Tutti gli articoli di Mauro Castagnetti

PREPARATIVI PER L’INVIO DEL 22° CARGO SPACEX VERSO LA ISS.

Il lancio della 22° missione SpaceX di rifornimento per la stazione spaziale è previsto non prima del 3 giugno 2021. In quell’occasione, oltre ai rifornimenti logistici per la stazione e il suo equipaggio, saranno inviati materiali per alcuni interessanti esperimenti scientifici.
Eccone un elenco:

Molte delle informazioni le potete trovare nell’articolo originale: spacex-22-research-highlights

Di seguito analizzeremo gli aspetti più interessanti del carico utile che questa missione sta per inviare alla stazione spaziale.

Gli orsi dell'acqua vanno (o meglio tornano) nello spazio

I tardigradi, meglio conosciuti come “water bears” o orsi dell’acqua, sono piccoli organismi viventi che devono il loro nome per la forma e l’habitat naturale che prediligono: l’acqua. Sono creature molto piccole, gli adulti possono variare da meno di 0,1 mm a 1,5 mm. Le specie marine sono incolori o bianco-grigiastre, mentre quelle terrestri o d’acqua dolce possono essere di vari colori, ad esempio arancioni, gialle, verdi o nere. Sono organismi eutelici (hanno un numero di cellule costante durante il corso della vita; gli individui possono accrescersi solo per volume e non per mitosi). Il corpo, approssimativamente cilindrico, è costituito dal capo e da quattro metameri, ciascuno dei quali porta un paio di zampe che in molte specie marine sono parzialmente retrattili con un meccanismo telescopico. Alle estremità delle zampe vi è un numero variabile di unghie o dita, generalmente compreso tra 4 e 8. Raramente le unghie possono ridursi o mancare del tutto. Il corpo è rivestito da una sottile cuticola extracellulare elastica, formata anche da chitina.

I tardigradi sono diffusi in tutto il pianeta terra. Vi sono specie marine, terrestri e adattate alle acque dolci. Sono stati osservati in tutti i continenti, Antartide inclusa, e a tutte le altezze, dalle zone oceaniche abissali ad altezze superiori ai 6000 metri in Himalaya. Possono essere considerati essenzialmente animali acquatici, in quanto anche le specie terrestri vivono all’interno di strati d’acqua che possono avere lo spessore appena sufficiente per ospitarli. Sono comunque in grado di resistere per tempi lunghissimi al disseccamento e congelamento. La maggioranza delle specie si nutre di cellule vegetali. Vi sono però anche forme predatorie, il cui cibo è fornito da Protozoi, Rotiferi, Nematodi e anche da altri tardigradi. Perché questo piccolo animaletto è così interessante? I tardigradi sono in grado di sopravvivere in condizioni che sarebbero letali per quasi tutti gli altri animali, resistendo in particolare a:

  • mancanza d’acqua (possono sopravvivere fino a 100 anni in condizioni di totale disidratazione);
  • temperature alte o bassissime (possono resistere per pochi minuti a 151 °C, per parecchi giorni a −200 °C (~73K) o per pochi minuti a ~1K);
  • alti livelli di radiazione (anche centinaia di volte più alti di quelli che ucciderebbero un essere umano);
  • alte pressioni (anche sei volte maggiori di quelle dei fondali oceanici);
  • mancanza di ossigeno;
  • raggi UV-A e alcuni tipi perfino ai raggi UV-B.

Queste caratteristiche di grande resilienza hanno attirato l’attenzione di molti scienziati, una delle domande che ci si è posti è: può questa creatura sopravvivere anche alle condizioni ostili dello spazio esterno? Lo scopo di questo esperimento è appunto dare una risposta ancora più precisa a questa domanda. Non è la prima volta che, esemplari d questa specie, vengono inviati nello spazio esterno (e non solo, è stato fatto un tentativo di invio anche sulla luna) per verificarne la resilienza, ecco alcuni precedenti:

Esperimento TARDIS: l’autostop dei tardigradi per un passaggio in orbita.

Nel settembre del 2007 circa 3000 tardigradi, come degli autostoppisti spaziali, hanno ottenuto un “passaggio” a bordo della navicella russa Foton-M3, nell’ambito di oltre 40 esperimenti ESA. L’idea di questo esperimento è stata di un gruppo di scienziati Svedesi e Tedeschi, all’esperimento è stato dato il nome di “TARDIS” acronimo di “Tardigrades in space”.

La capsula Foton-M3, nel settembre del 2007 ha trascorso 12 giorni in orbita attorno alla terra.
La capsula Foton-M3, nel settembre del 2007 ha trascorso 12 giorni in orbita attorno alla terra.

Durante questo missione i tardigradi sono stati esposti per almeno 10 giorni allo spazio esterno tramite un apposito contenitore progettato per l’occasione, chiamato Biopan.

Un dettaglio della struttura Biopan agganciata alla capsula Foton-M3 ed utilizzata per “esporre” i tardigradi allo spazio esterno.

Il risultato principale tratto da questo esperimento è che il vuoto dello spazio esterno, dove troviamo condizioni di estrema disidratazione ed alti livelli di radiazione, non costituisce un grosso problema per i tardigradi, al loro rientro a terra alcuni sono risultati morti ma molti altri, una volta reidratati, sono tornati in vita ed alcuni di loro sono anche stati in grado di riprodursi. I tardigradi si uniscono quindi ad un selezionatissimo gruppo di organismi che, nel corso di oltre 10 anni di esperimenti dell’ESA, hanno dimostrato di essere in grado di sopravvivere al vuoto dello spazio, fra questi semi di lattuga, licheni e alcune di specie di spore batteriche (quest’ultime a patto di essere protette dai raggi solari diretti), i tardigradi però sono qualcosa di speciale perché sono organismi multicellulari di tipo animale.

Sorge una domanda importante: perché alcuni organismi viventi sulla terra sembrano essere pronti a sopravvivere nello spazio esterno? Perché codificato nel loro DNA troviamo strategie di sopravvivenza di questo genere? C’è un razionale in tutto ciò? Ancora nessuno può dirlo con certezza. Nasce però spontaneo un collegamento con alcune teorie che sostengono che tutta o parte della vita sulla terra non abbia avuto origine sulla terra stessa, ma possa essere stata trasportata e “iniettata” sulla terra attraverso meteoriti sopravvissuti al rientro in atmosfera, in sostanza potrebbe essere, anche solo in parte, di origine “aliena”. Proprio per analizzare questo aspetto l’ESA ha condotto diversi esperimenti sul comportamento di rocce esposte al rientro in atmosfera (uno di questi esperimenti è stato condotto proprio durante la missione Foton-M3), il risultato è stato che in diversi casi tutto ciò che si trovava fino a 2 cm di profondità veniva irrimediabilmente distrutto per le condizioni estreme di temperatura e pressione. Tuttavia i risultati di questi esperimenti lasciavano aperta la possibilità che, se un organismo si fosse trovato abbastanza in profondità nella roccia, per esempio in crepe o pori, avrebbe potuto sopravvivere anche a questo evento estremo. Insomma su questo tema non è detta l’ultima parola.

Link correlato: Tiny animals survive exposure to space

Missione Israeliana Beresheet: una gita sulla luna (da incubo) per i tardigradi

Il nome Beresheet in ebraico significa “in principio”. Beresheet è stata la prima missione lunare intrapresa da un organizzazione Israeliana e il primo tentativo, di una compagnia privata, di far atterrare un manufatto sul suolo lunare. Il progetto è stato realizzato per partecipare alla competizione “Lunar X Prize”, sponsorizzato da Google, in cui venne messo in palio un cospicuo premio in denaro (30 milioni di dollari statunitensi) alla prima compagnia private che fosse riuscita nell’impresa di far atterrare sulla Luna un robot a guida autonoma (rover). Il robot avrebbe dovuto percorrere almeno 500 metri e trasmettere immagini e video in alta definizione come prova del riuscito allunaggio. La competizione è stata ufficialmente conclusa, senza vincitori, il 23 gennaio 2018.

La missione è riuscita nell’impresa di posizionare il veicolo in orbita lunare, per risparmiare sul carburante e sul peso da inviare in orbita, è stata impostata una particolare traiettoria che, combinata con le forze gravitazionali in gioco del sistema terra luna, le ha consentito di descrivere orbite ellittiche sempre più ampie fino al punto da venire catturato dalla gravità lunare ed entrarne in orbita.

Una volta entrato in orbita lunare, l’11 aprile del 2019, il veicolo ha ricevuto da terra il comando per iniziare la discesa verso la superficie, nel tentativo di realizzare un allunaggio completo. Purtroppo durante la discesa, un giroscopio dell’unità di misurazione inerziale (IMU2) si è guastato durante la procedura di frenata, il controllo a terra non è stato in grado di far fronte al guasto con operazioni correttive a causa della contemporanea perdita di comunicazioni con il lander. Quando le comunicazioni sono state ripristinate, il motore principale del velivolo era rimasto per troppo tempo. Il motore è stato riportato in linea dopo un ripristino a livello di sistema; tuttavia, il lander aveva già perso troppa quota per rallentare sufficientemente la sua discesa, con conseguente schianto sul suolo lunare. Di seguito le foto del sito di atterraggio prima e dopo lo sfortunato evento viste da Lunar Reconnaissance Orbiter:

Il lander portava con se un carico molto particolare:

  • la “lunar library” una raccolta di 30 milioni di pagine di informazioni realizzate tramite migliaia di immagini ad alta risoluzione compresse in pochi centimetri quadrati, il risultato finale ha le dimensioni più o meno di un DVD.
  • Campioni di DNA umano.
  • Centinaia di tardigradi in stato “disidratato”.

Il carico era protetto da un doppio rivestimento di resina e nickel, il calore dell’impatto, secondo i calcoli, non dovrebbe essere stato sufficiente a danneggiare il rivestimento in nickel. In buona sostanza molto probabilmente il carico interno dovrebbe essersi salvato, ci sono quindi buone probabilità che i tardigradi siano ancora lì in stato “dormiente” in attesa che qualche missione futura li recuperi e magari li reidrati testandone ancora una volta la loro straordinaria capacità di adattamento. Vedremo se e quando qualcuno avrà i mezzi e la voglia per farlo.

Link correlati:
A Crashed Israeli Lunar Lander Spilled Tardigrades on the Moon
Mission Beresheet in depth

Torniamo ora al carico della prossima missione SpaceX

Come abbiamo potuto leggere nei due esempi precedenti, non è certo una novità l’invio di tardigradi nello spazio, tuttavia, nel caso del carico inviato dalla prossima missione SpaceX gli esperimenti saranno molto più sofisticati. In preparazione a questa missione i ricercatori a terra hanno sequenziato completamente il genoma della variante di tardigradi inviati in orbita: Hypsibius exemplaris, e sviluppato un metodo per misurare come differenti condizioni ambientali possano influire sull’espressione genica di queste creature, ovvero come i geni vengano attivati, silenziati, oppure ne venga modulata l’intensità di espressione in risposta a pressioni dovute ad ambienti ostili. Altra caratteristica importante di questo esperimento, chiamato Cell Science-04, è che le analisi avverranno nell’arco di più generazioni di tardigradi. I voli spaziali e le lunghe permanenze nello spazio esterno costituiscono uno stress per l’organismo umano molto elevato, i danni correlati possono compromettere seriamente la salute dei singoli astronauti oltre che il successo dell’intera missione. I risultati di questo esperimento sono potenzialmente importantissimi, possono fornire dati molto utili per aiutarci a capire quali siano i fattori che possono influire negativamente, quali strategia adotta il tardigrado per contrastarli e come adattare queste strategie all’organismo umano per salvaguardare gli astronauti di future missioni.

Link correlato:
Using Water Bears to Identify Biological Countermeasures to Stress During Multigenerational Spaceflight

Come reagisce la simbiosi tra calamaro e microbi benefici in condizioni di assenza di peso?

Un parte del carico di SpaceX 22 è costituito dal materiale per l’esperimento UMAMI (Understanding of Microgravity on Animal-Microbe Interactions). Questo esperimento mira ad esaminare gli effetti del volo spaziale sulle interazioni molecolari e chimiche tra i microbi benefici e i loro ospiti animali. Il ruolo della gravità nel plasmare queste interazioni non è ben compreso e la condizione di assenza di peso offre l’opportunità di migliorare tale comprensione. L’indagine utilizza un sistema animale modello, il calamaro Euprymna scolopes , e il suo batterio simbiotico, Vibrio fischeri , per accertare come i microbi colonizzino ed influenzino lo sviluppo degli animali anche in condizioni particolari come in orbita.

Immagine di calamari immaturi (Euprymna scolopes).
Viene mostrata una cassetta per l’elaborazione dei fluidi Techshot che fa parte del set di strutture hardware per voli spaziali dell’Advanced Space Experiment Processor (ADSEP) di Techshot. 
La cassetta è caricata con piccoli sacchetti che costituiscono “l’acquario” in cui i calamari potranno vivere in orbita. 
Un’immagine ravvicinata di una singola borsa dell’acquario che contiene otto larve di calamaro. 
Le sacche sono collegate a pompe che inietteranno i batteri luminescenti durante il volo spaziale.

Come molti organismi pluricellulari, Il corpo umano è un complesso sistema di relazioni e connessioni, che esprime l’intera struttura fisica di un essere umano, composto da diversi tipi di cellule che insieme formano tessuti, a loro volta sono organizzati in sistemi di organi o apparati, ovvero un sistema in cui tutti i vari sottosistemi o apparati sono in interazione reciproca tra loro per produrre la vita, questo dal punto di vista fisico è spesso visto come un sistema molto ma molto complesso.

Il nostro corpo contiene quindi miliardi di cellule. Sommando il numero di cellule di tutti gli organi del corpo di una persona adulta, troviamo all’incirca 30-37 mila miliardi di cellule nell’organismo. In particolare nel tratto gastrointestinale e sulla pelle sono presenti un ugual numero di cellule non umane e di organismi pluricellulari. Non tutte le parti del corpo sono costituite da cellule. Le cellule sono immerse in un materiale extracellulare costituito da proteine come il collagene, circondato dai fluidi extracellulari.

Dei 70 kg di peso di un corpo umano medio, circa 25 kg è composto da cellule non umane o materiale non cellulare come le ossa e il tessuto connettivo.

In sostanza una parte non trascurabile del nostro corpo non è originato dal DNA delle nostre cellule, si tratta di altri organismi che convivono con noi in equilibrio simbiotico. Questi equilibri sono importantissimi per la nostra salute e il nostro sistema immunitario. Capire quindi queste dinamiche a fondo e anche in ambienti “non convenzionali” è importante per affrontarli al meglio in anticipo.

Questo esperimento si prefigge quindi di iniziare a studiare queste dinamiche partendo da modelli animali più semplici e meno complessi del nostro.

Queste scoperte possono aiutarci a preservare le condizioni di salute degli astronauti nello spazio ma potrebbero anche portare a scoperte mediche per migliorare la salute delle persone rimaste a terra.

Link correlato:
Understanding of Microgravity on Animal-Microbe Interactions

Test di utilizzo di un Ecografo portatile in loco

Butterfly IQ Uitrasound è un dispositivo commerciale portatile che consente di effettuare analisi ecografiche locali utilizzando, come dispositivo di visualizzazione, un comune cellulare o tablet. Questo esperimento intende verificare le potenzialità d’uso di un ecografo portatile in combinazione con un dispositivo di elaborazione mobile in condizioni di assenza di peso. L’indagine raccoglierà il feedback dell’equipaggio sulla facilità di gestione e sulla qualità delle immagini ecografiche, inclusa l’acquisizione, la visualizzazione e l’archiviazione delle immagini.

Un medico dimostra l’uso del Butterfly IQ per l’imaging cardiaco.

APPLICAZIONI SPAZIALI

Le tecnologie basate sul mobile computing come Butterfly IQ Ultrasound possono fornire capacità mediche critiche agli equipaggi sui voli spaziali a lungo termine in cui il supporto immediato a terra non è un’opzione.

APPLICAZIONI TERRESTRI

Questa tecnologia ha potenziali applicazioni per l’assistenza medica in contesti remoti e isolati sulla Terra.

Link correlato:
Butterfly IQ Ultrasound

Sviluppare driver di robot migliori

Pilote, un esperimento/indagine dell’ESA (Agenzia spaziale europea) e del Centre National d’Etudes Spatiales (CNES), si propone di verificare l’efficacia del funzionamento remoto di bracci robotici e veicoli spaziali utilizzando la realtà virtuale e interfacce basate sulla percezione aptica o tocco e movimento simulati. I test dell’ergonomia per il controllo di bracci robotici e veicoli spaziali devono essere eseguiti in condizioni di assenza di peso, perché i test progettati a terra utilizzerebbero principi ergonomici che non si adattano alle condizioni sperimentate su un veicolo spaziale in orbita. Pilote confronta le tecnologie esistenti e nuove, comprese quelle recentemente sviluppate per controllo remoto di un operazione chirurgica e altre utilizzate per pilotare il braccio robotico Canadarm2 e il veicolo spaziale Soyuz. L’indagine confronta anche le prestazioni degli astronauti a terra e durante le missioni spaziali di lunga durata verificando se l’esposizione a lungo termine alla mancanza di peso evoca cambiamenti nelle prestazioni sensomotorie.

Studi recenti hanno dimostrato che il modo in cui il cervello utilizza le informazioni sensoriali per la percezione e per il controllo dei movimenti orientati ad un certo obbiettivo cambia nelle condizioni di assenza di peso e che le prestazioni nei compiti di coordinazione visivo-motoria sono influenzate negativamente. Ciò sembra essere dovuto al fatto che sulla Terra la direzione verticale, che viene rilevata dall’orecchio interno e da altri recettori gravitazionali distribuiti nel corpo, viene utilizzata come quadro di riferimento ispetto al quale i segnali sensoriali provenienti dal visivo, i sistemi propriocettivi e tattili sono codificati. Inoltre, i segnali di gravità sembrano giocare un ruolo fondamentale nella capacità del cervello di combinare visione, propriocezione e tatto.

Per le attività di Pilote, l’astronauta esegue compiti simili a quelli che potrebbe svolgere mentre si gioca ad un videogioco, in cui deve controllare dispositivi robotici virtuali attraverso l’uso di un controller tattile e un visore per realtà virtuale. L’indagine Pilote include due diversi set di attività: attività di PILOTAGGIO e attività di CATTURA.

Nelle attività di PILOTAGGIO l’operatore utilizza il dispositivo tattile per controllare i 6 gradi di libertà (posizione e orientamento) di un oggetto virtuale per seguire percorsi predefiniti nel modo più preciso e rapido possibile. Ogni set di attività è composto da più prove che differiscono in termini di percorso che l’oggetto virtuale deve seguire. Questo insieme di percorsi viene selezionato per testare diverse combinazioni di rotazioni di imbardata, beccheggio e rollio e spostamento lineare necessario per raggiungere la posizione finale dell’oggetto pilotato.

I concetti di Beccheggio rollio ed imbardata nell’esempio di un aereo.

Nel protocollo CAPTURE, l’operatore guida un braccio robotico virtuale con l’obiettivo di agganciare un oggetto bersaglio, cioè come per afferrare un satellite errante o attraccare con la Stazione Spaziale Internazionale. In contrasto con il protocollo PILOTING sopra descritto, l’attività CAPTURE enfatizza il raggiungimento della posizione target il più rapidamente e senza intoppi possibile, senza vincoli sul percorso richiesto per raggiungere quella posizione.

Si ipotizza che i dati raccolti durante queste indagine troveranno applicazioni sia spaziali che terrestri.

APPLICAZIONI SPAZIALI
I risultati delle attività Pilote forniranno importanti informazioni necessarie per ottimizzare l’ergonomia delle postazioni di lavoro a bordo della stazione spaziale e per i futuri veicoli spaziali per le missioni sulla Luna e su Marte. Questo design della stazione di lavoro per il controllo di dispositivi robotici come bracci robotici, veicoli spaziali e rover può sfruttare i criteri di ottimizzazione specifici delle condizioni di assenza di peso identificati attraverso le attività di Pilote.

APPLICAZIONI TERRESTRI
L’opportunità di testare la destrezza umana nell’utilizzo di nuovi approcci alla teleoperazione e al pilotaggio in assenza di peso consente la convalida di teorie e metodologie per interfacce uomo-macchina ottimali attraverso l’uso di aptica. Progettando interfacce in grado di affrontare le sfide che la vita in orbita presenta al corpo umano per la coordinazione occhio-mano, le metodologie risultanti possono portare a una migliore integrazione delle informazioni gravitazionali nella progettazione di interfacce destinate ad essere utilizzate sulla Terra.

Link correlato:
Pilote

Proteggere i reni nello spazio e sulla Terra

Alcuni membri dell’equipaggio mostrano una maggiore suscettibilità ai calcoli renali durante il volo, tutto ciò può influire negativamente sulla loro salute e sul successo della missione. Gli astronauti che vivono in orbita sulla ISS possono sperimentare disidratazione, stasi e demineralizzazione ossea, tutti fattori che contribuiscono frequentemente ai calcoli renali. L’ indagine Kidney Cells-02 utilizza un modello 3D di cellule renali (o chip di tessuto) per studiare gli effetti dell’assenza di peso sulla formazione di microcristalli che possono portare a calcoli renali. Fa parte dell’iniziativa Tissue Chips in Space , una partnership tra l’ ISS US National Laboratorye il National Institutes of Health’s National Center for Advancing Translational Sciences (NCATS) per analizzare gli effetti della vita in orbita sulla salute umana e tradurli in miglioramenti sulla Terra. Questa indagine potrebbe rivelare percorsi critici dello sviluppo e della progressione della malattia renale, portando potenzialmente a terapie per trattare e prevenire i calcoli renali per gli astronauti e, si stima ,per 1 persona su 10 sulla Terra che li sviluppa.

Con questo studio, i ricercatori sperano di identificare biomarcatori o ‘firme’ dei cambiamenti cellulari che si verificano durante la formazione di calcoli renali. Questo può portare a nuovi interventi terapeutici. La logica alla base di questo studio sulla stazione spaziale è che i microcristalli si comportino in un modo simile a quello che accade nei nostri reni, il che significa che rimangono sospesi nei tubi dei chip renali e non affondano sul fondo, come fanno nei laboratori sulla Terra. In condizioni di mancanza di peso, si prevede che questi microcristalli rimangano sospesi in modo uniforme, consentendo una migliore osservazione dei loro effetti. Nell’ambito di questa indagine, i microcristalli di ossalato di calcio (un componente comune dei calcoli renali) vengono introdotti in un tubulo riempito di cellule renali. Le cellule vengono valutate per segni molecolari di infiammazione e lesioni.

Immagini al microscopio elettronico a scansione di microcristalli di ossalato di calcio generati presso l’Università di Washington & Kidney Research Institute.
Il Nortis Organ Chip al microscopio nel laboratorio di Edward Kelly nel Dipartimento di Farmaceutica dell’Università di Washington. L’immagine mostra sullo sfondo un tubulo di cellule renali.

I risultati potrebbero supportare la progettazione di trattamenti migliori per condizioni come calcoli renali e osteoporosi per astronauti e persone sulla Terra, in particolare ci si attende che l’indagine produca risultati importanti sia per applicazioni a terra che per il volo spaziale:

APPLICAZIONI SPAZIALI
I membri dell’equipaggio in condizioni di assenza di peso hanno dimostrato una maggiore suscettibilità ai calcoli renali, che potrebbe rappresentare un’emergenza medica con conseguenze negative sulla salute dei membri dell’equipaggio e sul successo della missione. Questa indagine potrebbe rivelare percorsi critici dello sviluppo e della progressione della malattia renale e produrre nuove terapie per trattare e prevenire i calcoli renali, nonché altre malattie renali e l’osteoporosi, a beneficio sia degli astronauti che delle persone con queste condizioni sulla Terra.

APPLICAZIONI TERRESTRI
Circa 20 milioni di americani hanno una malattia renale cronica e 1 persona su 10 sviluppa un calcolo renale durante la vita. Attualmente, nessuna terapia farmacologica disponibile può ritardare o invertire la progressione della malattia renale cronica o dei calcoli renali. Una migliore comprensione dei fattori che contribuiscono alla corretta struttura e funzione dei tubuli renali può portare alla scoperta di trattamenti innovativi per queste condizioni.

Link correlato:
Effects of Microgravity on the Structure and Function of Proximal and Distal Tubule MPS

Produrre cotone più resistente

Le piante di cotone che sovraesprimono un determinato gene (AVP1) mostrano una maggiore resistenza ai fattori di stress, come la siccità, e producono il 20% in più di fibre di cotone rispetto alle piante senza quella caratteristica in determinate condizioni di stress. Questa resistenza allo stress è stata provvisoriamente collegata ad un sistema radicale potenziato che può attingere a un volume maggiore di terreno per l’acqua e le sostanze nutritive. Il TICTOC (Targeting Improved Cotton Through On- Orbit Cultivation ) studia come la struttura del sistema radicale influenzi la resilienza delle piante, l’efficienza nell’uso dell’acqua e il sequestro del carbonio durante la fase critica della creazione delle piantine. I modelli di crescita delle radici dipendono dalla gravità e TICTOC potrebbe aiutare a definire quali fattori ambientali e geni controllano lo sviluppo delle radici in assenza di peso. I confronti tra campioni in orbita e di controllo a terra consentirannol’identificazione di geni espressi in modo differenziale tra queste condizioni.

Anche la morfologia delle piante verrà analizzata utilizzando le immagini scattate durante l’indagine. Ogni immagine verrà sottoposta ad un’analisi morfometrica utilizzando il software di analisi della crescita delle piante Phenotiki e RootTrace. I parametri da quantificare includono la lunghezza del germoglio e della radice, il numero e la spaziatura della radice laterale, la rettilineità degli organi e la curvatura della punta. I confronti tra i trattamenti sono supportati da analisi statistiche (test t e F; ANOVA). L’analisi della parete cellulare consente la correlazione dei profili di espressione genica ai cambiamenti nella composizione del polimero della parete cellulare e nell’architettura del sistema radicale. Questi studi aiuteranno a scoprire l’impatto dell’ambiente di volo spaziale della ISS sulla crescita delle piantine di cotone e determinare se l’aumento dell’espressione di AVP1 fornisce una contromisura alle sollecitazioni che il sistema di radici del cotone incontra mentre cresce nello spazio.

Piantine di cotone per l’indagine TICTOC preparate per il volo.

L’obbiettivo dell’esperimento è quello di raccogliere dati per ottenere sia risultati applicabili al volo spaziale e colonizzazione di ambienti extraterrestri, ma anche risultati utilizzabili direttamente a terra:

APPLICAZIONI SPAZIALI
Per sperare di poter colonizzare altri ambienti extraterrestri, gli esseri umani devono essere in grado di coltivare piante per la produzione di cibo e ossigeno. La conoscenza generale di come la gravità influenza la struttura e la crescita delle radici delle piante acquisita in questa indagine potrebbe contribuire agli sforzi futuri per coltivare piante nello spazio.

APPLICAZIONI TERRESTRI
Ogni anno vengono prodotte più di 25 milioni di tonnellate di cotone da utilizzare in una varietà di prodotti di consumo tra cui abbigliamento, lenzuola e filtri per il caffè. Il cotone ha molti vantaggi economici e personali, ma la sua produzione comporta anche significativi effetti ambientali. Alcune stime mostrano che la produzione di un chilogrammo di cotone richiede migliaia di litri di acqua. La coltivazione del cotone comporta anche un uso intensivo di prodotti chimici agricoli, che possono influire sulla salute dei lavoratori e sugli ecosistemi circostanti. Questa indagine potrebbe migliorare la comprensione dei sistemi di radici del cotone e dell’espressione genica associata e consentire lo sviluppo di coltivazioni di cotone più robuste che richiedano meno acqua e uso di pesticidi.

Link correlato:
Targeting Improved Cotton Through On-orbit Cultivation

Potenza bonus per la ISS! Nuovi array solari per alimentare la ricerca sulla stazione spaziale internazionale della NASA

Mentre la Stazione Spaziale Internazionale orbita attorno alla Terra, le sue quattro coppie di array solari assorbono l’energia del sole per fornire energia elettrica per le numerose ricerche e indagini scientifiche condotte ogni giorno, così come per le continue operazioni della piattaforma orbitante. La stazione spaziale è il trampolino di lancio per le missioni Artemis della NASA sulla Luna, e una piattaforma per testare tecnologie avanzate per l’esplorazione umana dello spazio profondo e la futura missione su Marte. La NASA ha anche aperto la stazione spaziale per attività commerciali e attività commerciali , comprese le missioni di astronauti privati. Tutto questo richiede un consumo energetico via via crescente.

Progettati per una durata di servizio di 15 anni, gli array solari hanno funzionato ininterrottamente da quando la prima coppia è stata consegnata e montata nel dicembre 2000 , con coppie di array aggiuntive consegnate nel settembre 2006, giugno 2007 e marzo 2009 . La prima coppia di pannelli solari ha fornito energia elettrica continua alla stazione per più di 20 anni!

Sebbene funzionino bene, gli attuali pannelli solari stanno mostrando segni di degrado, come previsto. Per garantire che venga mantenuta un’alimentazione sufficiente per tutte le attività previste la NASA aumenterà sei degli otto canali di alimentazione esistenti della stazione spaziale con nuovi pannelli solari. Boeing, l’appaltatore principale della NASA per le operazioni della stazione spaziale, la sua sussidiaria Spectrolab e il principale fornitore Deployable Space Systems (DSS) forniranno i nuovi array. La combinazione degli otto array originali più grandi e dei nuovi array più piccoli ed efficienti ripristinerà la generazione di energia di ciascun array riportandoli approssimativamente alla quantità generata quando gli array originali sono stati installati per la prima volta.

I nuovi array solari saranno una versione più grande della tecnologia Roll-Out Solar Array (ROSA) che ha dimostrato con successo le capacità meccaniche del dispiegamento degli array solari durante il test sulla stazione spaziale nel giugno 2017.

Il test di dispiegamento nel 2017 mediante l’utilizzo del braccio robotico Canadarm2

Più piccolo e leggero dei pannelli solari tradizionali, il Roll-Out Solar Array, o ROSA , è costituito da un’ala centrale realizzata con un materiale flessibile contenente celle fotovoltaiche per convertire la luce in elettricità. Su entrambi i lati dell’ala c’è un braccio stretto che estende la lunghezza dell’ala per fornire supporto, chiamato Braccio composito distribuibile (DCB) ad alta tensione. I DCB sono strutture tubolari fatte di un materiale composito rigido, appiattiti e arrotolati longitudinalmente per il successivo dispiegamento. L’array si srotola o apre senza motore, utilizzando l’energia immagazzinata dalla struttura dei bracci che viene rilasciata quando ciascun braccio passa da una forma a bobina a un braccio di supporto diritto.

Immagine dell’ala completamente dispiegata.

ROSA può essere facilmente adattato a diverse dimensioni, inclusi array molto grandi, per fornire energia a una varietà di futuri veicoli spaziali. Ha anche il potenziale per rendere i pannelli solari più compatti e leggeri per la radio e la televisione satellitare, le previsioni meteorologiche, il GPS e altri servizi utilizzati sulla Terra. Inoltre, la tecnologia essere tranquillamente adattata per fornire energia solare in luoghi remoti. La tecnologia dei bracci ha ulteriori potenziali applicazioni, come per le comunicazioni, le antenne radar e altri strumenti.

I nuovi array solari saranno posizionati di fronte a sei degli attuali array e utilizzeranno il tracciamento solare, la distribuzione dell’energia e la canalizzazione esistenti. Questo approccio è simile a quello utilizzato per aggiornare le telecamere esterne della stazione ad alta definizione, utilizzando i meccanismi di alimentazione e controllo esistenti.

Sei array solari iROSA nella configurazione pianificata

I nuovi array oscureranno poco più della metà della lunghezza degli array esistenti e saranno collegati allo stesso sistema di alimentazione per aumentare l’offerta esistente. Gli otto array correnti sono attualmente in grado di generare fino a 160 kilowatt di potenza durante il giorno orbitale, di cui circa la metà è immagazzinata nelle batterie della stazione per essere utilizzata mentre la stazione non è esposta alla luce solare. Ogni nuovo pannello solare produrrà più di 20 kilowatt di elettricità, per un totale di 120 kilowatt (120.000 watt) di potenza aumentata durante il giorno orbitale. Inoltre, la coppia rimanente di array solari scoperti e gli array originali parzialmente scoperti continueranno a generare circa 95 kilowatt di potenza per un totale di fino a 215 kilowatt (215.000 watt) di potenza disponibile per supportare le operazioni della stazione al termine. Per fare un confronto, un computer e un monitor attivi possono consumare fino a 270 watt e un piccolo frigorifero utilizza circa 725 watt.