 8998-760-1c. Gli astronomi conoscevano già TYC 8998-760-1b – un team guidato da Bohn ha annunciato la sua scoperta alla fine dello scorso anno – ma TYC 8998-760-1c è un mondo ritrovato.

I due pianeti sono enormi e distanti. TYC 8998-760-1b è circa 14 volte più massiccio di Giove e orbite a una distanza media di 160 unità astronomiche (AU), e TYC 8998-760-1c è sei volte più pesante di Giove e si trova a circa 320 UA dalla stella ospite . (Una UA è la distanza media Terra-sole – circa 150 milioni di chilometri. Per fare un confronto: Giove e Saturno orbitano attorno al nostro sole a soli 5 UA e 10 UA, rispettivamente.)

Non è chiaro se i due mondi in TYC 8998-760-1 si siano formati nelle loro posizioni attuali o siano stati spinti fuori in qualche modo. I membri del team di studio hanno detto che ulteriori osservazioni, comprese quelle fatte da enormi osservatori futuri come l’Extremely Large Telescope (ELT) europeo, potrebbero aiutare a risolvere questo mistero.

Altre domande rimangono sul sistema TYC 8998-760-1. Ad esempio, i due giganti gassosi hanno compagnia? Diversi pianeti rocciosi potrebbero circolare relativamente vicino alla stella, come fanno nel nostro sistema solare? 

“La possibilità che strumenti futuri, come quelli disponibili sull’ELT, saranno in grado di rilevare anche pianeti di massa inferiore attorno a questa stella segna un’importante pietra miliare nella comprensione dei sistemi multiplanetario, con potenziali implicazioni per la storia del nostro sistema solare”, Disse Bohn.

Il nuovo studio è stato pubblicato online il 22 luglio 2020, in The Astrophysical Journal Letters.

Mike Wall è l’autore di “Out There” (Grand Central Publishing, 2018; illustrato da Karl Tate), un libro sulla ricerca della vita aliena. Seguilo su Twitter @michaeldwall. Seguici su Twitter @Spacedotcom o Facebook. 

Commentato da Luigi Borghi.

Ecco il link:

https://www.space.com/multiplanet-system-sun-like-star-first-photo.html

Finalmente Insight è riuscito ad introdurre la sua sonda nel suolo marziano.

Chi di voi ha seguito l’avventura di questo lander della NASA sa bene quanto il mondo scientifica aspettasse questa notizia! Buona parte degli obiettivi di questo lander erano e sono legati a questo probe che non ne voleva sapere di perforare il suolo.
È incredibile la flessibilità operativa di questi robot. Con il simulatore a terra si riescono ad effettuare innumerevoli tentativi prima di trovare la strategia giusta, ma non bisogno scordarsi che sono due oggetti diversi in due ambienti completamente diversi! Alla NASA ci sono dei tecnici che guardano, ragionano ed eseguono, su Marte non c’è nessuno!
L’articolo che vi propongo, preso da Alive Universe, l’ho trovato interessante perché fa capire come a volte anche con tecnologie all’avanguardia come l’hardware di Insight, le dinamiche e gli strumenti per piantare un palo o una sonda in terra o nel suolo marziano sono le stesse: il martello!
Eccovi l’articolo.

Commento di Luigi Borghi.

Insight: la talpa è finalmente sottoterra!

Le operazioni di ‘back-cap push’ hanno avuto successo e da una settimana la sonda termica, spinta dalla pala meccanica, è praticamente sotto il livello del terreno (aggiornamento del 8 giugno).
Dopo circa 14 mesi di peripezie, quella che sembrava una impresa quasi disperata si sta realizzando e la sonda termica dello strumento HP3 (“Heat Flow and Physical Properties Package”), destinata a misurare temperatura e flusso di calore nel suolo di Elysium planitia, è ora quasi interamente al di sotto del livello del terreno.


Sol 536, IDC (top) e ICC (bottom)
Credit: NASA/JPL-Caltech – Processing: Marco Di Lorenzo

Nell’immagine, l’accostamento mostra gli ultimi progressi registrati nel pomeriggio del Sol 536 (30 Maggio), su un arco temporale di mezz’ora: sia le riprese dalla fotocamera sul braccio robotico IDC (in alto), sia con la ICC grandangolare fissa sotto il deck del lander (in basso). Come si vede sulla destra, adesso la pala meccanica è “a filo” con il terreno circostante e la talpa, invisibile, è presumibilmente del tutto seppellita.

Come ha raccontato 4 giorni fa Tilman Spohn (Principal Investigator per HP3) nel suo blog, dopo la nuova “emersione” di Febbraio, in cui la talpa era risalita di ben 5 cm per effetto del riempimento di materiale della cavità in cui era precedentemente penetrata, si è abbandonata la tecnica del ‘pinning’ (pressione laterale) a favore di una strategia di ‘back-cap push’ ovvero di pressione sulla sommità della sonda.
Per prima cosa, la pala viene calata sulla talpa fino a toccarla e poi viene ulteriormente abbassata e messa in tensione, in modo da provocare una forza iniziale di 50 Newton (il peso di circa 5 kg sulla Terra) su di essa. Durante la fase successiva di martellamento, la talpa affonda di 15 mm mentre la forza esercitata dalla pala, che segue comunque l’abbassamento, si riduce progressivamente a zero per poi ricominciare dall’inizio.

Questa complessa strategia, ovviamente, non è improvvisata ma è il frutto di lunghe simulazioni svolte prima a Terra, con una copia dell’hardware interessato. A causa della portata limitata del braccio meccanico e dell’orientamento obliquo della talpa, il contatto tra i due si riduce ad un punto; sarebbe bastato un errore di posizionamento di pochissimi millimetri per causare lo scivolamento laterale della pala oppure, peggio ancora, il danneggiamento del cavo piatto che alimenta e trasporta informazioni dalla sonda; peraltro, il cavo è esso stesso uno strumento perché contiene svariati sensori di temperatura per tutta la sua lunghezza. Come se non bastasse, con l’abbassarsi della talpa, a causa dell’inclinazione di quest’ultima la pala tende ad avvicinarsi ulteriormente al cavo, per cui è necessario calcolare un margine di manovra.

Dati i margini così ristretti, il team ha prudentemente limitato le sessioni iniziali di martellamento a soli 25 colpi per volta; tale cifra è salita poi a 150 colpi nelle ultime sessioni, quando il team aveva ormai acquisito una certa confidenza sul processo e sulla capacità di riposizionare con precisione la pala sulla sonda. Quello che si può affermare fin da ora, è che la talpa non è stata ostacolata nel suo affondare da uno strato roccioso sepolto, come si era temuto inizialmente.

A detta di Sophn, la pala potrebbe ancora essere leggermente al di sopra del livello del terreno (anche se le immagini suggeriscono il contrario) e la sommità della talpa potrebbe sporgere ancora di 1 cm su lato più in alto; in effetti, nel Sol 543 (6 giugno) la pala è stata leggermente sollevata e poi riposizionata sulla talpa; in seguito, è stata effettuata una ultima sessione di “hammering” che ha portato il fondo della pala a diretto contatto con il terreno; adesso la talpa dovrebbe avere raggiunto lo strato più duro e profondo di regolite [in rosso la parte aggiornata la mattina del 8 giugno]
A quel punto, la pala verrà sollevata e verrà condotto un “free-Mole test” per studiarne il comportamento senza alcun aiuto. I calcoli fatti già nei mesi scorsi suggeriscono infatti che, una volta che la talpa è completamente sotto il livello del terreno, dovrebbe affondare spontaneamente senza aiuti ma per effetto della peso del terreno e della accresciuta pressione e frizione sulle sue pareti.

Se questo non dovesse verificarsi, ci sarebbero due possibili opzioni da seguire per le successive sessioni di martellamento:

  1. ricoprire con uno strato di terreno la sommità della talpa e pressare su di esso con la pala;
  2. continuare a fare pressione direttamente con la pala ma “di taglio”, usando il suo margine anteriore invece della parte piatta.

Nel primo caso, la pressione del braccio meccanico sarà necessaria solo nelle fasi iniziali poiché le simulazioni mostrano che, superati i 20 cm di profondità, il vantaggio che ne deriva diventerebbe trascurabile.

La seconda opzione appare ancora più azzardata di quanto fatto finora in termine di margini e rischi ma il team “Instrument Deployment Arm (IDA)” che gestisce il braccio meccanico si è dichiarato abbastanza confidente in questo senso.

Per concludere, una curiosità dalla stazione meteorologica di Insight: negli ultimi giorni si sono registrati nuovi record superiori di temperatura su Elysium Planitia, -50.4 °C come media giornaliera e +1,55 °C di temperatura massima, nei Sol 541 e 540 rispettivamente; si tratta sempre della conseguenza dell’approssimarsi del perielio marziano, nonostante la stagione autunnale inoltrata. Tuttavia, si sta avvicinando anche la stagione delle tempeste di sabbia e questo potrebbe diventare un serio problema per i prossimi tentativi con la talpa perché l’aumentata opacità atmosferica ridurrebbe la potenza generata dai pannelli solari, inibendo le operazioni con il braccio meccanico che richiedono parecchia energia.

Non ci resta che incrociare le dita e seguire con trepidazione le prossime manovre!

Di: Marco Di Lorenzo 08/06/2020

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