Un passo avanti verso il ritorno sulla Luna attraverso la collaborazione internazionale!

Una trattativa difficile ma che io ritengo necessaria per arrivare all’esplorazione ed allo sfruttamento condiviso delle risorse del sistema solare.
Sarebbe importante partire con il piede giusto! Il Gateway sarà una pietra miliare in questo percorso ed è per questo che è auspicabile che un accordo russo-americano vada a buona fine.
Certo la NASA sulla Luna ci tornerà nel 2024, o giù di lì, con o senza i russi, non solo perché lo ha detto Trump ma perché lo avrebbe detto, o lo dirà, qualsiasi altro presidente repubblicano o democratico. Realizzare questa base lunare con anche la partecipazione russa, oltre che canadese, europea e giapponese, sarebbe veramente una bella partenza.
Se fosse un mondo saggio, io ci vedrei bene anche Cina e India!
Vi propongo questo articolo di Alive Universe che parla proprio di questo.

Commento di Luigi Borghi.

La Russia parteciperà al Gateway lunare?

In base a quanto riferito dall’agenzia di stampa RIA Novosti, il Roscosmos ha formalmente ricevuto dalla NASA un memorandum di partecipazione al Lunar Gateway ma i dettagli sulla cooperazione russa ancora non sono definiti.
Il Lunar Gateway è parte del programma internazionale Artemis, coordinato dalla NASA, che ha l’obiettivo di riportare l’uomo sulla Luna e di stabilire una presenza stabile sul nostro satellite.
Si tratta di una stazione spaziale cislunare, a 5 giorni di viaggio (o circa 400.000 chilometri) dalla Terra, la cui costruzione dovrebbe avvenire entro il prossimo decennio. Avrà alloggi e laboratori ma, a differenza della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) dove c’è sempre un equipaggio a presidiare l’avamposto, questa sarà occupata solo temporaneamente dagli astronauti che transiteranno in prossimità della Luna per le loro missioni. Ovviamente, lo scopo principale sarà supportare gli allunaggi e le spedizioni verso Marte ma il Gateway potrà servire come punto di ricerca, di appoggio per missioni robotiche e per far pratica di vita lontano dalla Terra. La NASA ha calcolato che ci vorranno solo 5 o 6 lanci per completarlo (a differenza dei 34 che ci sono voluti per la ISS).

Molti dei partner internazionali che ora frequentano la Stazione Spaziale, inclusa la Russia, si sono sempre mostrati favorevoli alla visione statunitense sull’esplorazione spaziale.
Roscosmos e NASA avevano firmato il 27 settembre 2017 una dichiarazione congiunta sulle strategie future. Tuttavia, il recente rilancio dell’Accordo Artemis per lo sfruttamento delle risorse in loco sulla Luna e nello spazio in genere, è apparso come una presa di posizione troppo forte nei confronti della Russia e di altri paesi che, almeno per il momento, non saranno coinvolti. In ogni caso, nonostante qualche battibecco e commento piccato, la diplomazia sta andando avanti: il 26 maggio, il direttore della NASA, Jim Brydenstein, ha dichiarato che l’agenzia spaziale americana ha avanzato una serie di proposte di cooperazione per il Gateway al Roscosmos.
I dialoghi si erano arrestati tre anni fa, quando Dmitry Rogozin, direttore dell’agenzia russa, dichiarò che il suo paese non avrebbe partecipato ad un progetto nel quale non era stato offerto un ruolo abbastanza ampio.

Tre sono i moduli per ora confermati:

  • Power and Propulsion Element (PPE), progettato per produrre energia elettrica, prodotto da Maxar Technologies.
  • Habitation and Logistics Outpost (HALO) chiamato anche Minimal Habitation Module (MHM) e precedentemente Utilization Module, costruito dal Northrop Grumman Innovation Systems. Si baserà sul cargo da rifornimento Cygnus e sarà un modulo abitativo completo in grado di supportare un equipaggio di 4 persone per 30 giorni.
  • European System Providing Refueling, Infrastructure and Telecommunications (ESPRIT) sarà un modulo di servizio per immagazzinare xenon e idrazina e sarà un punto di attracco per i cargo.

Tuttavia, la situazione è in continua evoluzione: la NASA sta apportando continue modifiche in corsa ai suoi piani per raggiungere l’obiettivo imposto dall’amministrazione Trump di riportare l’uomo sulla Luna entro il 2024.
In occasione di una riunione del Human Explorations and Operations Committee della NASA del 13 maggio scorso, Doug Loverro, amministratore associato della NASA per l’esplorazione e le operazioni umane, ha affermato che l’agenzia ha deciso o sta prendendo in seria considerazione l’adozione di modifiche alla fase iniziale del programma Artemis, al fine di ridurre sia i costi che i rischi.
Forse il più grande cambiamento in vista è il piano di il lancio degli elementi iniziali del Gateway lunare.
Invece di lanciare PPE e HALO separatamente ed assemblarli in orbita, ora sembra che saranno agganciati a Terra e poi spediti nello spazio con un solo viaggio, che dovrebbe avvenire a novembre 2023. Inoltre, mentre prima il Gateway era essenziale per il ritorno dell’uomo sulla Luna, ora non lo è più e non sarà pertanto fondamentale per la missione Artemis 3 con la quale gli umani metteranno di nuovo piede sul nostro satellite.
Inoltre, anche se la decisione non coinvolge direttamente il Gateway, la NASA sta valutando un cambiamento nella missione Artemis 2, il primo volo con equipaggio di Orion. Loverro ha riferito che l’agenzia prevede di aggiungere un “appuntamento e operazioni di prossimità”, per accelerare i test dimostrativi.

Di: Elisabetta Bonora 01/06/2020

Link all’articolo 

Un’altra ottima notizia per la SpaceX!

Quando feci una analisi dei nuovi mezzi di trasporto per astronauti che la NASA aveva approvato per sostituire lo Shuttle, ad uso della nostra rivista “il Cosmo News”, rimasi stupito delle conclusioni dell’agenzia spaziale americana. I vincitori furono Boeing con il suo CST-100 Starliner e Space X sia con il suo vettore Falcon 9 che con la capsula Crew Dragon.
Ciò che mi stupì fu il fatto che alla Space X venne negata la sua più grande opportunità: quella del riuso! Infatti, al momento dell’accordo, la NASA abilitò i mezzi con astronauti della SpaceX solo per la prima missione umana.
Quell’hardware avrebbe poi potuto essere riutilizzato da e per la ISS solo come veicoli cargo.
Ora, trascurando la ragione per cui il CS-100 arriva all’asciutto, nel deserto, mentre la Crew Dragon arriva in mare, e il fatto che il vettore della CS-100 non è riutilizzabile comunque, mi sembrava una grossa restrizione.
La competitività della Space X sta anche nel fatto che si può riutilizzare l’hardware per una decina di missioni! La decisione di far arrivare la Dragon nell’oceano anziché sulla terra ferma (forse la ragione per la quale il riuso fu negato) è stata una scelta NASA e non un limite della capsula SpaceX.
Comunque la NASA si è ravveduta forse intuendo che un hardware che ha già funzionato bene per una volta, magari, va bene anche la seconda … e la terza! O forse i 2,6 miliardi di dollari concessi alla SpaceX per le prossime sei missioni umane. Comunque, ora direi che la situazione è più chiara e forse, anzi senz’altro, i costi di accesso allo spazio cominceranno a scendere significativamente.Eccovi l’articolo tratto da Space Com.

Commento di Luigi Borghi.

La NASA afferma che SpaceX può riutilizzare capsule Crew Dragon e Falcon 9 nelle missioni degli astronauti

di Mike Wall

l primo lancio dell’astronauta con hardware usato potrebbe arrivare già l’anno prossimo

Un razzo SpaceX Falcon 9 lancia la missione Demo-2 di Crew Dragon sulla Stazione Spaziale Internazionale con gli astronauti della NASA Bob Behnken e Doug Hurley, il 30 maggio 2020, presso il Kennedy Space Center della NASA in Florida.
(Immagine: © Bill Ingalls / NASA)

Gli astronauti della NASA inizieranno presto a volare su veicoli SpaceX  usati , se tutto andrà secondo i piani.

L’agenzia ha approvato l’uso di capsule Crew Dragon pre-lanciate e di razzi Falcon 9 nelle missioni con equipaggio di SpaceX alla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), secondo quanto riferito da Space News martedì (16 giugno).

Il via libera arriva attraverso una recente modifica del contratto CCtCap (Commercial Crew Transportation Capability) da $ 2,6 miliardi che SpaceX ha firmato con la NASA nel 2014, ha scritto Jeff Foust di SpaceNews. Il finanziamento di CCtCap ha riguardato il lavoro di sviluppo finale di Crew Dragon e del Falcon 9 a due stadi per il volo spaziale umano e paga anche per almeno sei missioni operative con equipaggio da e verso la ISS utilizzando la coppia.

“In questo caso, SpaceX ha proposto di riutilizzare i futuri sistemi o componenti Falcon 9 e/o Crew Dragon per le missioni della NASA presso la Stazione Spaziale Internazionale perché ritengono che sarà vantaggioso dal punto di vista della sicurezza e/o dei costi”, ha dichiarato la portavoce della NASA Stephanie Schierholz ha detto a SpaceNews. “La NASA ha effettuato un esame approfondito e ha stabilito che i termini della modifica generale del contratto erano nel migliore interesse del governo.”

Il primo volo con hardware usato potrebbe essere Crew-2, la seconda missione contratta, che probabilmente decollerà nel 2021, secondo quanto riferito da SpaceNews. Crew-1 , che potrebbe essere lanciato già il 30 agosto di quest’anno, utilizzerà un nuovo Crew Dragon e Falcon 9, come ha fatto il volo di prova Demo-2.

Demo-2 è stato lanciato il 30 maggio, inviando gli astronauti della NASA Bob Behnken e Doug Hurley all’ISS sul primo volo spaziale umano di SpaceX e la prima missione orbitale con equipaggio per decollare dal suolo americano da quando la NASA ha ritirato la sua flotta di navette spaziali nel 2011.

Non è chiaro nel momento in cui Behnken e Hurley stanno tornando sulla Terra. La NASA non ha ancora annunciato una data di fine per Demo-2, che potrebbe durare fino a quattro mesi.

Boeing detiene anche un accordo CCtCap con la NASA, un contratto da 4,2 miliardi di dollari che il gigante aerospaziale intende raggiungere utilizzando una capsula chiamata CST-100 Starliner . Il contratto di Boeing, anch’esso firmato nel 2014, ha permesso a Starliner di riutilizzarlo sin dall’inizio.

Il riutilizzo è la chiave per la visione di SpaceX e del suo fondatore e CEO miliardario, Elon Musk . Musk ha da tempo affermato che il riutilizzo rapido e completo dell’hardware spaziale è la chiave di volta necessaria per ridurre il costo del volo spaziale, che a sua volta consentirà la colonizzazione di Marte e altre ambiziose imprese di esplorazione.
SpaceX atterra già abitualmente e ri-pilota le prime fasi dei suoi razzi Falcon 9 e Falcon Heavy , e la società ha lanciato le capsule cargo Dragon all’ISS dal 2017. (SpaceX ha un contratto separato della NASA per effettuare corse di rifornimento robotizzate verso laboratorio in orbita.)

Anche SpaceX ha recentemente compiuto progressi nel recupero e nel riutilizzo delle carenature del payload . Questi rivestimenti a forma di conchiglia, che proteggono i satelliti durante il lancio, valgono circa $ 6 milioni ciascuno, ha detto Musk. (Le capsule Dragon, sia di carico che di equipaggio, si lanciano senza carene.) Le fasi superiori di Falcon 9 e Falcon Heavy rimangono al momento sacrificabili.

Link all’articolo 

Useremo il GPS anche sulla Luna!

Quando si parla di tornare sulla Luna, si pensa subito a potentissimi razzi, come il SLS della NASA, il Super Heavy (BFR) della SpaceX, il CZ9 cinese o i Enisej e Don russi (di cui, come al solito, si sa poco o nulla) ed a complesse procedure, sistemi di allunaggio e navette di ritorno. Infatti, sono elementi essenziali ed indispensabili, ma non sufficienti!
Sulla Luna e dintorni bisogna muoversi, sapere dove si è e dove si deve andare. Insomma, serve un sistema di navigazione!
Tutto ciò mi ricorda un fatto emblematico accadutomi una decina di anni fa, durante una delle mie serate di astronomia ed astronautica al Parco Ferrari a Modena. Stavo illustrando la spedizione di Apollo 11 e in quel periodo i cosiddetti “complottisti” erano ancora numerosi e convinti. Uno di questi (che durante tutta la mia spiegazione mi aveva guardato con superiorità) alla fine se ne usci con un: “Si informi meglio, sono tutte balle inventate dagli americani! Mi meraviglio che lei ce le venga a raccontare”. Naturalmente ero preparato, non era la prima volta. Quindi cercai di capire quali erano le sue ragioni e la sua risposta mi stupì: “Come hanno potuto andare sulla Luna e muoversi se nel 1969 il GPS non era ancora stato inventato?” Giuro che ne avevo sentite tante dai negazionisti, ma questa mi giunse nuova. Tentai di spiegargli che non era necessario il GPS, che l’intero nostro mondo era stato mappato ed esplorato quando non c’era neanche la radio e la corrente elettrica. Non servì a nulla! Se ne andò convinto della sua tesi.
Gli dissi pure che, ci fosse anche stato il GPS, comunque, non avrebbe funzionato al di fuori della Terra. In effetti questo sistema di satelliti non è stato studiato per servire viaggi spaziali o gite fuori porta sulla Luna.
Ma la NASA si sta dando da fare parecchio per smentire questa mia tesi.

Infatti, presso il Goddard Space Flight Center di Greenbelt, nel Maryland la NASA ha una moltitudine di strumenti a sua disposizione sperimentati in mezzo secolo di esperienza per la navigazione in missioni di esplorazione spaziale in orbita lunare e sulla sua superficie. In alcuni di questi vi è pure il contributo italiano. Ma andiamo con ordine.

Durante le prossime missioni, Artemis, oltre a comprovate capacità di navigazione, utilizzerà tecnologie innovative basate su una solida combinazione di capacità per fornire la disponibilità, la resilienza e l’integrità richieste da un sistema di navigazione in situ. Alcune delle tecniche di navigazione analizzate per Artemis includono: Radiometria, ottimetria e altimetria laser.




Il Lunar Orbiter Laser Altimeter (LOLA) a bordo del Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO) invia impulsi laser sulla superficie della Luna dalla sonda in orbita. Questi impulsi rimbalzano sulla Luna e ritornano a LRO, fornendo agli scienziati misurazioni della distanza dal veicolo spaziale alla superficie lunare. Mentre LRO orbita attorno alla Luna, LOLA misura la forma della superficie lunare, che include informazioni sulle elevazioni e le pendenze della superficie lunare. Questa immagine mostra i pendii trovati vicino al Polo Sud della Luna.
Crediti: NASA / LRO

La radiometria, l’ottimetria e l’altimetria laser misurano le distanze e la velocità utilizzando le proprietà delle trasmissioni elettromagnetiche. Si misura il tempo impiegato da una trasmissione per raggiungere un veicolo spaziale e lo si divide per la velocità di spostamento della trasmissione (la velocità della luce), ricavandone una distanza.

Queste misurazioni accurate sono state le fondamenta della navigazione spaziale sin dal lancio del primo satellite, fornendo una misurazione accurata e affidabile della distanza tra il trasmettitore e il ricevitore del veicolo spaziale. Allo stesso tempo è possibile osservare la velocità di variazione della velocità del veicolo spaziale tra il trasmettitore e il veicolo spaziale a causa dell’effetto Doppler (la variazione di frequenza percepita da una sorgente in movimento).

La radiometria e l’ottimetria misurano le distanze e la velocità tra un veicolo spaziale e le antenne terrestri o altri veicoli spaziali utilizzando rispettivamente i loro collegamenti radio e i collegamenti di comunicazione ottica a infrarossi. Nell’altimetria laser e nel raggio laser spaziale un veicolo spaziale o un telescopio terrestre riflette i laser sulla superficie di un corpo celeste o un riflettore appositamente designato per giudicare le distanze.

Navigazione ottica.

Le tecniche di navigazione ottica si basano sulle immagini delle telecamere di un veicolo spaziale. Ci sono tre rami principali della navigazione ottica utilizzabili a seconda della distanza dall’obiettivo:

La navigazione ottica basata sulle stelle utilizza oggetti celesti luminosi come stelle, lune e pianeti per la navigazione (Star Trackers). Sono computer armati di obiettivi, come nella immagine, che devono puntare e seguire una o più stelle. L’angolo formato tra la direzione dell’obiettivo e la struttura del mezzo che lo ospita fornisce i valori di rollio, beccheggio ed imbardata, quindi l’assetto di un veicolo spaziale e possono definire la loro distanza dagli oggetti utilizzando gli angoli tra di loro (usati anche nel progetto Apollo).

Uno star tracker.

Quando un veicolo spaziale si avvicina a un corpo celeste, l’oggetto inizia a riempire il campo visivo della telecamera. I “navigatori” (umani o computer) ricavano quindi la distanza del veicolo spaziale dal corpo usando il suo profilo – il bordo apparente del corpo – e il centroide, o centro geometrico calcolato in base all’arco.

All’approccio più vicino, Terrain Relative Navigation utilizza le immagini della telecamera e l’elaborazione del computer per identificare le caratteristiche della superficie note e calcolare la rotta di un veicolo spaziale in base alla posizione di tali caratteristiche nei modelli o nelle immagini di riferimento. Anche questo usato su Apollo.

Segnale debole GPS e GNSS.

Infine, “udite udite”, la NASA sta sviluppando capacità che consentiranno alle missioni sulla Luna di sfruttare i segnali delle costellazioni del Global Navigation Satellite System (GNSS) come il GPS USA. Questi segnali, già utilizzati su molti veicoli spaziali in orbita attorno alla Terra, miglioreranno i tempi, la precisione del posizionamento e aiuteranno i sistemi di navigazione autonomi nello spazio cislunare e lunare.

Ma come faranno ad utilizzare i segnali dei satelliti GPS che hanno le loro antenne rivolte verso la superfice terrestre?

La NASA ha esplorato la fattibilità dell’utilizzo di segnali del lobo laterale (SIDE LOBE) dal lato opposto della Terra, per la navigazione ben al di fuori di quello che era stato considerato il volume del servizio spaziale e nello spazio lunare. Negli ultimi anni, la Missione Magnetosferica Multiscala (MMS) ha persino determinato con successo la sua posizione utilizzando segnali GPS a distanze quasi a metà strada Terra-Luna.

Oltre i 1.800 miglia di altitudine, la navigazione con GPS diventa più impegnativa. Questa distesa di spazio è chiamata Space Service Volume e si estende da 1.800 fino a circa 22.000 miglia (36.000 km) o orbita geosincrona. 

Ad altitudini oltre le costellazioni GNSS stesse gli utenti devono iniziare a fare affidamento sui segnali ricevuti dal lato opposto della Terra.

Dal lato opposto del globo la Terra blocca gran parte dei segnali GNSS (vedi figura in basso), quindi i veicoli nel volume del servizio spaziale devono “ascoltare” i segnali che si estendono ai lati della Terra, che si estendono ad angolo rispetto alle antenne GNSS. 

Formalmente la ricezione GNSS nel volume del servizio spaziale si basa sui segnali ricevuti entro circa 26 gradi dal segnale più forte delle antenne. Tuttavia, la NASA ha avuto un notevole successo utilizzando segnali del lobo laterale GNSS più deboli (che si estendono ad un angolo ancora maggiore dalle antenne) per la navigazione dentro e oltre il volume del servizio spaziale.

Dagli anni ’90 gli ingegneri della NASA hanno lavorato per comprendere le capacità di questi lobi laterali. In preparazione per il lancio del primo satellite meteorologico Geostationary Operational Environmental Satellite-R nel 2016 la NASA ha cercato di documentare meglio la forza e la natura dei lobi laterali per determinare se il satellite possa soddisfare i suoi requisiti.

Un grafico che dettaglia le diverse aree di copertura GNSS.

Crediti: NASA

https://www.nasa.gov/feature/goddard/2021/nasa-explores-upper-limits-of-global-navigation-systems-for-artemis

I “navigatori” della NASA hanno simulato la disponibilità del segnale GNSS vicino alla Luna. La loro ricerca indica che questi segnali GNSS possono svolgere un ruolo fondamentale nelle ambiziose iniziative di esplorazione lunare della NASA fornendo accuratezza e precisione senza precedenti (l’avessi saputo 10 anni fa non avrei infierito così tanto sul povero complottista!)

La NASA sta lavorando ad un approccio interoperabile che consentirebbe alle missioni lunari di sfruttare più costellazioni contemporaneamente. I veicoli spaziali vicino alla Terra ricevono abbastanza segnali da una singola costellazione per calcolare la loro posizione. Tuttavia, a distanze lunari, i segnali GNSS sono meno numerosi. Le simulazioni mostrano che l’utilizzo di segnali da più costellazioni migliorerebbe la capacità delle missioni di calcolare la loro posizione in modo coerente.

Per dimostrare e testare questa capacità sulla Luna, la NASA sta progettando il Lunar GNSS Receiver Experiment (LuGRE), sviluppato in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana (eccoci qua! Ci siamo anche noi!)

LuGRE volerà su una delle missioni commerciali Lunar Payload Services della NASA e prevede di farlo atterrare sul bacino del Mare Crisium della Luna nel 2023.

LuGRE riceverà segnali sia dal GPS che da Galileo (il GNSS gestito dall’Unione Europea)

I dati raccolti verranno utilizzati per sviluppare sistemi GNSS lunari operativi per future missioni sulla Luna. 

 Servizi di navigazione LunaNet

Crediti: NASA / Resse Patillo.

LunaNet è un’architettura di comunicazione e navigazione unica sviluppata dal programma Space Communications and Navigation (SCaN) della NASA. Gli standard, i protocolli ed i requisiti di interfaccia comuni di LunaNet estenderanno l’internetworking alla Luna offrendo flessibilità e accesso ai dati senza precedenti.

Per la navigazione l’approccio LunaNet offre indipendenza operativa e maggiore precisione combinando molti dei metodi di cui sopra in un’architettura senza soluzione di continuità. 

Il software di navigazione autonoma sfrutta misurazioni come radiometria, navigazione celeste, altimetria, navigazione relativa al terreno e GNSS per eseguire la navigazione a bordo senza contatto con operatori o risorse sulla Terra e consentendo ai veicoli spaziali di manovrare indipendentemente dai controllori della missione terrestre. 

Questo livello di autonomia consente la reattività all’ambiente spaziale dinamico.

La navigazione autonoma può essere particolarmente utile per l’esplorazione dello spazio profondo, dove il ritardo delle comunicazioni può ostacolare la navigazione in situ. Ad esempio, le missioni su Marte devono attendere da otto a 48 minuti per le comunicazioni di andata e ritorno con la Terra, a seconda delle dinamiche orbitali. Durante le manovre critiche i veicoli spaziali necessitano del processo decisionale immediato che il software autonomo può fornire.

Insomma, anche sulla Luna o su Marte avremo un dispositivo, come quello nella illustrazione, che pur non essendo un GPS ci garantirà più o meno lo stesso servizio con qualche cosa in più

Commentato da Luigi Borghi.

Link correlati

https://www.nasa.gov/feature/goddard/2021/nasa-engineers-analyze-navigation-needs-of-artemis-moon-missions

https://www.nasa.gov/SCaN/

Veicoli spaziali “morti”: su Marte notati in nuove foto

CI SIAMO!!! La domanda se siamo soli, ha forse trovato risposta in foto che ritraggono un mezzo, una sonda ormai inattiva sulla superficie del pianeta rosso??? Abbiamo finalmente la prova che Marte sia stato meta di una civiltà aliena che vi ha inviato un suo rover di superficie come abbiamo fatto noi terrestri per anni??? Il titolo lascia intendere questo o perlomeno il suo autore aveva probabilmente questo intento, ma niente paura, nessuna prova di vita aliena vicino casa nostra. Si tratta soltanto di immagini scattate da una sorprendente sonda terrestre che continua a stupirci e ad affascinarci con la definizione delle sue fotografie, permettendo a tutti noi di ammirare il suolo Marziano seduti comodamente a casa

Reconnaissance Orbiter (MRO) della NASA , in orbita intorno a Marte dal 2006, ha scattato una foto a colori del “defunto” Phoenix Mars Lander della NASA nel suo sito di atterraggio nell’Artico marziano.
Mostra il lander e i suoi freddi dintorni dopo il secondo inverno trascorso sul pianeta.
Il veicolo spaziale Phoenix è atterrato con successo su Marte nel 2008.

Questa immagine, scattata il 26 gennaio 2012, mostra la navicella spaziale Phoenix Mars Lander non più attiva dopo il suo secondo inverno artico marziano. Il lander ha lo stesso aspetto che aveva dopo il suo primo inverno, come mostrato in un’immagine del maggio 2010.

Questa immagine, scattata il 26 gennaio 2012, mostra la navicella spaziale Phoenix Mars Lander non più attiva dopo il suo secondo inverno artico marziano. Il lander ha lo stesso aspetto che aveva dopo il suo primo inverno, come mostrato in un’immagine del maggio 2010. La foto è stata presa durante il monitoraggio dei modelli di gelo nel sito di atterraggio di Phoenix nell’estremo nord di Marte, usando l’esperimento scientifico ad alta risoluzione (HiRISE) ) telecamera su Mars Reconnaissance Orbiter della NASA.
(Credito Immagine: NASA / JPL-Caltech / Univ. Of Arizona)

Lo scopo di queste ricognizioni è quello di monitorare i modelli di gelo nel sito di atterraggio di Phoenix nell’estremo nord di Marte, usando l’Highise Imaging Science Experiment (HiRISE) telecamera su Mars Reconnaissance Orbiter della NASA.
Il Phoenix Mars Lander è atterrato nel maggio 2008 in missione per cercare prove della presenza di acqua nelle pianure della Vastitas Borealis nell’Artico marziano. Durante la sua missione di quasi sei mesi, il lander da 475 milioni di dollari ha confermato la presenza di ghiaccio d’acqua nel sottosuolo e fatto preziosi studi sul suolo marziano. La missione Phoenix si è conclusa nel novembre 2008 quando il lander non è più riuscita a ricevere energia adeguata a causa di una combinazione di luce solare calante, polvere che oscura la luce e rigide temperature invernali.

In un’altra foto separata, MRO ha individuato anche la piattaforma di atterraggio a tre petali abbandonata dal rover Spirit della NASA nel gennaio 2004.

Vicino all’angolo in basso a sinistra di questa foto c’è la piattaforma di atterraggio a tre petali che la Mars Exploration Rover Spirit della NASA ha abbandonato nel gennaio 2004. Il lander è ancora luminoso, ma con un colore rossastro, probabilmente a causa dell’accumulo di polvere marziana. La telecamera HiRISE (High Resolution Imaging Science Experiment) su Mars Reconnaissance Orbiter della NASA ha registrato questo punto di vista il 29 gennaio 2012, fornendo la prima immagine dell’orbita che mostra la piattaforma di atterraggio di Spirit a colori.
(Immagine: © NASA / JPL-Caltech / Univ. Of Arizona)

La piattaforma ha usato paracadute e airbag per rimbalzare fino al punto di arresto del cratere Gusev in modo che il rover Spirit potesse inizia la sua missione. Spirit ha lasciato la piattaforma dei lander nel gennaio 2004 e ha trascorso gran parte della sua vita lavorativa di sei anni in una serie di colline a circa due miglia (3,2 chilometri) a est, secondo quanto riferito da funzionari della NASA. Il rover è diventato silenzioso nel 2010 e la NASA lo ha dichiarato ufficialmente morto l’anno scorso. [ Vedi le nuove foto delle sonde di Marte morte]Nell’immagine MRO, scattata il 29 gennaio, la piattaforma lander di Spirit appare come una caratteristica luminosa in basso a sinistra, a sud-ovest del cratere Bonneville.La fotocamera del MRO Imaging Science Experiment (HiRISE) ad alta risoluzione ha registrato prima le immagini a colori del rover Spirit stesso, ma tutte le foto precedenti della piattaforma lander erano in bianco e nero, secondo i funzionari della NASA.
Dead rover su Marte Spirit e il suo gemello rover Opportunity sono stati originariamente progettati per missioni di tre mesi per cercare segni di attività acquatiche passate su Marte. Entrambi i rover sopravvissero di gran lunga alla loro garanzia, e le missioni fornirono la prova che il Pianeta Rosso era un tempo un posto molto più umido e più caldo. Spirit ha smesso di guidare quando è diventato impantanato nella sabbia nel maggio 2009. Gli scienziati della missione hanno quindi convertito il rover in un osservatorio stazionario e Spirit ha continuato a inviare i dati dalla sua posizione intrappolata. Ma, 10 mesi dopo, il rover si è zittito dopo essere stato incapace di catturare abbastanza luce solare sui suoi pannelli solari nel corso dell’inverno marziano. Tuttavia, Opportunity rimane vivo e vegeto su Marte, e il mese scorso ha celebrato otto straordinari anni sulla superficie del Pianeta Rosso. Dopo un viaggio di tre anni, l’intrepido rover è arrivato al cratere Endeavour largo 22 miglia (22 chilometri) nell’agosto 2011. Il rover ha recentemente scoperto ciò che i ricercatori dicono sia la migliore prova dell’esistenza di acqua liquida sull’antico Marte.

A sinistra la sonda Phoenix Mars Lander e a destra la piattaforma di atterraggio del rover Spirit

Il Mars Reconnaissance Orbiter continua ad avere una prolifica carriera in orbita attorno al Pianeta Rosso. La sonda ha completato l’immissione in orbita il 10 marzo 2006 ed attualmente la sua missione è stata estesa. L’orbiter continua a fornire preziose informazioni sull’antico ambiente marziano e su come processi come: il vento, gli impatti dei meteoriti e le gelate stagionali continuano a influenzare la superficie di Marte.
MRO ha trasmesso più dati sulla Terra rispetto a tutte le altre missioni interplanetarie messe insieme.

Fonte: Space.com
Link: https://www.space.com/14526-dead-mars-spacecraft-photos-spirit-phoenix.html 

Circolo di Osservazione Scientifico-tecnologica di Modena. Missione: divulgare scienza a tutti